Arrivano anche le anticipazioni del rapporto annuale della Svimez a rendere ancora più drammatico lo stato delle relazioni – già compromesse – tra nord e sud del Paese. Le cose non vanno, e lo sappiamo da anni. Voler addossare all’attuale Governo una particolare responsabilità mi sembra scorretto e fuorviante. Il che non li assolve, vista l’assenza da parte loro di una qualsivoglia strategia che non sia la pura assistenza.
Sono del resto decennali tutti i trend che segnalano lo stato di una condizione cronica di sottosviluppo, che incomincia ad apparire irreversibile. A sostegno di questa tesi, sinceramente, bastano i dati forniti da Svimez sull’emigrazione. Il flusso di giovani in cerca di lavoro (ogni anno più del 50%) che lascia il mezzogiorno – e in particolare i piccoli centri dell’entroterra, condannati all’estinzione – è costante da oltre un decennio, e riguarda in particolare i giovani laureati. Per non parlare di quelli che vanno a studiare lontano dalle università meridionali, che segnano un -40% sul fronte degli iscritti.
Questo dato inconfutabile rende macroscopico in primo luogo un problema demografico: senza che nulla intervenga, sappiamo già che nei prossimi dieci anni, ad esempio, la Campania vedrà ridursi da 6 a 4 milioni i propri abitanti, con un incremento davvero preoccupante della popolazione anziana.
Tutto ciò ha un immediato riflesso sulla qualità dei servizi, che ormai sono ridotti a uno stato più che scadente. I cittadini del Sud sono pazienti e subiscono in silenzio, ma pagano per avere scuole fatiscenti, trasporti pubblici inesistenti, ospedali che cadono a pezzi, assistenza sociale inadeguata. Nella Pubblica amministrazione assistiamo proprio in questi mesi alla fuga di migliaia di dipendenti pubblici grazie a “quota 100” e nessuno sa come fare per sostituirli. Un disastro. Che condurrà alla paralisi amministrazioni pubbliche, scuole, ospedali e così via.
Se fate due somme è facile capire che il Pil del Sud, cioè di più di un terzo del Paese e dove vivono 20 milioni di cittadini, è in caduta libera. A prescindere dal merito, la discussione sull’autonomia differenziata appare al cospetto di questa analisi un pesante pugno in faccia a milioni di meridionali. Ma come si fa a non capire che al di là di quello che può realmente significare, la percezione che si ricava da una tale discussione e che una parte del Paese non ne vuole sapere dell’altra, quella più povera? Miopia? Egoismo? Assenza di coraggio? Sicuramente pesa l’illusione di poter fare da soli, salvarsi senza dover star lì a preoccuparsi di chi arranca. Vale per la Brexit, per la Catalogna, e anche per la Lombardia e il Veneto.
Già solo aver aperto un tale dibattito e averlo consentito (e qui ci riferiamo al Governo Gentiloni) ha aperto una profonda divisione nella coscienza del Paese, ha alimentato un’idea irrealistica del ruolo dell’Italia nel mondo, e un’illusoria convinzione che l’economia può prescindere da chi fino a qualche decennio fa era un indispensabile serbatoio di mano d’opera e un fiorente mercato interno.
Il Sud ha anche un enorme problema di classi dirigenti. A cominciare dalla politica e dalla Pubblica amministrazione dove, mal pagate e decimate da un’estenuante pressione della magistratura, non esistono più le competenze sufficienti per governare. Ma anche nel privato – quel poco che è rimasto – è sempre più difficile convincere quadri promettenti a venire a vivere al Sud. Lo stesso mondo della cultura – pensiamo allo straordinario successo dei meridionali in settori come il cinema e la musica, o la letteratura – vive praticamente lontano dai luoghi che pure sa descrivere così bene.
I temi sono due: primo, spiegare al Nord produttivo che senza il Sud non va da nessuna parte e deve occuparsene seriamente. Secondo, provare a realizzare un piano di sviluppo straordinario su una idea precisa in grado di rispondere alla domanda: a cosa può servire il mezzogiorno nei prossimi 30 anni?
Logistica, intermodalità, agroindustria, turismo, industria culturale, innovazione tecnologica: Scegliamo uno di questi temi, quello che a nostro avviso può fare da volano a tutto il resto, il settore che può strategicamente rimotivare la gente del Sud a restare e creare un’aspettativa. Una volta deciso, mettiamoci sopra almeno un punto di Pil (1,6 miliardi di euro) e diamo a una Agenzia pieni poteri e 100 giovani menti brillanti, scelti su base volontaria, per realizzare il progetto in pochissimo tempo. Servono dei veri e propri “Civil Servant” disposti ad accettare la sfida. È l’ultima chiamata, come ci dicono dalla Svimez.