Gli ultimi dati Istat sui redditi delle famiglie (Condizioni di vita, reddito e carico fiscale delle famiglie, report Istat del 5 dicembre 2019) presentano uno scenario ambivalente, con qualche trend positivo, ma con il permanere di forti disuguaglianze. Si evidenzia infatti una leggera crescita: “Nel 2017, si stima che le famiglie residenti in Italia abbiano percepito un reddito netto pari in media a 31.393 euro, 2.616 euro al mese. La crescita rispetto all’anno precedente accelera in termini nominali (+2,6% da +2,0%) ma rallenta in termini reali (+1,2% da +2,1%)”. Ma si segnalano anche forti differenziazioni e disuguaglianze: ad esempio rispetto alla fonte di reddito, “…mentre i redditi da lavoro autonomo e i redditi da pensioni e/o trasferimenti pubblici sono cresciuti rispettivamente del 3,1% e del 2,0%, i redditi da lavoro dipendente sono diminuiti dello 0,5% (prima contrazione dal 2013)”. Inoltre “la disuguaglianza non si riduce: il reddito totale delle famiglie più abbienti continua a essere più di sei volte quello delle famiglie più povere”.
Sembra che le famiglie italiane, quindi, abbiano qualche euro in più in tasca, ma questo riguarda meno le famiglie che vivono di lavoro dipendente (la maggioranza, in effetti), e soprattutto sembra che questi euro in più non siano finiti nelle tasche di chi ne aveva maggiormente bisogno. Infatti “nel 2018, il 20,3% (valore stabile rispetto al 2017) delle persone residenti in Italia (circa 12 milioni e 230 mila individui), risulta a rischio di povertà”. Il differenziale territoriale pare inoltre sempre più marcato: “il Mezzogiorno rimane l’area con la percentuale più alta di individui a rischio di povertà o esclusione sociale (45,0%, seppure stabile rispetto all’anno precedente). Tuttavia, in tale ripartizione si osserva un incremento del rischio di povertà da 33,1% nel 2017 a 34,4% nel 2018”.
Tuttavia le vie della disuguaglianza, nel nostro Paese, si presentano troppo spesso segnate da una dimensione familiare, a conferma di un Paese che non riesce ancora a proteggere alcune scelte familiari, soprattutto le più generative. Infatti – dati 2018 – a fronte del già ricordato rischio di povertà a livello nazionale pari al 20,3% (una famiglia su cinque: già troppe!), una famiglia con tre o più figli minori vede questo rischio salire al 35,9% (più di una famiglia su tre). Ancora più alto del valore del Mezzogiorno, anzi, ecco un altro Mezzogiorno svantaggiato d’Italia: le famiglie numerose! Ed è magra consolazione vedere che il dato è in sensibile diminuzione dall’anno precedente, quando si collocava al 41,1%. Analoga situazione presentano le famiglie con un solo percettore di reddito, che sono a rischio di povertà (2018) nel 35,5% dei casi (sempre a fronte di un valore medio del 20,3%).
Non c’è che dire, entrambi i dati di svantaggio individuano due progetti di vita familiare che il nostro sistema di welfare non vuole in alcun modo tutelare: le famiglie che osano fare il terzo figlio e le famiglie che, per scelta o per necessità, hanno al proprio interno solo un lavoratore.
Di fatto si tratta purtroppo di una conferma: mancano politiche familiari attive, che vogliano cioè intenzionalmente favorire quei giovani che intendono investire in un progetto familiare forte, con quella scommessa di speranza e di futuro che è la scelta di mettere al mondo un figlio in più. Questa scelta – per l’ennesima volta – non appartiene all’agenda delle priorità dell’intervento pubblico. Eppure, dando la vita alle nuove generazioni, questi giovani costruiscono da oggi il futuro del nostro Paese.
Ma è proprio il futuro del Paese che sembra non interessare nessuno, nei Palazzi dove si discute di tutto tranne che di fisco a misura di famiglia, di politiche di welfare per la famiglia, di sostegno alla libertà di scelta dei genitori.