In parallelo alle diverse ipotesi che vengono formulate per dare uno sbocco alla crisi politica, cominciano a essere ventilate anche quelle relative alla revisione dei due provvedimenti cardine del Governo giallo-verde: le pensioni anticipate con quota 100 e i sussidi collegati al reddito di cittadinanza. Frutto, come noto, della combinazione delle diverse sensibilità dei sottoscrittori del contratto di governo. L’elemento scatenante della possibili riforme, per chiunque sarà chiamato con o senza elezioni anticipate al governo del Paese, sarà generato dall’esigenza di mettere in campo una batteria di tagli di spesa finalizzati a compensare la sterilizzazione dei 23 miliardi di introiti fiscali derivanti dall’aumento dell’Iva. La qualità degli specifici interventi sarà influenzata dalle sensibilità delle forze politiche della nuova maggioranza di governo.
Un assaggio di quanto potrebbe accadere è stato anticipato da un’intervista di Salvini, vedi il Corriere della sera del 13 agosto, e da un’uscita pubblica del viceministro dell’Economia della Lega Garavaglia, entrambi rivolti ad attaccare frontalmente gli esiti del reddito di cittadinanza, paventando per il futuro un drastico ridimensionamento del programma in questione. Il leader della Lega ha rimarcato l’effetto disincentivante dei sussidi di cittadinanza che induce i percettori a rifiutare nuove offerte di lavoro, riscontrato anche nelle dichiarazioni di molti imprenditori del Mezzogiorno. Il viceministro dell’Economia mette in rilievo i risultati delle ispezioni della Guardia di finanza sui percettori del sussidi che evidenzierebbero un elevatissima percentuale, circa il 70%, di soggetti che non avevano i requisiti per ottenerli.
Tali affermazioni sono state prontamente contestate dagli esponenti ministeriali pentastellati. Ma nella sostanza gli effetti negativi sottolineati da Salvini e Garavaglia erano ampiamente prevedibili e, come tali, imputabili anche alla loro responsabilità. Date le sperticate assicurazioni che gli stessi esponenti leghisti avevano a suo tempo fornito verso i critici, riguardo la congruità dei controlli preventivi e dei disincentivi introdotti per sanzionare i beneficiari dei sussidi che rifiutano le offerte di lavoro disponibili.
A distanza di 5 mesi dalla pubblicazione della legge, nessuno dei 16 provvedimenti attuativi rivolti a incrociare le informazioni sui redditi e sui patrimoni tra le banche dati disponibili tra le diverse amministrazioni, per assicurare le modalità di accesso ai dati da parte dei soggetti adibiti al controllo preventivo delle domande e a svolgere le attività ispettive, per organizzare le banche dati per l’incontro domanda offerta di lavoro e per definire le modalità di organizzazione dei lavori socialmente utili, è stato portato a regime. Le politiche attive del lavoro, e l’avviamento del personale dei servizi, sono ancora in alto mare e, di conseguenza, l’impossibilità di avviare la presa in carico dei disoccupati per l’avviamento dei percorsi di inserimento lavorativo. Ma anche ammesso che prima o poi tali servizi divengano operativi, agli interessati viene data per legge la possibilità di rifiutare le proposte di lavoro a termine e che non producano almeno un salario mensile di 858 euro. Praticamente la quasi totalità delle offerte di lavoro che vengono generate ogni anno dal sistema produttivo accessibili per una manodopera non qualificata.
Per gli immigrati extracomunitari è stato persino adottato un provvedimento che sospende le approvazioni delle domande in attesa di un decreto che definisca le modalità di accertamento dei redditi e dei patrimoni nei Paesi di origine. Una cosa praticamente impossibile e scientemente utilizzata per delimitare l’accesso alle prestazioni per i cittadini extracomunitari.
In buon sostanza l’Inps sta erogando la gran parte delle 922 mila domande già accolte al 31 luglio u.s. sulla base delle autocertificazioni degli interessati e in assenza di qualsiasi condizionalità per la ricerca del lavoro da parte degli stessi. Non è necessario essere degli esperti o dei ricercatori per comprendere le conseguenze di questo modo di operare.
Questa situazione è rimediabile? È ragionevole in prospettiva una revisione del reddito di cittadinanza? Sulla carta certamente sì, ma gli effetti pratici sarebbero poco significativi sul piano finanziario e nella sostanza. Questo perché la normativa in essere continuerà a produrre i suoi effetti per tutte le domande già inoltrate almeno per la durata dell’intera prestazione. In pratica per gli impegni finanziari assunti per la copertura del prossimo biennio (che prevedono comunque un risparmio di circa 3 miliardi di spesa rispetto alle coperture originali e che sono già stati ipotecati dall’attuale Governo per il contenimento del deficit pubblico). Il recupero delle somme indebitamente percepite rimane teoricamente possibile, ma comporta incertezze e costi che nella gran parte dei casi vanificano i potenziali introiti.
La scarsa possibilità di recuperare risorse modificando le norme in essere vale anche per la Quota 100. Ventilare ipotesi di reintrodurre un innalzamento della età pensionabile produrrebbe un’accelerazione delle domande di pensione da parte delle persone che hanno già maturato i requisiti e una riproposizione del fenomeno degli esodati nelle aziende che li hanno utilizzati adottando le misure di accompagnamento alla pensione. Questo significa, in buona sostanza, che i buoi sono già fuori dalla stalla e che ogni auspicabile riforma di queste prestazioni potrà produrre risultati solo nel medio periodo. Con responsabilità evidenti di tutti gli attori del Governo in carica.