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Home » Politica » REFERENDUM 2025/ Il giurista: ecco perché l’astensione è un valore

  • Politica
  • Referendum

REFERENDUM 2025/ Il giurista: ecco perché l’astensione è un valore

Int. Mario Esposito
Pubblicato 5 Giugno 2025 - Aggiornato alle ore 17:46
(Ansa)

(Ansa)

Astenersi al referendum è cosa completamente diversa dal non voto alle consultazioni comunali e politiche. C'è invece chi alimenta la confusione

C’è chi ha parlato di “furbizia poco onorevole”, di “spreco della democrazia”, riferendosi alla strana dichiarazione della presidente del Consiglio Meloni, quando ha detto che si sarebbe recata a votare in occasione dei referendum dell’8-9 giugno, ma senza ritirare la scheda; una risposta che ha scatenato le ire del Pd e della Cgil, fautori della consultazione, e le interpretazioni più disparate.


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Tutte i tentativi di interpretare la mossa della premier si sono incagliati davanti a un punto: non è così che si contribuisce al quorum, se la preoccupazione è quella istituzionale di non “sfiduciare” i referendum. Non è più sensato a quel punto registrarsi e restituire la scheda, oppure ripetere quanto la Costituzione prevede, e cioè che l’astensione è un’opzione prevista dallo stesso istituto referendario?


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Eppure, proprio in questa direzione si incontra la presa di posizione dei vescovi italiani, secondo i quali “l’astensione svuota la democrazia”. Ma neppure questo è vero, ci spiega Mario Esposito, ordinario di diritto costituzionale nell’Università del Salento e docente alla Luiss di Roma.

Professore, ha sorpreso tutti la posizione adottata dalla presidente del Consiglio sui referendum dell’8-9 giugno. Che idea si è fatto in proposito?

Si potrebbe ritenere che si tratti di una forma paradossale di richiamo al valore partecipativo dell’astensione: il rifiuto della scheda viene annotato nei registri elettorali e questo potrebbe essere inteso a dimostrare che astenersi non vuol dire disinteressarsi del referendum.


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Domanda che sembrerà scontata, ma forse non lo è. Che cos’è il quorum – o meglio: qual è il suo significato politico?

In effetti pare aleggiare ancora e sempre un equivoco sulla questione del quorum costitutivo, ossia del numero minimo di aventi diritto al voto la cui partecipazione è necessaria affinché il referendum possa svolgersi validamente. Si tratta di un elemento molto importante nel contesto della disciplina costituzionale del referendum, che è uno strumento di diretta decisione popolare. All’iniziativa dei proponenti, volta a provocare l’abrogazione di una legge – per ragioni che possono essere molto diverse, dall’illegittimità costituzionale alla opportunità politica –, i cittadini elettori che siano contrari all’abrogazione hanno due strumenti per manifestare tale loro volontà: l’astensione e l’espresso voto negativo.

Che differenza c’è?

Si tratta di due diverse gradazioni del dissenso: l’astensione vuole significare radicale opposizione all’iniziativa, il voto contrario, invece, presuppone una valutazione di opportunità quanto all’iniziativa medesima, ma un dissenso nel merito.

C’è voto e voto: a chi giova scambiare l’astensione in sede di referendum abrogativo con la disaffezione al voto in occasione di consultazioni politiche o amministrative?

Forse solo a chi vuole indurre confusione. L’astensione in sede referendaria, e lo dimostra il fatto stesso che se ne dibatta con tanto interesse, è, non solo giuridicamente, ben altra cosa dal cosiddetto astensionismo alle elezioni politiche o amministrative. Aggiungerei che il valore giuridico dell’astensione referendaria arricchisce una delle vocazioni del referendum, che consiste nell’emersione di opinioni e persino di soggetti politici diversi da quelli già presenti in Parlamento.

L’istituto referendario appare in crisi, forse non per colpa sua: quorum mancati, referendum abrogativi su quesiti considerati “complicati”, referendum rimasti inattuati. Ci aiuta a capire?

Il referendum, sin dalla sua cosiddetta attuazione con la legge n. 352/1970, patisce uno strano destino. È senza dubbio una delle forme di esercizio della sovranità popolare, ma è stato ridotto, già con la legge citata, ad uno strumento ancillare, se non addirittura eccettivo, rispetto a quelli rappresentativi, non di rado sul presupposto – tacito – che il corpo elettorale sia in fondo pur sempre un grand enfant, un incapace o un quasi incapace, che necessita di tutela e di guida.

Come giustifica questa affermazione?

Basti considerare la giurisprudenza creativa della Corte costituzionale in materia di chiarezza del quesito ed omogeneità dell’oggetto, assumendo che altrimenti sarebbe compromessa la libertà dell’elettore, con conseguente deriva plebiscitaria del voto referendario.

Lei cosa pensa?

A me pare che, al contrario, proprio la spinta verso la “semplificazione” giochi a favore di un riduzione di tale voto – che è di natura deliberativa – ad una funzione di “adesione”. E del resto è davvero singolare e quasi contraddittorio supporre, in una democrazia fondata sul principio della sovranità popolare, che il corpo elettorale che sceglie i membri delle Camere ne sappia meno di questi, no?

(Federico Ferraù)

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Tags: Giorgia MeloniCgilPdGoverno Meloni

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