I mercati azionari europei, quello italiano incluso, ieri sono rimbalzati e hanno chiuso con ottimi rialzi. È probabile che i mercati abbiano “festeggiato” il cessate il fuoco in Ucraina e scommesso che gli scenari peggiori sembrino per ora esclusi. Dopotutto martedì sui quotidiani mainstream italiani sono comparsi articoli su come difendersi dagli attacchi nucleari. Il dato, in questo caso, è che se ne sia parlato come di un argomento se non serio almeno semi-serio. Se questi scenari non ci sono più è lecito un sospiro di sollievo anche borsistico.
Oltretutto sui mercati la liquidità è ancora abbondante perché il Qe della Fed è finito solo ieri; i tassi sono ancora bassissimi e molto inferiori a un’inflazione galoppante. Il mercato, giusto o sbagliato che sia, e gli investitori sono ancora obbligati a rimanere investiti e a comprare anche se consci della gravità della situazione. Basta un cessate il fuoco rispetto a una situazione oggettivamente grave per far esplodere il mercato al rialzo.
I danni che l’economia reale ha subito e subirà sono emersi solo in minima parte. Le chiusure di aziende e rincari delle bollette che bucano la cronaca del conflitto riflettono la crisi energetica che c’era prima dello scoppio della guerra ucraina. Il prezzo del gas in Europa dopo il calo del 25% di ieri è comunque del 60% superiore rispetto alla media del quarto trimestre 2021; il prezzo del petrolio è del 50% superiore a quello del quarto trimestre 2021. Questa è solo una parte del problema visto che rialzi mai visti hanno coinvolto il prezzo di molti prodotti agricoli e materie prime. C’è una questione di prezzo, ma c’è anche una questione di disponibilità. Ieri, per esempio, l’associazione nazionale dei produttori di alimenti zootecnici lanciava l’allarme sulla disponibilità di mais (che arriva dalla Russia): si rischia l’abbattimento di capi per mancanza di alimenti.
La guerra in Ucraina ha prodotto le sanzioni che hanno prodotto i rincari e la fine delle forniture, ma l’effetto sull’economia reale non si è ancora visto. Le aziende stanno chiudendo in questi giorni e il taglio alle catene di fornitura si vedrà tra qualche settimana o tra qualche mese a seconda dei settori. Se gli investitori sono obbligati a rimanere sui mercati questo non vuol dire che non comincino a fare i conti. Per esempio, ieri in una giornata molto positiva per la borsa di Milano lo “spread” è rimasto invariato.
La crisi ucraina è scoppiata due settimane fa e le sanzioni non sono vecchie neanche di dieci giorni. La velocità delle informazioni, delle decisioni politiche e del cambio di narrazione arriva infinitamente prima degli impatti sull’economia reale che vengono oltretutto mediati dalle scorte. Le sanzioni non rientreranno solo perché, ringraziando Dio, non è scoppiata una guerra calda, ma rimarranno e produrranno effetti sia di qua che di là della cortina; di questi effetti si è appena iniziato a discutere perché tutta l’attenzione è ancora sulla cronaca della guerra. Se non si trovano alternative ai flussi fisici delle forniture di gas, petrolio, cereali o fertilizzanti o se ne trovano di “finte”, che ci consegnano un mondo profondamente diverso e più ostile a famiglie e consumatori, occorrerà rifare i conti sulle stime di utili societari, su quelle del Pil e dei debiti pubblici. Tutti esercizi che oggi o non vengono fatti o vengono fatti sotto voce anche per paura di passare per disfattisti o peggio ancora collaborazionisti.
Le valutazioni più difficili sono relative alle conseguenze politiche di questa crisi sia in termini di elettorato interno che di rapporti in Europa. Per esempio, l’Ungheria, ma non solo lei, ha annunciato il divieto di esportazioni di grano “nazionale” anche all’interno dell’Unione europea. L’europeismo ha preso una pausa anche a febbraio 2020 con la chiusura delle frontiere ed episodi, per esempio sulle forniture mediche, ancora più spiacevoli. Gli effetti delle sanzioni sull’economia reale sono più duraturi e più gravi di quelli del Covid. Nel 2020 l’Italia non aveva il problema del grano per la pasta o del riscaldamento piuttosto che dei mangimi per gli animali o i fertilizzanti. La variabile politica è già entrata nella testa degli investitori più “smart” anche se nel frattempo comprano “solo” perché scommettono che sia troppo presto per un cambio di paradigma.
Fino a che il prezzo del gas rimane, come ieri, dieci volte superiore a quello di dodici mesi fa e non si rimpiazzano le forniture russe di idrocarburi e materie prime il problema non è risolto e cova. Questo vale anche se il mercato mettesse a segno il rally del secolo.
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