«Il vaccino serve ma non basta»: ci vuole coraggio, specie di questi tempi in cui al minimo dubbio sulla gestione della pandemia si è subito bollati come “no vax” o simili, a sostenere tesi del genere sulla prima pagina di “Repubblica”. Ebbene, Luca Ricolfi lo è coraggioso non tanto per “spavalderia” quanto per contenuti e per dati che porta a sostegno delle sue testi statistiche e sociologiche.
Nel suo editoriale il punto non è, come si potrebbe pensare, sostenere che l’unica vera arma che abbiamo contro la pandemia da Covid-19 sia inutile: tutt’altro, i numeri riportati anche da Ricolfi dicono che senza il vaccino o con dati molto bassi come nei Paesi dell’Est Europa il tasso di mortalità e l’occupazione delle terapie intensive è «14 volte quello dell’Italia». Dunque il punto è un altro, ovvero far capire alle persone (e alle autorità in primis) che in sostegno della grande opera vaccinale occorre fare di più per poter davvero convivere nel tempo con questa insostenibile pandemia mondiale.
IL PUNTO DI RICOLFI: “VACCINO NON LIMITA DIFFUSIONE COVID”
Per prima cosa, occorre sgombrare il campo da banali “autoassoluzioni” su come siamo bravi e belli nel fronteggiare la pandemia: scrive Ricolfi su “Repubblica”, «l’Italia non è affatto un’isola relativamente felice, e tantomeno un modello per gli altri Paesi. Se guardiamo alla mortalità dell’ultimo mese, ci sono 13 Paesi che stanno meglio di noi (tra cui Giappone, Svezia, Israele, Spagna, Portogallo, ndr) e 12 che stanno peggio». Come sui morti per milione di abitanti (con l’Italia a 23,04 vittime al mese), lo stesso accade anche sul valore di Rt: «metà dei Paesi ci precede e metà ci segue». Insomma, l’epidemia corre anche da noi nonostante le nostre politiche su vaccinazioni, Green Pass e Super Green Pass (da oggi 6 dicembre al via le nuove regole anti-Covid, qui il focus). Il che significa che, sebbene il siero anti-Covid riduca drasticamente la mortalità, non ha alcun impatto «apprezzabile sulla diffusione del contagio. Dunque vaccinare è necessario, ma non sufficiente». Secondo Ricolfi – che ammette di preferire questa spiegazione sebbene non vi sia ancora una analisi ben strutturata con dati sufficienti a capirne l’effettiva portata – al momento la «capacità dei vaccinati di trasmettere l’infezione sia stata sottovalutata». O meglio, siccome si è pensato che con i vaccini ci si protegge dalla morte (vero) e dalla grave malattia (vero) si è anche immaginato che con gli stessi si potesse rallentare la trasmissione (falso).
COSA SI PUÒ FARE DI PIÙ CONTRO IL COVID
Per il sociologo della Fondazione Hume il Governo è stato quantomeno imprudente nella strategia del “premiare i vaccinati” con Green Pass e con limitazioni delle quarantene a scuola. Dunque cosa fare? Qui arriva la proposta-consiglio di Luca Ricolfi che pone almeno due punti all’ordine del giorno totalmente dimenticati dalla politica (non solo italiana): «siamo sicuri che la ricetta italiana, fatta di vaccini + restrizioni, sia la strada giusta per tenere sotto controllo l’epidemia? Io penso che non lo sia, e che anche l’Europa dovrebbe cominciare a riflettere sul problema. L’esperienza di due stagioni fredde e due stagioni calde dovrebbe averci insegnato che l’illusione di domare il virus prende forma e si consolida in estate, ma svanisce con l’autunno». Al di là delle vaccinazioni perenni, come già si intuisce all’orizzonte possa avvenire nei prossimi anni, per l’esperto occorre studiare già da ora (e siamo in ritardo su questo) ad altre strategie da aggiungere al vaccino per contrastare e debellare davvero questa malattia. In primis, «il tracciamento elettronico (abbandonato dopo il fallimento dell’app Immuni) e la messa in sicurezza degli ambienti chiusi, a partire da scuole, uffici, metropolitane, con filtri e ventilazione meccanica controllata». L’elemento comune (e positivo, ci aggiungiamo) di questa tipologia di interventi è che non ricade sulla libertà dei singoli mentre ne aumenta la qualità di vita nell’affrontare la stagione fredda, «il vero tallone di Achille della lotta al virus», chiosa Ricolfi.