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Home » Esteri » Medio Oriente » RICOSTRUZIONE GAZA/ “Ecco la ricetta per un boom economico e morale come nel dopoguerra in Europa”

  • Medio Oriente
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RICOSTRUZIONE GAZA/ “Ecco la ricetta per un boom economico e morale come nel dopoguerra in Europa”

Int. Rony Hamaui
Pubblicato 18 Ottobre 2025
A Gaza City, dopo un bombardamento israeliano, 3 ottobre 2025 (Ansa)

A Gaza City, dopo un bombardamento israeliano, 3 ottobre 2025 (Ansa)

Alcune stime parlano addirittura di 80 miliardi di dollari per ricostruire Gaza. Ma quello che conta è il contributo dei privati e la fiducia della gente

La stima dei lavori è nell’ordine delle decine di miliardi di dollari, le macerie da rimuovere sarebbero 61 milioni di tonnellate, gli edifici da ricostruire il 78%. La ripresa per Gaza sarà difficile perché gli attacchi dell’IDF l’hanno quasi completamente devastata. I soldi, però, in arrivo dai Paesi del Golfo, ma anche da Unione Europea e USA, non dovrebbero mancare, per una ricostruzione che dovrà per forza di cose partire dalle infrastrutture.


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Il vero problema, tuttavia, racconta Rony Hamaui, docente di scienze bancarie all’Università Cattolica di Milano ed esperto di economia e finanza islamica, non è questo.

L’Europa dopo la Seconda guerra mondiale ha fatto vedere che la ricostruzione di un mondo forse ancora più distrutto di quello della Striscia può avvenire in tempi relativamente brevi, quello che conta è che ci sia un clima di fiducia da parte della gente, capace di mettere da parte l’odio maturato nel conflitto per realizzare un futuro migliore per tutti.


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Solo se lo spirito è questo, aiutato anche da una nuova classe dirigente, si può ripetere un “miracolo economico” come quello europeo dalla fine degli anni 40 in poi.

Alcune stime parlano di 80 miliardi di dollari, ma quanto costerà, in realtà, la ricostruzione di Gaza?

Ovviamente è un elemento estremamente difficile da valutare. C’è chi dice 20 miliardi, chi 50, chi 80. Credo che la stima più ragionevole sia 50, questo, almeno, è quello che ha detto in un primo momento la Banca Mondiale, anche se poi si è rimangiata la valutazione e l’ha aumentata.

Alla fine i soldi chi li metterà? E poi esiste già un piano chiaro su quello che si dovrà fare?


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Non esiste ancora un piano. Per quanto riguarda i finanziamenti stiamo parlando di un’area ricca di capitali, dove non si fa fatica a trovare dei soldi, in più l’Unione Europea, che pure nella vicenda ha avuto un ruolo molto marginale perché divisa al suo interno, credo che voglia giocarne uno. E anche gli Stati Uniti sono disposti a metterci qualche soldo. Credo, comunque, che non sia principalmente un problema di soldi.

Qual è il punto allora?

Qualsiasi tipo di ricostruzione ha bisogno del settore privato, e perché si muova c’è bisogno che la gente ci creda, che abbia fiducia. Questo è quello che ci insegna la storia di tutte le ricostruzioni, inclusa quella del secondo dopoguerra in Europa: fu un grandissimo successo e portò al boom economico perché si creò un clima di fiducia nel futuro, in cui fu abbandonato l’astio per il nemico per far nascere un clima di rappacificazione vera. Sono queste le fondamenta della ricostruzione.

In Italia Togliatti volle che i fascisti non fossero perseguitati più di tanto, ci fu l’amnistia. Se nell’area si creerà questo clima di fiducia negli altri, che non è solo pace, allora i risultati saranno straordinariamente positivi.

Altrimenti cosa può succedere?

Se invece la ricostruzione sarà semplicemente una distribuzione di soldi usati in qualche modo, i fondi verranno di nuovo utilizzati per costruire ospedali e scuole sotto i quali troveranno posto i tunnel e si realizzeranno depositi di armi: in questo modo non servirà a niente.

Non è una cosa impossibile ricostruire, anzi sono contrarissimo alle teorie secondo le quali israeliani e palestinesi si odieranno per 50 anni: gli uomini dimenticano molto velocemente se di fronte a loro hanno degli obiettivi precisi e una possibilità per il futuro. Per questo dico che non è prima di tutto una questione di quanti soldi ci vogliono e da dove vengono. È una questione politica.

A chi toccherà guidare la ripresa? I soldi probabilmente arriveranno per prima cosa dai sauditi, dagli emiratini, dal Qatar. Gli USA lasceranno a loro la gestione?

Credo che all’inizio non ci sarà una guida monolitica, ma affidata a una pluralità di soggetti. A un certo punto, però, dovrà nascere una leadership politica, sia in Israele che in Palestina, che crei un clima di fiducia, perlomeno a livello di leader.

Poi possono esserci anche delle fazioni che remano contro, ma se sono marginali non sarà rilevante. Anche in Italia c’erano dei fascisti dopo la Seconda guerra mondiale, e comunisti che volevano farli fuori, però la guida politica è finita nelle mani di gente che sia nel Partito Comunista che negli altri partiti voleva una riconciliazione nazionale.

L’unico progetto concreto che ci è stato presentato finora per la Striscia di Gaza è quello della Riviera di Trump. Come possiamo immaginare il futuro dell’area?

Gaza City
Gaza City, 15 settembre 2025. Israele ha appena colpito la torre residenziale di Al-Ghafari (Ansa)

La Riviera non la considero un progetto vero e proprio, è stata solo una provocazione. Credo che bisognerà cominciare gioco forza dalle infrastrutture, dagli ospedali, dalle scuole, dalle strade. Penso che ci siano grandi opportunità perché la Palestina è un Paese ricco di uomini, di forza lavoro, e Israele è un Paese ricco di conoscenze che si possono benissimo integrare.

Hanno bisogno l’uno dell’altro: anche il piano Marshall all’inizio non era definito nei suoi dettagli, ma poi via via i governi che si sono succeduti hanno utilizzato i soldi a disposizione sfruttando il clima di fiducia che si era creato e che aveva segnato tutti i Paesi europei, a partire da Germania e Francia. Le ricostruzioni sono sempre state delle grandissime opportunità.

Chi farà parte del board che guiderà la ripresa? E quanto inciderà sul lavoro la rimozione delle macerie, tenendo conto anche dei cadaveri ora sepolti sotto i detriti?

Dopo la guerra l’Europa era piena di macerie: a Milano ci hanno realizzato il Monte Stella, ce n’erano molte di più di quelle che vediamo a Gaza.

Eppure in pochissimi anni sono sparite dalle strade e ci si è costruito sopra. Non è questo il problema, anzi, viene mitizzato da una parte che in realtà non ha nessun interesse a una vera ricostruzione. Ci sarà anche una speculazione immobiliare, come dappertutto in queste occasioni, ma alla fine sarà una grande opportunità. Quello che mi preoccupa, ripeto, è l’aspetto politico, il clima che si stabilirà.

Quanto tempo ci vorrà per ricostruire?

Potrebbero essere velocissimi se tutti lavoreranno nella stessa direzione. In Europa ci abbiamo impiegato pochissimi anni. Qualcuno parla di decenni, ma sono valutazioni che non corrispondono al vero. Ricordiamoci cos’era la Germania dopo il secondo conflitto mondiale. Com’era Milano? E Roma? In tutto il Nord c’erano imprese e fabbriche distrutte.

Dal punto di vista economico quali sono i settori in cui può rinascere Gaza? Nel Mediterraneo orientale c’è il gas e c’è chi sostiene che si tratta di un’area con potenzialità turistiche. Su cosa si punterà?

In un mondo in cui si va riducendo la forza lavoro il punto di forza è proprio questo: sono le persone. In Israele mancano lavoratori, che infatti vengono fatti arrivare dall’Oriente, con un’immigrazione molto complicata. Nella Striscia le risorse sono dentro casa, non parlo solo dal punto di vista demografico: potrebbe esserci molta gente che ha voglia di impegnarsi perché crede in quello che fa e immagina un futuro positivo.

Cosa bisogna fare allora per sostenere lo sviluppo?

Non bisogna costruire un’economia di sussidi, come purtroppo ha fatto l’ONU in tutti questi anni. È giusto distribuire soldi per far mangiare le persone, però a un certo punto occorre renderle autonome. Ci vogliono iniziative e contributi dei privati perché il contributo pubblico da solo non porta a niente.

La Striscia non ha particolari risorse naturali, a parte il gas nel Mediterraneo, però è un posto oggettivamente molto bello. C’è una natura interessante. Prima di tutto, comunque, bisogna puntare sul capitale umano.

(Paolo Rossetti)

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