Con la riforma della Corte dei conti voluta dal governo si rischia una sostanziale impunità degli amministratori pubblici. Ecco perché
Attualmente in esame alla Camera, la nuova riforma della Corte dei conti, spiega Vito Tenore, presidente di sezione della Corte dei Conti, professore presso la SNA, contribuisce ad approfondire la distanza e la sfiducia tra cittadini e istituzioni, perché introduce una sostanziale impunità per gli amministratori pubblici. Una riforma di cui nessuno parla, ma che avrà un impatto sulla gestione della cosa pubblica. C’è bisogno di una informazione più accurata e in ultima analisi di un referendum per dare ai cittadini la possibilità di bloccarla.
Presidente Tenore, da cittadino, ancor prima che da magistrato e docente, cosa coglie nei rapporti tra cittadini e istituzioni nell’attuale società?
La domanda si presta una risposta “monumentale”: tanti, e non sempre apprezzabili, sono i cambiamenti intervenuti negli ultimi 30 anni nel nostro rapporto, come cittadini, con istituzioni quali il parlamento, il governo, i ministeri, gli enti territoriali, la magistratura, la sanità, le forze dell’ordine, la scuola.
Ma anche il rapporto tra le stesse Istituzioni è mutato, divenendo meno rispettoso dei rispettivi ambiti. Sicuramente percepibile è un diffuso minor rispetto, ad ogni livello, delle istituzioni e dei loro rappresentanti a causa sia di una perdita più generalizzata del valore del rispetto del prossimo (e dunque delle istituzioni) in una società egoista ed egocentrica, sia del fastidio con cui è percepito il rapporto di preminenza delle finalità delle istituzioni rispetto a interessi personali (si pensi, per tutti, ai nostri rapporti malati con il fisco, visto come un “nemico”), sia infine della minore affidabilità delle istituzioni nella percezione dei cittadini per la modestia qualitativa e quantitativa dei servizi resi.
A cosa è riconducibile questa minore affidabilità delle istituzioni, a suo avviso?
Le ragioni sono tante e concorrenti: sicuramente ha un ruolo centrale un peggioramento qualitativo, etico e culturale delle persone, anche apicali, con ruoli di amministratori e dirigenti che ci governano. Tale involuzione è sicuramente causata da una evidente carenza di ben metabolizzati valori costituzionali, di solidi studi basici alle spalle (a cui non può sopperire la stupidità di informazioni rubate sul web, o l’ottusità di alcune intelligenze artificiali), di adeguata formazione scolastica (non esiste più selezione basica negli studi fatta di bocciature dei meno dotati), universitaria (connotata da università fisiche, ma anche telematiche e “telepatiche”, veri e propri “titolifici”), di crescita postuniversitaria (master spesso inutili o affidati a figure banali; assenza di scuole di partito serie).
Ci sono anche altri motivi?
Questa minore affidabilità delle istituzioni è frutto anche di interferenze lobbistiche, clientelari, o mercantili nella scelta di ruoli politici e gestionali apicali. Il talento e la competenza talvolta riescono ad emergere, ma la regola è che sono gli uomini “di relazione”, i “faccendieri di palazzo”, i “grandi burattinai della politica”, “i pontieri del lobbismo” a fare le scelte apicali nelle istituzioni, non sempre ispirate al merito culturale, alle capacità gestionali, all’etica delle condotte e dunque alla democrazia reale ispirata a tali valori di matrice costituzionale.
Come giudica le attuali nuove normative assunte (scudo erariale, art. 21, d.l. 76 del 2020) o in fase di adozione (progetto di legge Foti C.1621) riguardanti la Corte dei conti?
Come ho scritto in altra sede, non le giudico positivamente, ma non per difesa di bandiera della importante istituzione per la quale lavoro, la Corte dei conti, bensì per la totale inutilità delle due novelle a cui si riferisce e di cui la società reale, volutamente ignorata dalla politica, non aveva nessun bisogno.
Va premesso, per una adeguata comprensione di ciò che sta accadendo in Italia sul piano giudiziario e dunque istituzionale, che le modifiche attuate e attuande concernenti la Corte dei conti si inseriscono in un contesto sociale, culturale e politico, che connota il nostro Paese più di altri, ovvero l’involuzione verso “l’impunità” a fronte di condotte illecite. Tale involuzione è espressiva di una evidente riluttanza e fastidio degli amministratori, centrali e locali, a essere giudicati dalla magistratura, a fronte di violazioni di regole democraticamente fissate.
Da cosa si capisce?
È evidente ad ogni cittadino attento che tutti i più recenti interventi normativi degli ultimi anni si ispirano alla impunità giudiziaria attraverso il depotenziamento generalizzato della responsabilità penale e amministrativo contabile, riconducibile, forse, a un antico timore per la meritoria stagione del contrasto alla “tangentopoli”.
Nel campo penale, dopo la non lontana stagione degli interventi normativi “ad personam”, è oggi di solare evidenza il depotenziamento generalizzato della funzione preventiva e dissuasiva della responsabilità penale attraverso l’abrogazione dell’abuso d’ufficio (basilare presidio per prevenire condotte illegali nelle PA), attraverso limitazioni alle intercettazioni telefoniche (basilare strumento di investigazione e di accertamento di reati, che non ha alternative praticabili), attraverso la separazione delle carriere giudicanti e requirenti, verosimilmente tesa a una successiva nomina politica dei vertici delle procure, con evidenti possibili strumentalizzazioni.
E per la Corte dei conti tale “depotenziamento” in cosa si traduce?
In un sistema democratico fondato sul rispetto delle istituzioni e delle loro funzioni, gli italiani devono ricordare che la Corte dei conti è una magistratura, voluta dalla Costituzione, che li tutela nei loro sacrifici quotidiani, in quanto vigila sulla corretta spesa dei soldi pubblici da parte di amministratori e dirigenti, soldi frutto delle tasse degli italiani. Spese di denaro pubblico inutili o contro la legge, sprechi in inadeguate opere e servizi pubblici, uso privato di beni e denari pubblici, costano miliardi di euro agli italiani.
Pertanto non si possono condividere scelte normative, come lo scudo erariale (art. 21, d.l. n. 76 del 2020) e il progetto di legge Foti C1621, ispirate alla impunità di amministratori e dirigenti che mal spendono il denaro della collettività. A questo tende il progetto di legge Foti, voluto solo e soltanto dalla politica e non certo dagli italiani, mai consultati o informati di questa modifica normativa.
Cosa significa questo per il lavoro dei giudici contabili?
La Corte dei conti combatte contro tangenti legate ad appalti, opere inutili realizzate o mal costruite, appropriazione di contributi e finanziamenti pubblici usati a fini privati, incarichi e consulenze ad amici, assunzioni di persone senza titoli, mazzette in occasioni di ispezioni, cattiva manutenzione di strade e beni pubblici, rimborsi a politici per spese personali, furbetti del cartellino e fannulloni. La scelta di depotenziare la Corte dei conti, garante delle casse pubbliche, è solo e soltanto una scelta fatta dalla politica: vogliamo chiedere pubblicamente agli Italiani se vogliono limitare o sopprimere la Corte dei conti, conoscendone le reali meritorie funzioni?
Propone una consultazione popolare?
La democrazia si fonda sulla condivisione delle scelte, soprattutto se incidono sulle funzioni costituzionali attribuite alle istituzioni. Ritengo che la politica abbia da anni perso il polso della base elettorale: gli italiani, se si facesse un referendum in materia, non avallerebbero l’impunità di amministratori e funzionari che con gravi condotte colpose o dolose arrechino danni alla cosa pubblica, al bilancio pubblico, in sintesi sperperino i soldi versati dagli italiani con le proprie tasse senza rendere servizi alla collettività con onestà e competenza.
La sostanziale impunità (o la modestia delle responsabilità) a cui tendono le norme predette (scudo erariale, d.l. n.76 del 2020 e progetto di legge Foti C1621) si tradurrà in un accollo sulla collettività, attraverso incremento di tasse e attraverso minori servizi, dei costi sopportati dalle pubbliche amministrazioni per condotte dannose e gravemente inadeguate di amministratori e funzionari.
Ha altre proposte per discutere con maggior obiettività di questi interventi normativi in corso e incidenti sulle funzioni della Corte dei conti?
Avrei una proposta in particolare, che riguarda voi giornalisti: l’obbligo deontologico di informare l’opinione pubblica dovrebbe spingere testate televisive, radiofoniche e giornalistiche a spiegare con semplicità e chiarezza argomentativa ai cittadini, di qualsiasi estrazione culturale, cosa sta accadendo “a loro insaputa” sul piano normativo.
Nonostante meritori sforzi anche mediatici svolti dall’associazione Magistrati della Corte dei conti (nella persona della fattiva Paola Briguori) e inascoltate interlocuzioni parlamentari dei vertici della Corte (in primis del presidente Guido Carlino), è coglibile in modo evidentissimo la quasi totale assenza di informazione sulla riforma in atto, pur trattandosi di tema di alto impatto sociale.
A tale assordante silenzio dei media fa meritoria eccezione la vostra testata, che encomiabilmente ha voluto dedicare al tema questa mia riflessione sulla involuzione normativa verso l’impunità di amministratori e dipendenti pubblici, con accollo dei danni subiti dalle amministrazioni in capo ai cittadini, che pagheranno più tasse e avranno meno servizi.
Come bisogna procedere allora?
Sarebbe auspicabile, in un Paese democratico, una maggior informazione chiara sul tema e, magari, un leale confronto televisivo sul tema dell’impunità degli amministratori con chi si è fatto promotore di queste improvvide novelle normative, adottate e adottande, per avere, davanti agli occhi degli italiani, opinioni contrapposte a confronto e consentire all’opinione pubblica e ai media di farsi un’idea veritiera di cosa sta accadendo “a loro insaputa”.
(Marco Tedesco)
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