Riforma della Corte dei conti: Kelany (FdI) spiega il ddl Foti. Il Parlamento non sta facendo altro che applicare il dettato della Corte costituzionale
Un disegno di legge per rendere più efficiente la Corte dei conti e per snellire le procedure amministrative, liberando i funzionari della PA dalla cosiddetta “paura della firma”, una spada di Damocle che pende sul capo degli amministratori e che nel trentennio post-Tangenpopoli ha bloccato molte opere pubbliche, sottoponendo la PA ad un regime di paura – il “tinitinnar di manette” – che ha segnato la nostra peggiore stagione e lasciato una eredità “culturale” ancora palpabile, secondo la quale i faccendieri da punire costituiscono pressoché la norma.
Il ddl non rappresenta in alcun modo un attacco alla magistratura contabile. Semmai avviene l’opposto. Come spiega Sara Kelany, deputata di Fratelli d’Italia e relatrice di maggioranza, la riforma dà corso a una sentenza della Corte costituzionale, nella quale si chiede espressamente di liberare gli amministratori pubblici dallo spettro di un’azione nei loro confronti per responsabilità erariale. Un obiettivo al quale si punta anche attraverso una collaborazione tra pubblica amministrazione e Corte dei conti, che svolgerà un controllo preventivo di legittimità: un modo per rasserenare l’attività degli amministratori.
Il DDL Foti vuole efficientare la Corte dei conti, diversi magistrati però dicono che alle procure vengono tolti gli strumenti per impedire che i soldi pubblici vengano spesi in modo inutile o illecito. La riforma diminuisce le possibilità di sanzionare gli amministratori che non hanno usato bene il denaro pubblico? Come avviene l’efficientamento?
Questa riforma era doverosa ed è del tutto evidente che non si diminuisce in alcun modo la possibilità di sanzionare l’amministratore infedele e che non ha utilizzato bene il denaro pubblico. Sgomberiamo il campo da ogni equivoco: la stessa Corte costituzionale, con la sentenza 132 del 2024, ha espressamente affermato la necessità di un intervento normativo strutturale che aiutasse gli amministratori pubblici a liberarsi dalla paura della firma, e la proposta di legge Foti si iscrive esattamente nel solco dei principi fissati dalla Consulta, che chiede un efficientamento della pubblica amministrazione. La PDL, in buona sostanza, valorizza il ruolo consultivo della Corte dei conti e il controllo preventivo di legittimità, restituendo alla magistratura contabile quel ruolo di soggetto che opera a fianco della pubblica amministrazione.
Secondo i detrattori della riforma, si mette mano alla Corte dei conti sostenendo che c’è un problema di recupero delle somme che condanna a risarcire, anche se questo spetterebbe alle amministrazioni danneggiate. È un problema che vi siete posti? Come va risolto?
Noi ci siamo posti il problema del recupero delle somme anche perché i numeri sono impietosi e raccontano di un recupero che non sfiora l’8% delle somme oggetto di sentenze passate in giudicato. La capienza e la solvibilità dei soggetti che vengono condannati è un tema da tenere necessariamente in considerazione, ed è per questo che è stato affrontato il tema del potere di riduzione del giudice contabile e il tetto massimo per le condanne. Aggiungo, per coloro che ritengono che un tetto massimo che ammonta a due annualità di stipendio sia un tetto risibile, che non conoscono evidentemente come può incidere sulla vita di un amministratore una tale somma. Resta forte la funzione deterrente anche con questo tetto e si consentirà sicuramente un recupero più agevole, che andrà a tutto vantaggio dell’erario. Chiedo ai detrattori: a cosa servono condanne milionarie se restano solo sulla carta?
Spesso si dice che le amministrazioni pubbliche bloccano progetti perché i funzionari vengono presi da una sorta di paura della firma, temendo conseguenze giudiziarie nei loro confronti. In che termini esiste il problema e come si concilia la necessità di velocizzare gli interventi pubblici e di garantire che i soldi dello Stato vengano spesi bene?
È effettivamente così. Noi, nel nostro programma elettorale, avevamo promesso ai cittadini di snellire la pubblica amministrazione, consentendole di essere più agile. Questo è uno dei tasselli fondamentali nel percorso che ci porta al raggiungimento di questo obiettivo. Se un amministratore sa di avere sul suo capo una spada di Damocle di un procedimento per responsabilità erariale per un tempo indefinito, non ha la collaborazione nella fase preventiva da parte della Corte dei conti e sa che le sue scelte potranno essere sindacabili anche se assunte in assoluta buona fede, è del tutto evidente che spesso resti paralizzato. Ed è quello che per troppo tempo è avvenuto. La necessità che l’amministrazione si velocizzi e che i soldi vengano spesi bene sta proprio nel rendere la fase prodromica di collaborazione tra pubblica amministrazione e Corte dei conti il centro del rapporto tra amministrazione e magistratura: una volta che gli atti sottoposti al controllo sono stati vistati e registrati dalla Corte dei conti, si può rispondere solo per dolo.
In occasione della pandemia, è stata introdotta una norma (poi prorogata) che esclude le responsabilità di amministratori e dipendenti pubblici per condotte gravemente colpose e negligenti. E, secondo i dati della Corte dei conti, nel 2023 ci sono stati solo 1.061 atti di citazione a fronte di 22.647 fascicoli archiviati. Perché allora si parla di paura della firma?
Lo scudo erariale introdotto da Giuseppe Conte in periodo di pandemia era uno strumento emergenziale e temporaneo, che affrontava il problema senza pensare strutturalmente a come dover improntare il rapporto con la magistratura contabile. Il fatto che sia stato introdotto, peraltro, è la dimostrazione che è necessario, per velocizzare la PA, liberare gli amministratori dalla paura della firma. È paradossale che quanto è stato introdotto in via emergenziale e senza contrappesi dai precedenti governi non abbia generato polemiche, mentre oggi, anche a seguito della sentenza della Corte costituzionale che conforta tutte le scelte prese con la PDL Foti, si gridi allo scandalo. Noi non abbiamo introdotto lo scudo, abbiamo ripensato il rapporto in maniera strutturale, eliminando la possibilità di rispondere per colpa grave solo là dove il controllo preventivo sia intervenuto, valorizzando dunque a monte le funzioni dei magistrati contabili. Questo dovrebbe dare la misura della strumentalità delle polemiche.
È vero che si vogliono eliminare le sedi regionali della Corte dei conti e assoggettarle a un unico procuratore generale? Non sarebbe più difficile controllare il territorio?
Assolutamente falso. Rispetto all’organizzazione della Corte e delle procure contabili, abbiamo dato delega al Governo affinché provveda. Nella delega si prevede il mantenimento di tutte le procure territoriali, semplicemente si stabilisce che, per taluni atti dei procuratori regionali, ci sia anche la sottoscrizione da parte del procuratore generale. Questo per garantire uniformità di interpretazione sul territorio nazionale. Si badi che, ad oggi, un comportamento amministrativo che su un territorio non dà origine a nulla, in un altro territorio può originare un procedimento per responsabilità erariale. Avevamo il dovere di intervenire anche su questo aspetto, sempre ispirati dal principio di rasserenare l’attività degli amministratori e garantire il buon andamento dell’amministrazione imposto dall’art. 97 della Costituzione.
(Marco Tedesco)
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