Valditara rende obbligatorio (e modifica) l'orale nel colloquio dell'esame finale. Che riprende a chiamarsi esame di maturità. Ma ci sono altre novità
Il Consiglio dei ministri il 4 settembre ha approvato un decreto, pubblicato ieri in Gazzetta Ufficiale, che modifica parzialmente la struttura dell’esame di Stato nelle scuole superiori.
Ampio risalto è stato dato dagli organi di informazione, gli stessi che nel luglio scorso avevano dato spazio alla vicenda di alcuni studenti che, raggiunta la soglia della sufficienza attraverso il credito scolastico (quello attribuito negli ultimi anni di corso sulla base della media delle valutazioni conseguite) e le prove scritte, si erano presentati alla commissione dichiarando la non volontà di procedere al colloquio orale, ottenendo comunque il punteggio sufficiente a conseguire il diploma.
La scelta di questi studenti è stata in alcuni casi oggetto di ampio dibattito di natura pedagogica e psicologica come grave segnale del disagio giovanile.
Non ritorniamo volutamente su questa tematica, ma segnaliamo la positività dell’intervento tempestivo del ministro, che ha corretto quello che, comunque lo si guardi, era un “baco” del sistema: l’esito dell’ultimo anno, prodromico al conseguimento del diploma, è determinato da 3 steps (il voto di ammissione, le prove scritte e il colloquio) e la sua validità non può che trovare conferma dal pieno svolgimento di tutte le fasi dell’esame.
Apprezziamo sia la tempestività dell’intervento che la chiarezza della norma, che troverà poi pieno sviluppo nell’ordinanza ministeriale, di norma pubblicata nei primi mesi dell’anno solare.
Qualche perplessità nasce dalle altre modifiche apportate. Il ministro Valditara ha ritenuto necessario reintrodurre l’antica espressione, esame di maturità. Ce n’era bisogno? Davvero la scuola, i docenti, soprattutto quelli esterni, saranno deputati a sottolineare se il diciannovenne (o la diciannovenne, o ventenne, ventunenne che sia) abbia le caratteristiche connesse all’età anagrafica? Quali? Attraverso quali strumenti sarà effettuata la valutazione?
È vero che è stato dichiarato che più spazio sarà dato agli esiti del percorso del PCTO (ex alternanza scuola-lavoro), a quelli relativi alle competenze di cittadinanza e all’orientamento, ma ricordiamo che l’esame sarà ancora correttamente costituito da prove che dovranno verificare conoscenze e competenze relative al sapere, non all’essere.
C’è per così dire nel termine maturità una valenza di natura esistenziale, ambito di cui la scuola ignora spesso le caratteristiche. Ci saranno studenti maturi al 100 per cento, al 90 o al 60 per cento: una patente assegnata a vite che la scuola, per come è concepita, ha poco diritto di valutare.
Non è che con il ritorno a questo termine, applicato alla valutazione, rischiamo di umiliare ancora di più chi nella sua vita di adolescente ha dovuto fare più fatica di altri?
Quanto ai docenti, pur attraverso il loro impegno quotidiano, sanno o hanno diritto di sapere di tutto quanto afferisce all’extra-scuola?

A scuola si può osservare la maturità nelle relazioni scolastiche appunto, al massimo possiamo recepire il giudizio del tutor aziendale (che per altro si limita spesso a una valutazione giustamente di natura tecnica), ma poco altro, a meno di non ricadere in qualche forma di moralismo tardo deamicisiano.
Il voto sul comportamento potrebbe essere un buon indicatore, ma si tratta sempre di qualcosa di relativo alle mura scolastiche; la vita è un’altra cosa.
Una modifica positiva sarà sicuramente l’eliminazione nella prima parte dell’orale di quel documento che si è presentato negli ultimi anni al candidato, triste copia di analoghi strumenti utilizzati nelle scuole di ordine inferiore, ma davvero poco coerente con le finalità della conclusione della scuola superiore.
Il colloquio è stato negli ultimi anni un generico pour parler in cui raramente anche i migliori hanno potuto mostrare le proprie conoscenze specifiche, il possesso dei contenuti e dei metodi delle discipline, perché costretti a concentrarsi su generici collegamenti “salottieri”.
Le discipline dell’esame orale, anche per bieche ragioni economiche, passeranno da 6 a 4; rispetto alle 2 di tanti decenni fa, l’esame conserverà così una struttura sufficientemente articolata.
In più sedi è già stato sottolineato come questa riduzione sacrificherà necessariamente programmi e approfondimenti delle discipline “non elette”. Non è tanto la decurtazione dei programmi di queste discipline che preoccupa, ma il peso che questo potrebbe determinare nel futuro degli studenti stessi; i test universitari, le scelte lavorative sono spesso determinate dall’interesse per le discipline incontrate a scuola e quelle che saranno interrotte a gennaio (perché accadrà più o meno così) non potranno offrire il proprio contributo alle scelte future.
Da molti è stata sollevata l’obiezione che l’esame (che già vedeva più del 90 per cento dei promossi) così diventerà più semplice. Difficile dirlo; sicuramente perderà in ricchezza nell’accompagnamento nelle scelte future dell’età adulta.
Se poi una delle discipline “censurate” sarà la storia, ne vedremo delle belle…
Il denaro risparmiato nelle commissioni andrà, ha affermato il ministro, indirizzato nella formazione ai docenti in preparazione all’esame stesso.
Forse che dotti accademici, di ambito pedagogico e psicologico, digiuni del singolo contesto scolastico, entreranno nelle scuole a dare indicazioni relative alla necessaria empatia da promuovere durante l’esame, al concepirsi come team, evitando protagonismi o a definire ancora una volta le caratteristiche docimologiche di corrette griglie di valutazione?
Si può temere che questa scelta non sia illuminata; la maggior parte dei docenti, soprattutto i più giovani, stremati dalle lungaggini delle recenti prove concorsuali, non ha bisogno di ulteriore formazione teorica, soprattutto erogata da esperti esterni.
Qualche sezione del collegio dei docenti, diretto da un dirigente competente (anche della specifica realtà territoriale e culturale in cui la scuola è inserita) e una ordinanza ministeriale precisa e ben scritta sarebbero forse stati strumenti più adeguati a trasmettere le novità. L’autorevolezza del presidente di commissione e il rigoroso rispetto della norma, insieme alla professionalità degli esaminatori, dovrebbero essere sufficienti garanzie per il buon andamento della procedura dell’esame.
Una formazione davvero utile, nella prospettiva di una reale innovazione, sarebbe il confronto con i migliori sistemi stranieri. Non per esterofilia, ma per un sano paragone con altre professionalità in un contesto più ampio, con cui i nostri ragazzi e ragazze dovranno inevitabilmente confrontarsi.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
