La magistratura incrementa le indagini sulla corruzione, ma la radicalizzazione rischia di dividere il Paese sulla riforma della giustizia.
La grande offensiva della magistratura italiana contro la corruzione politica nel nostro Paese, che negli ultimi mesi si sta concretizzando in una pluralità di inchieste sempre più diffuse su tutto il territorio nazionale, può raccontare due cose.
La prima è che c’è un generale peggioramento della qualità delle leadership locali e che i fatti emersi a Milano, a Pesaro, a Sorrento, a Bari, in Sicilia e tante altre inchieste, anche meno recenti, degli ultimi mesi non sono altro che un doveroso controllo di legalità da parte della magistratura inquirente.
Le situazioni, va detto, sono molto diverse tra loro e anche le fattispecie di reato, così come le prove a fondamento delle diverse azioni giudiziarie. C’è molta differenza tra trovare un sindaco con una mazzetta di denaro tra le mani, come accaduto a Sorrento, e ipotizzare invece che la città più grande d’Italia, la più importante, sia nelle mani di una cricca di affaristi senza scrupoli che si sarebbero venduti le loro posizioni pubbliche al solo fine di ricavarne un vantaggio privato.
In questo secondo caso, le prove sarebbero tutte nella lettura di messaggi, rapporti e relazioni interpersonali e professionali che, guardate con una certa luce, testimonierebbero un malaffare.
A Pesaro, invece, la contestazione principale sarebbe che un sindaco avrebbe assegnato fondi a delle associazioni con la finalità, ritenuta illecita, di ricavarne consenso politico.
Il tema è che per tutti gli indagati le procedure in corso sono molto simili come fattispecie astrattamente contestate e appare quindi evidente che la magistratura in alcuni casi si è semplicemente limitata ad alzare l’asticella della verifica di legalità e perciò indaga tante persone in tante città.
Ma l’altra lettura che viene fuori, in maniera abbastanza drammatica, è che questo nuovo percorso di attenzione anche per comportamenti molto dubbi e meno evidenti, rispetto a quello del sindaco mazzettaro, sia in realtà frutto di una scelta di presentare l’azione della magistratura inquirente sempre nell’ottica di un percorso di salvaguardia dei poveri e dei deboli nei confronti dei “ricchi” che corrompono i politici per i loro fini.
In questo modo, la magistratura sta preparando il terreno per presentarsi come l’unico organismo istituzionale a difesa dei cittadini quando la riforma della giustizia verrà approvata in via definitiva e si dovrà andare al referendum.
A quel punto, la tesi che porteranno i magistrati è quella della vendetta della politica sulla magistratura che indaga su di loro; cercheranno di portare le folle nelle piazze e di creare un consenso sulle loro posizioni, motivandolo proprio sulle richieste contro i politici definiti da loro “corrotti”.
Hanno già un partito di riferimento pronto a prendere il testimone, i 5 Stelle di Conte, e stanno, in pratica, secondo una lettura che non sembra neppure molto maliziosa, cercando di ottenere un posto al sole nell’opinione pubblica, scatenando una sorta di offensiva che potrebbe trovare la sua escalation nei prossimi mesi con azioni ed inchieste ai più alti vertici, seguendo un po’ il modello che fu Mani pulite nel 1992.
Il punto è che in molte inchieste mancano i danari, manca la prova di una reale volontà corruttiva e si tratta di una reinterpretazione di rapporti e relazioni che vengono sempre declinate con lo sguardo malizioso di chi vede, in qualunque tipo di rapporto, sempre e comunque qualcosa di marcio.
Sappiamo per esperienza che tantissime inchieste si sono risolte nel nulla ed alcune non sono nemmeno arrivate a processo dopo anni di indagine che hanno distrutto la vita di tante personalità politiche, e questo in parte ha educato l’opinione pubblica a guardare queste iniziative con un certo scetticismo.
Ma quello che la maggioranza dei cittadini non riesce a comprendere è perché la magistratura ritenga di essere intoccabile e che tutto vada bene così com’è, senza proporre alcuna alternativa.
La lunghezza dei processi, le indagini sbagliate, le carriere alternative di alcuni magistrati, i comportamenti spesso moralmente discutibili di alcuni appartenenti alla magistratura stessa, le guerre di potere intestine come quella della Direzione nazionale antimafia ed anche le fughe di notizie che dagli uffici giudiziari, perennemente, arrivano ai giornali non sono certo un ottimo biglietto da visita che la magistratura può mostrare all’opinione pubblica, dopo decenni in cui ha predicato la propria superiorità rispetto a tutti i politici ed in particolare al nemico numero uno, Berlusconi.
Ora sembra che stiano ripercorrendo lo stesso copione e che si vogliano ripresentare al momento del voto – quello del referendum sulla riforma – con le mani piene di atti giudiziari e di inchieste, sostenendo che, se passasse la riforma, tutte quelle indagini verrebbero archiviate, ed i politici resterebbero impuniti e liberi di rubare.
È evidente che questa tesi non è accettabile per il semplice fatto che, come la stragrande maggioranza dei magistrati fanno bene il loro lavoro, anche la grande maggioranza dei politici si impegna per il bene della collettività. Certo, non mancano nemmeno le mele marce dall’una e dall’altra parte, ma il punto è che questa radicalizzazione, per la quale la magistratura vede in tutta la politica la corruzione e la politica vede in tutta la magistratura la malizia, sta dividendo in due l’opinione pubblica, che dovrà essere convinta se votare Sì oppure No alla riforma della giustizia che il governo Meloni si appresta a varare.
Un metodo antico e sempre efficace, quello di polarizzare le posizioni ed estremizzare i vizi dell’avversario, per portare acqua al proprio mulino, perdendo di vista il merito delle scelte e delle decisioni.
Chi perde sono i poveri indagati che forse non finiranno neppure rinviati a giudizio, da un lato, ed il funzionamento del sistema istituzionale, dall’altro; sistema che, per l’ennesima volta, rischierebbe di restare bloccato ed ostaggio di una gestione politica dei poteri della magistratura.
Su questo è necessario un intervento di calmiere forte che spezzi questa dicotomia e rimetta allo stesso tavolo politici e magistratura, se non si vuole che questa frattura così profonda porti il Paese in un drammatico gorgo di melma e colpi bassi da cui nessuno uscirebbe indenne. Vedremo Mattarella che ne pensa.
