La ministra della Giustizia, Marta Cartabia, ha aperto con i partiti il complicato cantiere del processo penale, chiedendo di “mettere da parte i contrasti”. La road map della riforma della giustizia prevede tempi molto stretti su temi molto spinosi: a giugno va in discussione la legge delega, poi tocca al Csm e al processo civile. La ministra è stata chiara: bisogna condurre in porto il prima possibile – massimo sette mesi – le riforme della giustizia che valgono solo l’1% dei miliardi del Recovery, perché proprio dal riordino dell’ordinamento giudiziario dipenderà l’arrivo dei fondi. “La Commissione europea – ha ricordato Cartabia – ha imposto al governo italiano alcune condizioni. Per quanto riguarda la giustizia gli obiettivi sono chiari: in cinque anni dobbiamo ridurre del 40% i tempi dei giudizi civili e del 25% quelli dei giudizi penali. Sono obiettivi davvero ambiziosi”. Riuscirà la ministra a trovare un accordo tra partiti litigiosi? A quali soluzioni si sta lavorando? E i referendum proposti da Radicali e Salvini potrebbero ostacolare questo percorso? Ne abbiamo parlato con Gaetano Pecorella, avvocato penalista e deputato di Forza Italia per quattro legislature.
La riforma della giustizia, per la politica italiana, è materia incandescente. La ministra Cartabia ha messo con le spalle al muro gli esponenti della maggioranza, ricordando che entro la fine del 2021 devono essere approvate le leggi delega per la riforma del processo civile, penale e del Csm. “Niente riforme, niente soldi” dalla Ue. Basterà questo richiamo a smussare gli angoli più spigolosi?
Credo che sia un richiamo molto efficace. Nessun partito giustamente vorrà assumersi la responsabilità di perdere quei finanziamenti se non si dovessero attuare le riforme chieste dalla Ue. Credo anche che gli aspetti economici della riforma della giustizia attengano soprattutto al processo civile, cioè alla rapidità con cui si risolvono le controversie in tema di funzionamento delle società o di pagamento dei debiti e così via. Sul processo penale invece, che interessa meno all’Europa, vedo più possibile l’apertura di uno scontro politico.
Per realizzare queste riforme, ha ricordato il ministro Guardasigilli, abbiamo a disposizione meno di sette mesi. Traguardo raggiungibile?
Penso proprio di sì, è questione di buona volontà. Entro questo periodo vanno varate le leggi delega, che dettano i princìpi, la complessità nasce quando si costruisce la legge delegata. Ma se si è d’accordo sui princìpi, non sono necessari tempi lunghissimi. Oltre tutto non è una riforma costituzionale, quindi richiede i normali due passaggi parlamentari. In sette mesi si costruisce un palazzo di dodici piani: quindi si può fare benissimo.
Entrando nel merito dei nodi da sciogliere, il punto più spinoso resta quello del processo penale, tema molto divisivo. Cosa pensa dell’approccio del ministro Cartabia?
In base alle notizie che circolano, mi paiono punti più che condivisibili, ma che non toccano il cuore del problema.
Su quali punti bisognerebbe allora intervenire?
Prima di tutto, bisogna garantire un’efficace difesa a tutti. In secondo luogo, occorre snellire i tempi dei processi e per far questo ci vogliono magistrati che facciano i processi, quindi bisogna coprire i posti vacanti. È soprattutto un problema organizzativo: i tribunali devono funzionare dalle 8 alle 18,30, come in Svizzera. Da noi al pomeriggio si trova tutt’al più una sezione in funzione.
È un problema anche di risorse?
È soprattutto un problema di risorse, non tanto di leggi, visto che fare le leggi non costa nulla. Dobbiamo investire nella modernizzazione della giustizia. Se avessimo un numero sufficiente di giudici, di strutture e di cancellieri, ne guadagnerebbe il funzionamento complessivo della macchina giudiziaria. E mi lasci lanciare un sasso nello stagno.
Lo lanci.
Non si può ripartire dopo questi due anni in cui è stato sostanzialmente bloccato tutto senza una grande amnistia e un grande indulto. Abbiamo un enorme carico di arretrati che va smaltito e la prescrizione, così com’è, non funziona, e anche le carceri sono sovraffollate. Il sistema non regge più: perciò facciamo una grande riforma accompagnandola con un’amnistia e un indulto. È l’unica strada che consente di ripartire.
Uno degli obiettivi è cosa fare della riforma Bonafede, che blocca la prescrizione dopo la sentenza di primo grado. Il centrodestra vorrebbe abolirla, ma la ministra è intenzionata a seguire un’altra strada. Si troverà una soluzione?
La soluzione è abolire la riforma Bonafede.
Perché?
Non è una riforma, ha colpito al cuore l’intero sistema, è la distruzione del processo stesso. Avendo mantenuto gli stessi tempi della prescrizione che esistevano quando copriva i tre gradi di giudizio, il fatto che ora copra solo il primo grado sta a significare, per esempio, che i 20 anni previsti per prescrivere il reato di bancarotta consente a un giudice di avere tutto questo tempo per istruire il processo. E questo con il processo accusatorio è assolutamente incompatibile.
Abolita la legge Bonafede, che cosa suggerisce?
Di introdurre la prescrizione per fasi: un tot di anni per il primo grado, e così, magari con un periodo più breve, anche per il secondo grado e la Cassazione. Oggi con la vecchia prescrizione i processi arrivano in secondo grado e in Cassazione con i tempi esauriti, ai giudici d’Appello e di Cassazione il processo si prescrive tra le mani. Altre soluzioni mi lasciano assai perplesso, tipo quella che prevede la prescrizione del processo, ma non del reato. Che senso ha? Cosa capisce la gente? E cosa ne facciamo di quel reato che resta sospeso? Comunque vorrei ricordare che il problema vero non è tanto la prescrizione, quanto la velocità dei processi.
Come si possono velocizzare?
Si possono adottare soluzioni alternative, per esempio il patteggiamento senza limiti. Se si è d’accordo, si arriva a sentenza in un’ora, non in diversi anni. C’è ancora l’idea che la giustizia debba seguire una serie di regole morali, invece la giustizia è uno strumento pratico: deve essere organizzata in modo tale che funzioni. Come avviene negli Stati Uniti. Anzi, io ripristinerei una riforma che proposi nel 2006: abolire l’appello del pm sull’assoluzione dell’imputato in primo grado, che va contro ogni principio dell’oltre ragionevole dubbio che la stessa Europa ci chiede. Così non si fa altro che ripetere un secondo grado di giudizio sostanzialmente uguale al primo, con tempi biblici.
Ci sono invece interventi di riforma che condivide?
La depenalizzazione. È una meta ambiziosa, peccato che in questi ultimi anni, di solito, si è proceduto eliminando alcune tipologie di reato per introdurne molte altre in più.
Anche sul processo civile bisogna accelerare i tempi e ridurre l’arretrato. Come fare?
All’Europa interessa che funzioni bene l’economia e per farlo è importante che ci sia una giustizia civile rapida, non come oggi: se uno ha dei crediti, deve aspettare anni per veder soddisfatta la richiesta. Ma tutti vogliono parlare di giustizia penale, perché è più facile, mentre sulla giustizia civile bisogna essere dei bravi tecnici per capirne qualcosa. E lo si vede dal fatto che nessuna parte politica prende mai posizione su questo.
Riforma del Csm. Cosa serve?
Il problema non è il Csm, sono le correnti. Si potrebbe pensare a un sistema elettorale che stronchi le correnti, ma non sarebbe risolutivo, perché le correnti troverebbero comunque il modo di accaparrarsi gli eletti. Si potrebbe aumentare il numero di componenti laici rispetto ai magistrati per evitare la giustizia domestica, cioè che siano i magistrati a decidere su altri magistrati. Ma il nodo fondamentale del Csm sono i criteri di promozione e ancora di più l’aspetto disciplinare, che decide le carriere. Su questo non so cosa davvero preveda il progetto di riforma del ministro.
Gli otto referendum proposti dai radicali e da Salvini possono intralciare il percorso della riforma Cartabia?
Premesso che i referendum sono sempre una bella manifestazione di volontà popolare, se dobbiamo consegnare all’Europa la riforma della giustizia in sette mesi, parlare di referendum è solo una mossa politica, ma assolutamente priva di senso. E poi la giustizia è un tema complesso, fondamentalmente tecnico, e mi lascia perplesso l’idea che lo si lasci al giudizio di pancia del paese.
(Marco Biscella)
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