Elezioni Germania 2025: vittoria della Cdu, disastro Spd, i verdi tengono, cresce la Linke. Si delineano le prime formule del toto-governo

RISULTATO ELEZIONI GERMANIA 2025 – E così ce l’ha fatta, Friedrich Merz, eterno rivale di Angela Merkel e punto di riferimento dell’ala liberal-conservatrice della CDU, che, stando ai risultati parziali, pare aver quasi doppiato i socialdemocratici dell’ormai ex cancelliere Olaf Scholz. Si vedrà nelle prossime ore, a schede definitivamente scrutinate.



Intanto due cose sono già evidenti: 1) il prevedibile successo di AfD, Alternativa per la Germania; 2) la necessità per Merz di coalizzarsi con qualcuno per garantirsi il cancellierato. I liberali della FDP restano sotto la soglia del 5% e Lindner lascia la politica, ma nemmeno la BSW, il nuovo partito di Sahra Wagenknecht, raggiunge il 5%.



Scontata la sopravvivenza dei Linke, la Sinistra tedesca, che anzi guadagnerebbe un buon 4%. I Grünen reggono, pur con qualche perdita, cedendo probabilmente un po’ di voti ai Linke, anche a causa delle loro scelte guerrafondaie.

A incidere sono sicuramente anche le nuove condizioni elettorali, con un sistema misto, maggioritario, per cui gli elettori hanno scelto un candidato locale all’interno dei collegi locali (Erststimme), e proporzionale con sbarramento al 5%. Infine, anche in Germania la nuova legge elettorale (2023) ha ridotto il numero dei seggi, che nel Bundestag sono passati da 736 a 630.



Mentre scriviamo i risultati non sono definitivi, ma già ora c’è più di un abbozzo di quel che stasera sarà molto più chiaro.

Ora la domanda è: chi governerà la Germania? La CDU resta comunque lontana dai fasti del suo lontano passato e per governare ha bisogno di una coalizione. Ma quale? La Neue Zürcher Zeitung, principale quotidiano elvetico attentissimo a quel che succede in casa del suo vicino settentrionale, in un lungo articolo, venerdì scorso, ha messo a confronto i programmi elettorali dei partiti tedeschi. Se ci si attenesse ad essi, la coalizione più ovvia sarebbe quella tra Unione (CDU-CSU), FDP e AfD, non fosse per il muro di sbarramento eretto intorno ad AfD da tutte le forze di sistema e, non da ultimo, per le enormi differenze di visione in politica estera.

AfD è contraria al sostegno militare e finanziario all’Ucraina e chiede una riapertura delle relazioni verso la Russia. Merz, malgrado l’esperimento del 29 gennaio scorso, non solo ha ribadito il suo Nein a un accordo con AfD, ma, in politica estera, sembra essersi collocato agli antipodi di quest’ultima, avendo ribadito il suo sostegno incondizionato a Zelensky e all’Ucraina, sino a ventilare la cessione a quest’ultima di sistemi d’arma, negati invece da Scholz.

Ma ora c’è Trump e difficilmente un cancelliere tedesco oserebbe opporsi apertamente agli Stati Uniti. Quindi tutto è possibile, anche un rovesciamento completo delle prospettive di politica estera. Tanto più che, si sa, le dichiarazioni dei politici contano quel che contano, cioè quasi nulla, purché si trovi il modo di salvare la faccia e di riaprire i rubinetti del gas russo, essenziale per la ripresa. Il buon vecchio Machiavelli è lì a ricordarcelo.

Le altre possibilità – quelle compatibili con la barriera anti-AfD – sono note e sono variabili geometrico-coloristiche: coalizione Kenya con CDU-SPD-Verdi o, soprattutto, la già sperimentata grande coalizione CDU-SPD. Vedremo, e qui la prima persona plurale davvero ci sta, dato che le conseguenze delle scelte tedesche sull’economia di casa nostra si faranno sentire, eccome.

E non solo da noi. Mai c’è stata così tanta attesa per gli esiti delle elezioni federali tedesche e per le ricadute che esse avranno su tutta Europa. In primo luogo, da esse e dalla capacità di scelte drastiche in tema di politica estera dipende il futuro dell’economia tedesca, che oggi conosce una crisi senza precedenti e che sta pagando scelte di politica energetica letteralmente suicide.

In secondo luogo è la stessa società tedesca a doversi mettere in discussione, rispetto a equilibri sociali davvero precari, legati a un modello di multiculturalismo fragilissimo. L’integrazione funziona se c’è qualcosa a cui integrarsi e se c’è la volontà di integrarsi, alla ricerca di un difficile equilibrio tra rispetto della propria identità e di quella di chi accoglie. Che cos’è la Germania oggi? Che cosa qualifica l’essere tedeschi in questo nuovo contesto? Quanto la Germania è ancora prigioniera dei propri spettri storici e dei complessi che essi hanno generato?

Comunque la si legga, la questione immigratoria in queste elezioni ha avuto un ruolo fondamentale, e non solo per le ben note paure legate alla sicurezza. Quanto hanno contato i voti dei cittadini tedeschi con origini straniere? Molti sono perfettamente integrati, come nel caso di quelli di origine italiana, ma le cose cambiano quando si tratta di comunità dove l’integrazione è più difficile, non ultimo per ragioni religioso-culturali.

Teniamo anche solo conto dei turco-tedeschi: secondo l’Ufficio Federale per le Migrazioni, in Germania vivono 2,9 milioni di cittadini di origine turca, dei quali 1,5 milioni in possesso della cittadinanza tedesca. Molti di loro sono ormai ben integrati, tanto che la comunità turco-tedesca ha già espresso dei parlamentari e dei ministri, tra i quali spiccano i nomi di Cem Özdemir, per i Grünen, e Cansel Kiziltepe, per la SPD (partito che ha anche esposto manifesti elettorali in turco). Molti altri, però, vivono in quartieri ghetto, sostanzialmente indifferenti alla società tedesca.

Come hanno votato questi gruppi? Qual è la loro reale capacità di incidenza politica sulla Germania multiculturale di oggi? Quanto realmente funzionano i processi di integrazione sociale e culturale? Sono domande a cui nelle prossime settimane la politica tedesca – e non solo gli istituti di sociologia – dovrà dare delle risposte.

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