Roberta Repetto, la 40enne morta nel 2020 dopo la rimozione di un neo sul tavolo da cucina di un agriturismo in cui era stato fondato il centro olistico “Anidra”, con a capo la guida spirituale Paolo Bendinelli, avrebbe deciso autonomamente tempi, luogo e modalità dell’operazione alla quale poi si sarebbe sottoposta. Lo scrive la Corte d’Assise d’appello di Genova nelle motivazioni della sentenza di assoluzione del “guru” che, secondo quanto riportato dall’Ansa, per i giudici non avrebbe creato “la situazione iniziale di pericolo” e non avrebbe avuto “una posizione di garanzia tale” da spingerlo ad intervenire per la tutela della vittima.
La sorella della donna, Rita Repetto, assistita dagli avvocati Andrea Andrei e Giuseppe Sciacchitano, ha commentato l’esito del secondo grado di giudizio a carico di Bendinelli, che in primo grado era stato invece condannato a 3 anni e 4 mesi di reclusione: “Prendo atto che per il tribunale di Genova mia sorella ha scelto liberamente di morire in quanto si sarebbe liberamente orientata verso l’opzione per uno stile di vita naturista. Per la giustizia italiana mia sorella si è praticamente suicidata“.
Il processo a carico del “guru” Paolo Bendinelli e del medico che avrebbe eseguito l’operazione, Paolo Oneda
La morte di Roberta Repetto risale a 4 anni fa e sarebbe avvenuta per le metastasi di un melanoma curato con tisane e meditazione, dopo l’asportazione di un neo a cui lei, secondo i giudici, avrebbe deciso liberamente di sottoporsi senza essere plagiata da Paolo Bendinelli, il “guru” del centro Anidra (in provincia di Genova, dove sarebbe stato eseguito “l’intervento”) poi finito a processo insieme al medico che l’avrebbe operata, Paolo Oneda, e alla compagna di quest’ultimo, la psicologa Paola Dora, assolta anche in appello.
In primo grado, per i primi due imputati era stata emessa una sentenza di condanna a 3 anni e 4 mesi di reclusione, riporta Ansa, ma in secondo grado il “santone” sarebbe stato assolto. Il chirurgo, invece, avrebbe avuto una riduzione di pena a un anno e 4 mesi. Per i pm, Oneda avrebbe agito con grave imperizia senza rispettare i protocolli che avrebbero permesso elevate possibilità di guarigione. Avrebbe accettato di operare Roberta Repetto su un tavolo da cucina, senza anestesia, e non avrebbe fatto analizzare il neo, come invece si dovrebbe, con esame istologico. La vittima non sarebbe stata però messa al corrente dei rischi che correva e di quello che sarebbe stato il potenziale decorso infausto della malattia.