Roma. L’Osservatorio permanente giovani e alcol ha condotto un’indagine insieme al Censis e all’istituto Doxa sul cambiamento delle abitudini dei giovani rispetto al consumo di alcol negli ultimi vent’anni. Lo studio rivela che tra i giovani della capitale è sempre più in voga il consumo di alcolici fuori pasto: l’80% dei ragazzi tra i 15 e i 24 anni ha infatti cambiato le proprie abitudini, arrivando a sorseggiare bicchieri o “shottini” di superalcolici al di fuori degli orari dei pasti. Tra gli uomini e le donne c’è poi una differenza del 20%, perché i primi occupano il 90%, mentre le seconde il 70%, ma è sempre più confermato l’allarme per quanto riguarda gli eccessi giovanili. Nella capitale, soprattutto tra i giovani, si è poi fatta sempre più largo un’abitudine che fino a poco tempo fa riguardava solo il Nord Italia, cioè l’happy hour, un aperitivo a base di diversi tipi di alcolici e superalcolici da consumare prima di cena, ma che poi si può protrarre fino a tardi. Michele Contel, vicepresidente dell’Osservatorio permanente giovani e alcool, spiega che è normale che questo accada, «dal momento che a Roma, come in tante altre metropoli, gravitano popolazioni eterogenee, pronte a portare usanze e modalità, come quella del piacere del bere, che prima non esistevano». Inoltre l’Istat mette in guardia su un dato in particolare: nove milioni di italiani sono a rischio alcolismo, e il problema riguarda principalmente i giovani, che spesso non riescono a controllarsi e a darsi un limite, arrivando quindi a consumare tutto e subito con lo scopo di ubriacarsi il prima possibile. IlSussidiario.net ha chiesto un parere a Mario Pollo, Professore di Pedagogia Generale e Sociale della Facoltà di Scienze della Formazione della Lumsa di Roma: «Rispetto al consumo di alcol esistono essenzialmente due livelli culturali: il primo riguarda le cosiddette culture “asciutte”, mentre il secondo quelle “bagnate”. Le prime erano quelle tipiche dei paesi del Centro-Nord Europa, in cui l’alcol veniva consumato esclusivamente nei momenti di socializzazione al di fuori dei pasti; nelle culture “bagnate”, tra cui c’è anche quella mediterranea, l’alcol è considerato un alimento ed è quindi integrato nel modello alimentare. I dati delle ultime ricerche riferite agli adolescenti indicano invece che ormai il consumo avviene prevalentemente al di fuori dei pasti, nei momenti di divertimento, mentre è molto ridotto il consumo dell’alcol durante i pasti. Questo fa quindi arrivare a dire che i giovani italiani stano uscendo dal modello classico e tradizionale della cultura “bagnata”, per entrare in quello delle culture “asciutte”, e questo quadro è ormai evidente negli ultimi anni. L’alcol viene utilizzato come facilitatore della comunicazione, come elemento disinibente, ma anche e soprattutto come una forma dello “sballo”, in cui si ricerca uno stato di coscienza alterato che questa sostanza aiuta a raggiungere. Non si tratta più quindi di quell’eccesso di alcol che poteva avvenire in una situazione rituale, come un pranzo o una festività particolare, in cui un leggero eccesso era in qualche modo consentito, ritualizzato e limitato a quello specifico momento; ora l’alcol è usato principalmente per trovare quelle emozioni forti che il quotidiano non riesce a fornire». Il Professor Pollo spiega però che «è necessario distinguere tra un abuso che può essere occasionale, non abituale, e la vera e propria dipendenza, perché l’alcolismo indica una sindrome con delle specifiche caratteristiche. L’abuso non comporta necessariamente una sindrome da alcolismo e, anche se il confine può essere superato, non avviene in modo automatico o diretto. Spesso i ragazzi che abusano dell’alcol durante il sabato sera, non lo fanno anche al di fuori di questo e, anche se il rischio di alcolismo aumenta, questo non determina il passaggio diretto».
Mario Pollo continua poi a spiegarci che l’alcol «è entrato così prepotentemente nel mondo dei giovani per vari motivi: innanzitutto per l’indebolimento delle culture alimentari tradizionali, che avevano tutta una serie di modelli e prescrizioni. Per esempio, un tempo esisteva una specie di “regola” secondo cui si doveva bere solo durante i pasti e infatti, nelle culture dei paesi, le persone “normali” erano quelle che consumavano alcolici solo durante i pasti, mentre gli “ubriaconi” erano coloro che si ritrovavano in osteria a bere vino dopo i pasti. Inoltre si puntava molto sul far percepire non la caratteristica inebriante e disinibente dell’alcol, ma la sua qualità, i valori organolettici e il giusto abbinamento con un particolare piatto. Questo tipo di educazione è venuta meno, e il modo di nutrirsi è molto meno radicato nelle tradizioni, diventando più funzionale alle esigenze della vita contemporanea e ai modelli urbani. E mentre questo sradicamento avveniva, nei media nasceva la propaganda di modo di consumo dell’alcol tipico dei film americani, che proveniva da altri modelli culturali, in cui si inserivano anche altri tipi di sostanze psicoattive; ma tra le varie droghe, quella più direttamente fungibile, legale e ritenuta legittima è proprio l’alcol, che si è ormai integrato in questo modello diverso di consumo che si è formato».
(Claudio Perlini)