Nelle maggiori città europee, la ricorrenza del Natale è di solito accompagnata con esecuzioni del grande oratorio di Georg Friedrich Händel, Messiah.
Alla Royal Albert Hall di Londra, ad esempio, è stato concertato per due sere in una versione maxi che ha comportato ben 3800 coristi (tutti volontari – anzi hanno pagato per potere essere, dopo le audizioni, inclusi nel concerto) con una folta pattuglia venuta dall’Italia.
A Santa Cecilia è stata fatta una scelta originale: a) presentare la “versione di Dublino” del lavoro (raramente eseguita in Italia) e b) affidarne l’esecuzione ad uno specialista di musica barocca, Fabio Biondi creatore e guida del complesso “Europa Galante”.
Fabio Biondi è oggi il simbolo della perpetua ricerca di uno stile che vuole essere libero da condizionamenti dogmatici e sempre interessato di un linguaggio unico – Il Messiah ha avuto la prima sabato 17 dicembre e viene replicato oggi lunedì 19 allee 21,00 e martedì 20 alle 19,30. Biondi è sul podio dell’Orchestra e del Coro di Santa Cecilia (e non come di consueto alla testa della sua Europa Galante) per la Stagione Sinfonica dell’Accademia. Cast vocale di primissimo piano con Carolyn Sampson soprano, Romina Basso mezzosoprano, Jeremy Ovenden tenore e Vito Priante basso. Contrariamente all’idea che il Messiah dimostri una sorta di ‘ispirazione mistico-musicale’ e che esso rappresenti un unicum nel panorama oratoriale haendeliano, la riflessione essenziale che ci si deve porre è: quale taglio interpretativo e quale versione utilizzare. Haendel era un uomo di grande capacità artistica ma anche manageriale. Il Messiah rappresentò un’opportunità irripetibile per presentarsi al pubblico di Dublino con armi consone per destare ammirazione (e far soldi) in un ambiente dalle scarse capacità di mezzi ma caratterizzato da una pura semplicità d’ascolto. Il compositore imbastì la partitura (utilizzando musica precedentemente composta anche per il teatro d’opera) non immaginando la diffusione che questo lavoro avrebbe avuto negli anni seguenti.
La monumentalità a cui siamo abituati riflette, quindi, dopo la parentesi irlandese, lo sfarzo dell’ambiente londinese, una realtà lontana dai criteri sui quali la partitura fu creata. Sappiamo che durante gli ultimi anni della sua vita – dice Biondi – il compositore tornò con molta commozione al ricordo di questa tournée in terra d’Irlanda; la facilità e l’affetto (e il successo, ovviamente) che gli tributò il pubblico lo compensarono delle sconfitte subìte negli anni precedenti nel campo dell’opera a Londra.” Scegliere di eseguire il Messiah di Dublino, quindi, lungi dal voler affermare una “superiorità” di questa versione rispetto alle altre, vuol dire riportare questo lavoro alla sua primordiale semplicità e ai suoi contenuti umani, lontani dai miti sontuosi e mistici che da sempre caratterizzano, nell’immaginario collettivo, questo capolavoro musicale”.
L’idea per il Messiah nacque da Charles Jennens, che aveva già scritto per Händel il libretto per l’oratorio Saul e probabilmente anche quello per Israel in Egypt. Lo spunto per il nuovo oratorio venne dall’invito per una serie di concerti a Dublino: Händel scrisse la musica con la sua solita velocità, utilizzando in parte – come in altre opere ed oratori – pezzi esistenti. Iniziato il 22 agosto 1741 finì il primo atto il 28 agosto, il secondo il 6 settembre ed il terzo il 12 settembre. Con la strumentazione, la partitura era completata il 14 settembre, quindi in 24 giorni. Il 13 aprile 1742 il Messiah fu eseguito per la prima volta (la prima di una lunghissima serie di esecuzioni) a Dublino come concerto di beneficenza, ed ottenne un successo straordinario. Händel stesso ha diretto il Messiah più volte, modificandolo spesso per adattarlo a esigenze diverse: nessuna versione può pertanto essere considerata autentica e ulteriori modifiche ed arrangiamenti sono stati effettuati nei secoli seguenti, ad esempio da Wolfgang Amadeus Mozart per conto di Gottfried van Swieten. La pagina più famosa è l’Alleluia, che conclude la seconda delle tre parti: quando re Giorgio II d’Inghilterra udì per la prima volta questo brano, ritenne il valore della composizione tale da meritare ch’egli si levasse in piedi e rimanesse in quella posizione, in segno di rispetto, per la durata dell’intero brano. Direttore, orchestra e coro hanno avuto sabato 17 dicembre circa 20 minuti di applausi.