La notizia l’ha pubblicata Avvenire: il gesuita “riformato” Pierre Favre sarà proclamato santo prima di Natale. Agli osservatori attenti non è sfuggita la coincidenza dell’annuncio con l’imminente pubblicazione dell’Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, un documento che Francesco ha preparato in vista della chiusura dell’anno della Fede e che promette di essere una vera e propria summa pastorale del pontefice argentino. Verso il beato savoiardo Bergoglio non ha mai nascosto un debito spirituale. Molte sono le consonanze tra le due anime, che a distanza di secoli, si trovano ad intepretare in modo analogo un periodo di transizione e di riforma della Chiesa. Abbiamo chiesto a Stefania Falasca, giornalista e scrittrice esperta in santità, di spiegare la folgorazione di Papa Francesco per uno dei primi compagni di Ignazio.
“Bergoglio già quando era superiore provinciale in Argentina – spiega la Falasca – aveva come punto di riferimento il memoriale che Pierre Favre aveva scritto, un diario spirituale per riconoscere più chiaramente l’azione di Dio nella sua vita. Bergoglio incaricò addirittura due specialisti di curarne una nuova edizione, tanto riteneva essenziale per la compagnia quel contributo.
Chi è Pierre Favre e perché la sua figura emerge solo adesso?
È stato il primo compagno di Ignazio, divideva con lui la stanza alla Sorbona, dove studiavano entrambi. Insieme a Francesco Saverio fa parte del primo nucleo della Compagnia di Gesù. Nato nell’Alta Savoia nel 1506 morirà a Roma a soli 41 anni, poche settimane prima della sua partenza per il Concilio di Trento. Ignazio lo avrebbe voluto alla guida della compagnia al suo posto, lo stesso Loyola gli deve molto, sebbene dopo la canonizzazione del fondatore dei gesuiti la sua figura sia rimasta nell’ombra. Fino ad oggi.
Ora Papa Francesco lo vuole santo. Cosa lo affascina di questo gesuita savoiardo?
Bergoglio ha continuato a studiarlo per tutta la vita, una delle introduzioni al Memoriale di Favre che ama di più è quella curata da Michel de Certeau. È una figura cara al Papa perché incarna il modello di spiritualità a cui aspira. Grande discernimento, dolcezza, disponibilità e capacità di dialogo, fermezza e prontezza nel prendere decisioni. L’opera e il nome di Favre sono legati ad un’epoca di grandi rivolgimenti e lacerazioni nella cristianità, che lui seppe affrontare con profondità e saggezza. Inviato per l’autorevolezza dottrinale nella Germania riformata, non si concentra nella lotta ai protestanti, quanto piuttosto nella riforma interna della Chiesa. Il suo approccio non parte da dispute teologiche o dottrinali, ma dalla convinzione che la Chiesa dovesse recuperare autenticità e purezza.
Non è difficile riconoscere alcuni tratti propri dell’azione pastorale di Francesco…
Certamente c’è un debito di Bergoglio verso Favre. Ma lo ha dichiarato più volte lui stesso. Basta ricordare il ritratto che ha fornito di Favre nell’intervista a Civiltà Cattolica. Ne parla come di un uomo “di grandi e forti decisioni e insieme capace di essere dolce, dolce”. Ne ammira “la pietà semplice, la disponibilità immediata”. E senza dubbio non può non sentirsi vicino al gesuita che prediligeva “il dialogo con tutti, anche i più lontani ed avversari”. Favre aveva un’apertura completa, pregava per tutti, era un “contemplativo in azione”, un uomo attratto da Cristo senza tregua, e allo stesso tempo prossimo agli altri.
C’è un aspetto di questo prossimo santo che più di altri calza al pontefice?
La personalità che emerge dal diario spirituale di Favre è di un uomo in cammino nelle regioni d’Europa, pronto a cogliere i bisogni dell’umanità che incontrava, fossero bambini, malati, ricchi, poveri o intellettuali. La sua vita sacerdotale era impregnata di pazienza, mitezza, gratuità. Il suo era un vero e proprio “magistero affettivo”, il suo passaggio risvegliava il senso di comunione ecclesiale, facendo sentire vivo l’amore di Dio. In questo, senza dubbio, la sua esperienza conserva un fascino contemporaneo. È evidente che si può riscontrare un’affinità pastorale con Francesco, sia nello stile di governo che nella concezione di “missione”. E’ un modello di spiritualità e di vita sacerdotale.
Com’è possibile che l’esperienza umana di un gesuita del ‘500 conservi elementi così contemporanei?
Credo che si spieghi con la concezione di sacerdozio che è propria di Favre e che trova eco nell’esperienza personale di Bergoglio. Una delle raccomandazioni più belle che il gesuita saoviardo faceva a se stesso era “che io non dimentichi mai i benefici che Dio ha compiuto nella mia vita”. In primis c’era il riconoscimento di una Grazia sempre presente e del sacerdozio come dono. Ricordare la gratuità propria del ministero sacerdotale e fare sempre memoria della Misericordia ricevuta da Dio. Ed è appunto ciò che raccomanda incessantemente Francesco ai suoi sacerdoti e a lui stesso. È il vero senso di quel “pregare memorioso” di cui ha parlato più volte Bergoglio. La riforma della Chiesa di cui parla Favre è la riforma che parte innanzitutto da se stessi.
Nell’Evangelii gaudium ci sarà traccia di questo stile pastorale?
Sicuramente nel concepire la vita come cammino. Nella spiritualità della missione Favre è una figura di riferimento. È il testimone della familiarità con Dio e, allo stesso tempo, dell’urgenza di uscire da se stesso per farsi prossimo a tutti. In Cristo, per gli altri. La sua è un’idea di missione a cui certo potrà richiamare anche l‘Evangelii gadium.
(Cristiana Caricato)