L’Ucraina attacca ancora in Russia, che promette una risposta adeguata. Nessuno crede al negoziato. Mentre Trump dirotta le armi in Medio Oriente
La Russia risponderà agli attacchi portati nel suo territorio come e quando lo riterrà necessario. Lo ha detto Putin nella sua ultima telefonata a Trump, lo ha ribadito il portavoce del Cremlino, Peskov. Tanto che, nonostante gli incontri fra ucraini e russi per trattare un cessate il fuoco, le prospettive della guerra in Ucraina sono quelle di un’escalation.
Al negoziato, osserva Maurizio Boni, generale di Corpo d’armata e opinionista di Analisi Difesa, ormai sembra non credere più nessuno. Né Zelensky, che arriva a dire che la guerra si risolverà solo con la forza, né Putin, che non vuole più incursioni ucraine sul suo territorio. Entrambi, più che a trattare, pensano a combattere.
Anche se l’Ucraina, sempre più abbandonata dall’Occidente, non ha risorse per farlo, mentre la Russia, di cui gli USA hanno bisogno per sistemare altri dossier (tra cui quello mediorientale), sembra avere i mezzi per risolvere tutto militarmente.
Gli ucraini attaccano ancora in territorio russo e prendono di mira postazioni di missili Iskander. Di questo passo c’è da attendersi sempre di più una risposta pesante da parte russa?
Certo, Putin lo ha detto e ci dobbiamo aspettare una reazione. I russi stanno valutando quali sono i possibili obiettivi e le modalità con le quali rispondere. Possono comprendere mezzi convenzionali e non convenzionali, anche se al momento escluderei l’opzione nucleare. Sicuramente in Russia sarà in atto un dibattito: come sempre, i nazionalisti vogliono risposte drastiche, molto visibili, anche se finora Putin ha dimostrato grande equilibrio nel gestire le contromisure.
L’attacco alla flotta aerea, il sabotaggio del ponte di Kerch, ora l’operazione contro le postazioni missilistiche: cosa ci dicono queste ultime iniziative ucraine sulla guerra?
I russi si sono convinti di due cose: la prima è la grandissima difficoltà, se non inutilità, di proseguire con i negoziati. Nel memorandum che i russi hanno presentato agli ucraini, oltre a confermare gli elementi che sono sempre stati alla base delle loro richieste, hanno addirittura calcato la mano sulla neutralità e il disarmo dell’Ucraina. Clausole irricevibili dal punto di vista di Kiev. La seconda è che gli attacchi in territorio russo hanno persuaso Mosca della necessità di concludere in maniera definitiva la guerra.
Zelensky ha appena dichiarato che la guerra può finire solo con la forza. Il negoziato è finito ancora prima di cominciare?
Se fa un’affermazione del genere, significa che per primo non crede più nelle trattative. Per Zelensky e per buona parte dei Paesi europei che lo sostengono, l’unico modo di giustificare in parte la propria sopravvivenza politica è la guerra. La fine del conflitto comprometterebbe anche il disegno complessivo che si è delineato con le politiche europee del riarmo.
Secondo i media ucraini, però, Trump avrebbe dirottato in Medio Oriente i cacciatorpedinieri lanciamissili che l’Ucraina utilizza contro i droni. Kiev ha sempre meno mezzi per combattere?
Si conferma il trend già osservato in passato: a forza di rifornire gli ucraini è rimasto poco anche negli arsenali degli Stati Uniti, che invece hanno bisogno di preservare i loro interessi in Medio Oriente e nell’Indo-Pacifico. È una mera questione di disponibilità di risorse, oltre che, forse, un segnale politico. Trump dice di essere molto irritato per non essere stato avvertito da Zelensky degli attacchi in territorio russo. Ma è difficile credere che sia andata così. E comunque, se davvero gli Stati Uniti non l’avessero saputo, vuol dire che devono riordinare le idee. Hanno guidato ogni singola fase del conflitto in Ucraina da Wiesbaden, in Germania, praticamente la sala operativa della coalizione a guida americana; se nessuno era al corrente di quello che stava succedendo, c’è qualcosa che non funziona.
È impossibile che gli USA non sapessero delle intenzioni ucraine?
Se Zelensky non lo ha comunicato, c’è un problema, perché il piano è stato preparato e sviluppato in 18 mesi. Se il Pentagono lo sapeva e non ha avvertito il presidente, sarebbe ancora più grave.
Putin, nell’ultima telefonata a Trump, ha dato la sua disponibilità a partecipare al negoziato USA-Iran sul nucleare. E alcuni analisti dicono che gli Stati Uniti hanno bisogno dell’assenso russo per spostare un milione di palestinesi in Libia. Gli americani non possono dare torto al Cremlino perché ne hanno bisogno sullo scacchiere internazionale?
Credo che sia un’ipotesi più che plausibile. A questo serve il multilateralismo che Putin va cercando e che Trump sta avallando, anche se in nome di una visione più economico-utilitaristica che politica. Il presidente americano si rende conto che gli Stati Uniti, in questo momento, sono deboli, soprattutto economicamente, e difficilmente possono portare avanti i loro programmi da soli. In qualche modo devono avere a che fare sia con Mosca che con Pechino. Russia e Iran si sono avvicinati molto dopo la guerra ucraina. Per questo gli americani vogliono utilizzare i russi per giocare le loro carte in Medio Oriente. Tanto più ora che i negoziati per l’Ucraina non procedono.
Americani ed europei non hanno più mezzi da dargli: per gli ucraini la guerra è una missione suicida?
Di fatto sì. Le forme non convenzionali scelte per colpire i russi, attentati e azioni che danno grande visibilità, servono ad alimentare la narrazione di un’Ucraina che non sta perdendo. Alcuni giornali nazionali li citano per accreditare addirittura le possibilità di vittoria. Ma, stando così le cose, la prospettiva è che Mosca miri a Kiev e Odessa, con un esito della guerra molto più negativo per l’Ucraina di quello prospettato ora.
Negli USA, intanto, il senatore repubblicano Lindsey Graham sostiene che gli americani potrebbero imporre sanzioni ancora più pesanti ai russi. C’è una fronda interna che può far cambiare idea a Trump sull’atteggiamento da tenere con Putin?
Trump continua ad essere circondato da neoconservatori. Lindsey Graham è uno di questi. Bisogna vedere se il presidente americano avrà la capacità di tenere la barra al centro e di comprendere qual è la postura più efficace da mantenere in un momento così complicato. Gli americani sono in difficoltà, gli episodi che si sono verificati in Russia li hanno messi in grave imbarazzo, minando la loro credibilità di negoziatori. Si parla di una delle linee rosse del conflitto, dell’attacco in territorio russo, fino alla Siberia. Non è una cosa che il Cremlino può sopportare tanto tranquillamente.
(Paolo Rossetti)
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