Svolta nel caso doping che vede coinvolta Sara Errani: il pm chiede l’archiviazione. La versione resa dalla tennista, secondo cui aveva assunto il farmaco incriminato perché finito accidentalmente nei tortellini preparati dalla madre, è ritenuta inverosimile, ma non ci sono prove che l’atleta fosse consapevole di assumere quella sostanza vietata, il letrozolo. Il fatto fu infatti episodico, inoltre in quel periodo Sara Errani non aveva gare e tornei in programma. Queste sono le conclusioni a cui è giunto il pm Cristina D’Aniello, che ha presentato richiesta di archiviazione, che ora pende davanti al gip Janos Barlotti. La campionessa di Massa Lombarda era accusata di aver fatto uso di sostanze dopanti. Il caso scoppiò nel febbraio 2017, quando la finalista del Roland Garros 2012 risultò positiva al letrozolo dopo un controllo antidoping. Inizialmente squalificata per due mesi dalla Federtennis, Sara Errani ha visto la sua pena aumentare a dieci mesi dalla Procura nazionale antidoping (Nado).
SARA ERRANI, CASO DOPING: CHIESTA ARCHIVIAZIONE
Con l’appello del giudizio sportivo gli atti furono trasmessi alla Procura competente, quella di Ravenna, perché la presunta assunzione della sostanza illecita sarebbe avvenuta a Massa Lombarda. E peraltro in un contesto singolare: una pastiglia di Femara, un farmaco antitumorale, sarebbe finito accidentalmente nell’impasto dei tortellini che la madre quel giorno d’inverno le stava preparando. La tennista ha sempre ribadito questa versione dei fatti come l’unica plausibile, una sorta di incidente domestico. Negò dunque l’assunzione volontaria. La Procura l’ha indagata contestandole il fatto di aver assunto il farmaco compreso nella tabella delle sostanze proibite al fine di alterare in senso migliorativo le prestazioni agonistiche, lei si era difesa spiegando che il letrozolo non è una sostanza che migliora la prestazione sportiva nelle donne. È stato effettivamente documentato l’uso della madre di Sara Errani di quel medicinale contenente la sostanza proibita. Inoltre, la tennista si trovava in un forzato periodo di assenza dalle manifestazioni sportive. Infine, il caso è «di difficile interpretazione» anche a causa dell’impossibilità di determinare se la concentrazione della sostanza vietata nelle urine fosse da ricondurre a una o più somministrazioni.