L’Europa e l’Italia in particolare sono state protagoniste nello sviluppo dell’informatica. Ma l’occasione l’hanno sfruttata gli USA. Ecco perché (1)

L’informatica (e il software in particolare) è ormai presente in ogni aspetto della nostra vita quotidiana. Siamo abituati a vedere il software nei computer e negli smartphone sotto forma di “programmi” ed “app”, ma ne sono dotati anche treni, aerei, automobili, lavatrici, televisori, forni, impianti di riscaldamento e condizionamento, ascensori, orologi da polso, termometri e così via discorrendo.

Di fatto, qualsiasi prodotto elettronico oggi esistente funziona grazie ad un software di qualche tipo e di cui non sospettiamo né l’esistenza né la nostra dipendenza da esso e da chi lo produce. Di questa difficoltà di comprensione, a quanto pare, è affetta anche l’Italia, dove la cultura dell’informatica è ancora scarsamente diffusa.

Eravamo però partiti bene. Grazie all’Ingegner Adriano Olivetti avevamo la più grande azienda informatica d’Europa, dedicata principalmente allo sviluppo dell’hardware, ma molto attiva anche nello sviluppo software, in grado creare grattacapi persino a colossi come la IBM.



Com’è finita è storia tristemente nota; per chi volesse saperne di più sulla Olivetti e sul suo straordinario creatore può leggere: Valerio Ochetto, Adriano Olivetti, La biografia (Edizioni di Comunità, 2013); Gianfranco Casaglia, Informatica Olivetti. 1970-1998 (Edizioni di Comunità, 2023); Paolo Bricco, L’Olivetti dell’Ingegnere (il Mulino, 2014); Meryle Secrest, Il caso Olivetti: la IBM, la CIA, la Guerra fredda e la misteriosa fine del primo personal computer della storia (Rizzoli, 2020). Quest’ultimo dal sapore un po’ complottistico, ma con il giusto spirito critico merita di essere letto.

Nemmeno come cittadini del vecchio continente siamo stati particolarmente bravi a comprendere l’importanza e l’impatto di questa scienza sull’industria e sulla nostra vita al punto che, tranne il caso notevole della tedesca SAP, oggi non abbiamo grandi aziende informatiche che possono rivaleggiare con le big del settore come Microsoft o Oracle.

Non che in Europa fossero mancati i talenti. Ne abbiamo avuto più di uno, le cui intuizioni in questo campo hanno creato tecnologie dalla portata talmente ampia da aver cambiato il mondo in cui viviamo. Ne voglio qui ricordare solo quattro. Il primo è l’inglese Alan Turing, nato a Londra nel 1912. Un personaggio davvero geniale, considerato a giusto merito tra i padri fondatori dell’informatica per il suo fondamentale contributo allo sviluppo di questa scienza. Nonostante i suoi meriti scientifici e il suo decisivo aiuto agli inglesi e agli alleati durante la seconda guerra mondiale, fu messo al bando dalla società a causa della sua omosessualità e costretto ad accettare la castrazione chimica per evitare il carcere. In conseguenza di ciò, morì suicida nel 1954, dopo l’assunzione di una dose di arsenico iniettata in una mela.

Il secondo personaggio è Linus Torvalds, nato ad Helsinki nel 1969, che poco più che ventenne inventò Linux, il sistema operativo libero e gratuito che oggi è presente sulla stragrande maggioranza dei server collegati ad Internet e nelle aziende di tutto il mondo. Oggi vive in California da dove continua lo sviluppo di Linux per conto dell’OSDL, un ente di ricerca open source finanziato da aziende tra cui Computer Associates, Fujitsu, Hitachi, Hewlett-Packard, IBM, Intel e NEC.

Il terzo della lista, sir Timothy John Berners-Lee, nato a Londra nel 1955 e noto semplicemente come Tim Berners-Lee, è invece conosciuto come il padre del World Wide Web, la tecnologia che ha permesso ai siti web di esistere e che i più identificano come “Internet” (che è invece la rete in sé, mentre il WWW è un servizio di essa). Creò il WWW durante la sua permanenza al CERN di Ginevra e quando nel 1993 l’istituto dichiarò di non voler finanziare il suo progetto perché non in linea con gli scopi dell’ente, accettò la proposta del MIT, trasferendosi all’LCS (l’istituto informatico del MIT) per poter proseguire nel suo lavoro.

L’ultimo personaggio, non certo per importanza, è Federico Faggin. Nato a Vicenza nel 1941 e trasferitosi negli Stati Uniti nel 1970, fu assunto dalla Intel dove inventò il microprocessore moderno, grazie al quale l’informatica ha potuto iniziare la sua enorme diffusione ed entrare nelle vite quotidiane di tutti noi. A ben vedere, l’Europa, per tramite di alcuni suoi notevoli rappresentanti, ha avuto un ruolo importante nella nascita della scienza dell’informazione, lasciando poi che questa crescesse e prosperasse negli Stati Uniti. Un’occasione tristemente mancata.

Quando poi l’informatica ha iniziato la sua diffusione di massa, i Paesi europei, a partire dalla Gran Bretagna, hanno parzialmente recuperato terreno ma non l’Italia. Capire come mai non siamo riusciti (e continuiamo a non farlo) a capitalizzare i nostri talenti a livello né nazionale né continentale e quali sono gli effetti (devastanti) di questa carenza non è argomento che si possa esaurire nello spazio di un articolo ma, almeno per l’Italia, possiamo esaminarne gli aspetti principali.

Per semplicità, consideriamo i primi anni 80 come l’inizio della diffusione di massa in Italia della cultura informatica, con la disponibilità dei primi videogiochi da bar (in realtà lo erano già qualche anno prima) e l’arrivo dei primi microcomputer domestici nelle nostre case, i cui modelli più noti sono rappresentati dal Vic 20 e dal 64, prodotti dall’americana Commodore Business Machine, conosciuta semplicemente come Commodore.

Negli stessi anni vengono introdotti anche modelli di computer più potenti, come il TRS 80 e soprattutto l’IBM Personal Computer, in grado di poter svolgere compiti sufficientemente complessi da poter essere impiegati in ambito aziendale.

Nel 1981 circa il 20% della popolazione è sotto i 15 anni e il successo di questi prodotti è immediato, con schiere di ragazzini che iniziano ad appassionarsi a questa tecnologia. La maggioranza per gli aspetti videoludici, alcuni incuriositi dal funzionamento di queste macchine, iniziano ad imparare i rudimenti della programmazione, in ogni caso tutti fanno la conoscenza di una tecnologia che da lì in poi li avrebbe accompagnati per il resto della vita. Insieme ai micro e personal computer, iniziano a diffondersi i primi programmi, videogiochi soprattutto, vista la popolarità di questo mezzo d’intrattenimento, ma non solo.

Il maggior veicolo di distribuzione del software all’epoca era… la pirateria. La mancata percezione dell’enorme mercato che sarebbe sorto a seguito delle crescenti vendite dell’hardware, il costo elevato dei programmi e una lacuna normativa che non permetteva di proteggere adeguatamente la contraffazione del software, permisero la proliferazione di canali illeciti di distribuzione del software, con la vendita di copie illegali addirittura nelle edicole cittadine, come molti lettori sopra i 40 anni ben ricordano.

(1 – continua)



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