Non si dovrebbe dimenticare che la guerra in Ucraina è anche una guerra per il controllo del Mar Nero. Sono in gioco equilibri geopolitici mondiali

Una domanda non semplice si affaccia spesso nei discorsi degli analisti. Perché l’Ucraina non dovrebbe accettare la cessione di territori alla Russia? La risposta è che il Mar Nero, agli occhi del presidente russo Vladimir Putin, non è un semplice confine, ma il cuore pulsante di una rinata identità imperiale.

È qui che il revisionismo post–sovietico prende la sua forma più minacciosa, un’ombra che si allunga su tutti i suoi vicini. La guerra in Ucraina non è che la logica evoluzione di una strategia a lungo termine: consolidare il dominio russo respingendo ogni forma di influenza occidentale, in particolare quella dell’Unione Europea e della NATO.



In questa visione storica, un elemento ricorrente emerge dal passato: la fondazione di Sebastopoli per volere dell’imperatrice Caterina la Grande. La zarina non vedeva in questa città solo una base navale strategica, ma la sognava come la futura capitale meridionale del suo vasto impero.

Un’idea che rispecchiava la sua ambizione di espansione verso il sud e il suo desiderio di avere tre centri di potere: Mosca come cuore centrale, San Pietroburgo come cervello settentrionale e Sebastopoli come avamposto meridionale, per proiettare la forza russa nel Mar Nero e oltre.



Questo progetto, avviato dal suo favorito, il principe Grigorij Aleksandrovič Potëmkin, sebbene non si sia mai pienamente concretizzato, dimostra la profondità storica di una strategia che oggi torna a manifestarsi senza indugio. L’importanza di Sebastopoli e del sud dell’Ucraina non è un’invenzione moderna, ma una colonna portante della politica russa da secoli.

La visione del Cremlino è quella di un “condominio” di fatto con la Turchia, un’intesa che rievoca gli spettri della Guerra fredda, dove Mosca controlla il Nord e Ankara il Sud. Questo approccio costringe la Russia a gestire un rapporto complesso e compromissorio con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, un attore che persegue la sua ormai consolidata ambivalenza tra Oriente e Occidente.



Erdogan (Foto: Euronews)

L’UE e la NATO sono ora costrette a confrontarsi con l’urgenza di una risposta. La strategia dell’UE per il Mar Nero deve essere attuata con credibilità, altrimenti sarà solo una promessa vuota. L’Ucraina, in questo scenario, è sull’orlo del precipizio. Se perdesse il controllo di Odessa e delle sue coste, la sua economia verrebbe strangolata e la sua rilevanza strategica cancellata.

Qualsiasi accordo di pace futuro, senza una reale deterrenza a lungo termine contro i tentativi russi di bloccare l’accesso di Kiev al mare non sarebbe che una tregua effimera, una vittoria russa mascherata.

In questo scenario la Turchia di Erdogan diventa un attore centrale, un’entità che non desidera né il dominio russo né una preponderante presenza NATO. Con rinnovato pensiero neo-ottomano, Ankara manovra per mantenere un precario equilibrio di potere, sostenendo le capacità ucraine per frenare le ambizioni egemoniche di Mosca, ma senza cedere a un coinvolgimento diretto dell’Alleanza Atlantica.

Nel frattempo la Cina di Xi Jinping espande la sua influenza economica, introducendo una multipolarità che, per la Russia di Putin, non è sinonimo di diversità, ma di un fronte comune contro l’Occidente. Pechino, a differenza di Mosca, non è gravata da eredità imperiali dirette e può interagire con gli attori regionali con meno vincoli storici.

Nel breve termine, la Russia tollera la crescente influenza cinese come un utile contrappeso. Tuttavia, nel lungo periodo, questo allineamento pragmatico potrebbe trasformarsi in una lotta per la supremazia.

Il potenziale declino dell’influenza degli Stati Uniti nella regione, unito a queste nuove dinamiche, aumenta i rischi per l’intero Mar Nero e per la sicurezza europea. La risposta euro-atlantica deve essere unita e coesa, con una strategia congiunta che abbracci il Mar Nero, il Caucaso meridionale e l’Asia centrale. Solo così sarà possibile contenere la proiezione russa.

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