Il G7, alleanza nata per unire le potenze non comuniste, si è pian piano ridotta a stampella dell’unipolarismo Usa. Ora è un ente inutile

In un’epoca di crescente disordine globale, il G7, un’alleanza nata nel lontano 1975 come G6, si aggrappa al suo precario status come un naufrago a un relitto che sta affondando. Sorge dalle ceneri della crisi petrolifera, ma oggi, con i suoi capi di Stato e di governo a rotazione, è solo un carnevale di potenti senza potere.



È il crepuscolo di un’era, dove le fondamenta di quest’alleanza, un tempo solidissime, sono ormai corrose da una farsa che va in scena da decenni.

La sua composizione include Stati Uniti, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone e Regno Unito, più l’UE come membro non conteggiato. Il G7 appartiene a un ordine mondiale che non esiste più, un’amara verità che i leader attuali cercano di ignorare.



Il suo scopo originale di unire le potenze non comuniste è sbiadito in un’eco lontana e beffarda. L’ingresso della Russia nel 1998 non fu un trionfo, ma un patetico atto di ingenuità. L’Occidente, ubriaco della propria vittoria, si illuse di poter addomesticare l’orso russo.

Fu una scommessa persa in partenza. Sotto la guida di Putin, Mosca scelse una strada che non contemplava salamelecchi. La sua espulsione, avvenuta nel 2014 per l’annessione della Crimea, non fu un gesto di forza, ma l’umiliante ammissione di un fallimento.

La “ferma condanna”, seguita da sanzioni senza precedenti, non ha spento il conflitto, ma ha solo acuito l’agonia, lasciando i Paesi membri a gestire le conseguenze di una guerra infinita e costosa. I tagli alle importazioni di petrolio e gas russi hanno destabilizzato i mercati, esponendo la vulnerabilità economica del blocco.



Lula, presidente del Brasile ai BRICS (Foto: ANSA)

Le crepe interne, un tempo celate dietro un velo di ipocrita coesione, si sono ora trasformate in voragini. La presidenza di Donald Trump ha squarciato brutalmente la finzione del fronte unito. Il suo ritiro dall’Accordo di Parigi sul clima e le dispute sui dazi non sono stati incidenti di percorso, ma il momento in cui le maschere sono cadute, rivelando interessi nazionali divergenti e insormontabili.

Le controversie su questioni fiscali globali, regolamentazione tecnologica e spese militari hanno trasformato gli incontri in una messinscena di Stati che perseguono solo i propri interessi. In un attimo di dolorosa verità, la cancelliera Merkel ammise che l’Europa doveva “prendere in mano il proprio destino”. Con il nazionalismo e l’euroscetticismo che dilagano, la frattura si è solo allargata.

L’ascesa di potenze emergenti come la Cina ha reso evidente l’irrilevanza del G7. Esso non è più il “comitato direttivo del mondo libero”, ma un’entità che si muove all’ombra di un gigante, il G20, un forum più brutale, ma almeno onesto.

Le iniziative dei sette “grandi” per contrastare la “Via della Seta” cinese non sono altro che tentativi vani di replicare un’influenza che non possiedono più. Le loro “ferme condanne” verso Pechino sono solo retorica da salotto, che si scontra ogni giorno con la dura realtà di un’economia totalmente dipendente dalle catene di approvvigionamento cinesi.

Questa palese contraddizione, tra la retorica di sfida e la pragmatica ricerca di accordi commerciali, ha esposto la debolezza strutturale del gruppo.

Anche le risposte alle crisi sono segnate da una sconfortante impotenza. Le sanzioni alla Russia, sebbene senza precedenti, non hanno fermato l’invasione dell’Ucraina. Gli incontri sull’intelligenza artificiale, come il “Processo di Hiroshima”, sembrano un’altra debole spinta a un’illusione di controllo, mentre la tecnologia avanza a un ritmo che rende ogni regolamentazione obsoleta prima ancora di essere applicata.

Al vertice del 2025 a Kananaskis, in Canada, la mancanza di un comunicato congiunto sull’Ucraina non è stata solo un fallimento diplomatico, ma la prova definitiva che le divergenze tra i membri sono diventate insormontabili. È una farsa senza più il suo atto finale.

Le riunioni del G7, inclusa la prossima, prevista per il 2026 a Evian, in Francia, non sono più che rituali privi di significato, mentre il mondo procede senza di loro. È la fine di un’era. La storia, spietata, si ricorderà solo dell’antica arroganza.

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