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Home » Economia e Finanza » Economia Internazionale » SCENARI/ Più Stato in economia per fermare disuguaglianze e guerre dei nuovi “sonnambuli”

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SCENARI/ Più Stato in economia per fermare disuguaglianze e guerre dei nuovi “sonnambuli”

Gianluigi Da Rold
Pubblicato 12 Agosto 2025
Tra gli altri, Volodymyr Zelensky, Emmanuel Macron, Ursula von der Leyen, Keir Starmer durante il VI summit della Comunità Politica Europea a Tirana, Albania, 16 magio 2025 (Ansa)

Tra gli altri, Volodymyr Zelensky, Emmanuel Macron, Ursula von der Leyen, Keir Starmer durante il VI summit della Comunità Politica Europea a Tirana, Albania, 16 magio 2025 (Ansa)

Diseguaglianze ed enormi ricchezze: il post-89, in mano ai "sonnambuli", ci ha regalato un mondo di guerre. Serve un nuovo ruolo dello Stato

È difficile ripensare a una serie di errori che sconvolgono un’intera società, ma non riconoscere che il mondo del terzo millennio, che è appena cominciato, sia bloccato da alcuni anni in guerre che sembrano irrisolvibili, come l’invasione della Russia putiniana in Ucraina e la tragedia di Gaza, che segnerà un secolo e lascerà strascichi di odio, di vendetta e di risentimento che non sono quantificabili, è come vivere da sonnambuli.


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Non è possibile, in una simile situazione geopolitica, in una completa rottura del “vecchio ordine”, rifiutarsi di ragionare e cercare di nuovo la strada della politica, dall’arte del possibile, del nobile compromesso, che sembra sia stata radiata dalla storia umana e sostituita dalla “volontà di potenza”.


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Se non è questa la ragione, è forse l’imperialismo, il prodotto principale dal capitalismo, la causa del tutto? Sono proprio le nazioni capitaliste che cercano di espandere i loro mercati e le loro risorse attraverso la conquista e la colonizzazione di altre nazioni? Questo, sosteneva Marx, portava a confitti e guerre.

Probabilmente queste teorie avevano e hanno un valore parziale, nella spiegazione della complessità umana. Non potevano permettersi di spiegare completamente la realtà in cui vive l’umanità. E quando si guarda alle guerre e alle grandi crisi epocali viene sempre in mente l’analisi che ha fatto uno storico come Christopher Clark con il suo I sonnambuli, dove si scriveva puntualmente: re, imperatori, ministri, generali, apparentemente vigili, non erano in grado di vedere la realtà dell’orrore che stava portando la guerra del 1914.


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Piuttosto che la visione elaborata dalle teorie, forse è meglio scegliere la scrupolosa analisi della realtà e la sempiterna validità della lezione della storia.

C’è qualcuno forse che era così sicuro della caduta del Muro di Berlino il 9 novembre 1989? In quello stesso giorno, Giorgio Napolitano era in Germania nello studio di Willy Brandt (erano ancora i primi confronti tra socialdemocratici e comunisti nell’Europa da costruire totalmente) e restarono allibiti di fronte alle notizie che arrivavano. Era crollato il bolscevismo.

9 novembre 1989, a Berlino cade il Muro che divide Est e ovest (Ansa)

Poco dopo comparve Francis Fukuyama con La fine della storia e l’ultimo uomo, letteralmente un epinicio al capitalismo, come conclusione dello sviluppo socioculturale dell’umanità. A ruota rispuntarono i Friedrich von Hayek, i Milton Friedman, i “preistorici” teorici del radicale economicismo, secondo il quale il comportamento dell’uomo è regolato dalla massimizzazione.

A ruota ancora, i politici, non solo di destra ma anche uomini di sinistra, come Tony Blair e soprattutto Bill Clinton che, nel 1999, si arresero di fronte alla legge che abrogava il Glass Steagall Act del 1933, cioè la separazione tra banche d’affari e banche commerciali,  che mirava a introdurre misure precise per contenere la speculazione da parte degli intermediari finanziari e prevenire le situazioni di panico bancario.

In questo modo, con la complicità generale di un mondo impazzito, la finanza è diventata la “regina” del nuovo sistema economico che, di fatto, ha cancellato l’economia mista, l’intervento dello Stato in economia: dopo trent’anni di keynesismo e di economia liberale e sociale allo stesso tempo, dopo Socialismo liberale di Carlo Rosselli  è arrivato il turbo-capitalismo, il neocapitalismo finanziario, con le conseguenze che oggi si possono vedere.

Il rapporto Oxfam 2024, dal titolo più che significativo Disuguaglianza: povertà ingiusta e ricchezza immeritata spiega che il mondo è sempre più ricco ma che le ricchezze sono distribuite sempre meno equamente. Le differenze nella possibilità di vivere tra gli uomini sono sempre più grandi, sempre più allarmanti e realisticamente vicine al disastro per quello che possono provocare.

Nel 2024 la prosperità miliardaria è cresciuta in termini reali di 2.000 miliardi di dollari (una cifra equivalente al Pil italiano) pari a circa 5,7 miliardi di dollari al giorno, a un ritmo tre volte superiore a quello dell’anno precedente.

Il risultato è che l’1% della popolazione mondiale possiede il 45% della ricchezza della terra. Gli altri, che vivono in povertà, hanno a disposizione 6,85 dollari al giorno. Il numero di queste persone è invariato dal 1990. Si tratta di 3,5 miliardi di persone, il 44% dell’umanità, quasi una persona su due. E mentre il ceto medio sparisce, per superare la soglia della povertà assoluta, con questo modello di sviluppo, ci vorrebbe un secolo e mezzo.

Di fronte ai tanti nuovi sonnambuli che non vedono un prossima tragedia di fronte a una tale disuguaglianza sociale, sono state inutili le “profezie” di un grande economista come Hyman Minsky, che a metà degli anni Novanta disse che ci sarebbe stata una crisi devastante nel 2008 dovuta alla instabilità finanziaria. Non gli hanno dato alcun premio prima di morire, ma solo il titolo di “profeta della crisi”.

Minsky, come molti altri, non era un sonnambulo. Mariana Mazzucato sostiene ad esempio che lo Stato abbia un ruolo cruciale e attivo nell’economia, non solo come regolatore, ma anche come motore di innovazione e crescita. Lo Stato deve investire in ricerca e sviluppo, assumendosi rischi che il settore privato spesso evita, e creare un ambiente favorevole all’innovazione che coinvolga sia il pubblico che il privato.

È ora quindi di superare la visione di uno Stato tradizionale come entità statica e burocratica contrapponendo l’idea di uno Stato dinamico e imprenditoriale capace di guidare lo sviluppo.

Forse, visti i risultati degli ultimi trent’anni, conviene dare una dose massiccia di sonnifero ai sonnambuli e sperare nel ritorno della politica economica e dello Stato imprenditore.

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