Con rinvii e piccoli passi sulle scelte chiave per l'auto, l'Ue non riuscirà a salvare la sua industria: serve più realismo
Lo scorso 10 settembre, nel suo discorso annuale sullo stato dell’Unione europea, la Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, aveva annunciato una revisione delle politiche europee per il settore automobilistico.
Da un lato, aveva confermato gli obiettivi del Green Deal, incluso il divieto di vendita di auto non a emissioni zero dopo il 2035; dall’altro, aveva annunciato un’analisi per valutare la possibilità di rivedere quella scadenza, già prevista dalla normativa iniziale. Aveva inoltre promesso ulteriori investimenti per 1,8 miliardi di euro nella produzione europea di batterie, dopo il fallimento della prima grande esperienza europea in questo settore, quella di Northvolt, e aveva presentato un’iniziativa per favorire la produzione in Europa di auto di piccole dimensioni e a basso costo, così da renderle accessibili anche alle fasce meno abbienti della popolazione.
L’incontro dedicato alla presentazione dei risultati di tale analisi, e quindi del nuovo “pacchetto auto”, inizialmente previsto per il 10 dicembre, è stato ora rinviato. Si parla di settimana prossima o addirittura di inizio gennaio.
Nel frattempo:
– Donald Trump, insieme ai principali attori del settore automobilistico – che lo hanno ringraziato -, ha annunciato l’annullamento dell’aumento delle restrizioni sull’efficienza dei veicoli introdotte dall’Amministrazione Biden.
– Il Cancelliere tedesco Merz ha dichiarato di voler inviare una lettera alla Commissione europea per chiedere di mantenere la possibilità di produrre veicoli con motore ibrido anche dopo il 2035.
– Cinque Paesi dell’Europa orientale, insieme all’Italia, hanno chiesto alla Commissione europea di consentire diverse tipologie di motorizzazione e di riconoscere un ruolo ai biocarburanti, già utilizzati nel trasporto aereo.

Purtroppo – e sarebbe forse stato un bel sogno, se mai avesse avuto la possibilità di realizzarsi – la visione europea di una mobilità esclusivamente elettrica a partire dal 2035 è naufragata.
I produttori europei di automobili non sono in grado di offrire auto elettriche a prezzi competitivi e sostenibili per i consumatori europei, soprattutto quelli meno fortunati. L’Europa non è riuscita a dotarsi di un produttore significativo di batterie elettriche per veicoli e, anche se ci riuscisse, rimarrebbe comunque dipendente dalla Cina per la raffinazione del litio.
E questo non perché l’industria chimica europea non abbia le competenze o le capacità tecniche per farlo, ma perché le politiche europee sulla chimica rendono praticamente ed economicamente impossibile raffinare il litio nel nostro continente (oltre a rischiare di compromettere gran parte della chimica di base europea).
L’infrastruttura di ricarica elettrica non ha, né avrà nel prossimo futuro, la capillarità necessaria per sostenere una massiccia elettrificazione della mobilità. Infine, l’Europa non dispone di un eccesso di energia elettrica rinnovabile, con il risultato che comunque si dovrà bruciare petrolio o metano per produrre l’energia necessaria alla ricarica delle batterie.
Il vero dubbio, a questo punto, è se l’Europa vorrà prenderne atto, abbandonando le proprie illusioni velleitarie per cercare di salvare ciò che può e deve essere mantenuto: rendere l’Europa quanto più possibile energeticamente e tecnologicamente indipendente. Oppure se la Commissione europea, per timore di perdere la faccia o per mancanza di coraggio nel riconoscere un fallimento, ci trascinerà in una serie di rinvii, piccoli passi e ripensamenti progressivi, che faranno solo perdere tempo e aggiungeranno ulteriori danni a quelli già subiti dall’industria europea e dai suoi lavoratori
Una linea ragionevole è quella già proposta da vari Governi europei: guidare progressivamente, ma senza strappi, il nostro sistema economico e di mobilità verso la massima efficienza possibile, attraverso forme di ibridizzazione più o meno spinte, sulla base della reale disponibilità di elettricità rinnovabile nel continente e dello sviluppo dell’infrastruttura di ricarica. A ciò si dovrebbe aggiungere l’ammissione dei biocombustibili e un allentamento dei vincoli sull’uso di biomasse di origine agricola, consentendo ad esempio l’impiego di cereali coltivati su terreni europei oggi incolti.
La dipendenza dai combustibili fossili non è soltanto nociva per l’ambiente, ma anche per la nostra economia e, più in generale, per la società.
Per svolgere il grande, importante e fondamentale ruolo che le abbiamo affidato, l’Europa deve imparare a conciliare ambizione e pragmatismo. L’ostinazione nel perseguire un sentiero ormai interrotto rischia solo di danneggiare la sua credibilità, e sarebbe un grave errore.
Abbiamo bisogno di istituzioni credibili, che possano davvero guidarci ed essere seguite, specialmente in questo momento di grandi cambiamenti negli equilibri geopolitici e industriali mondiali.
C’è ancora tempo per cambiare, ma il tempo è ora.
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