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Home » Politica » SCENARIO/ Cassese: alle Regioni serve un tagliando, ma i partiti stanno peggio

  • Politica

SCENARIO/ Cassese: alle Regioni serve un tagliando, ma i partiti stanno peggio

Oggi al Meeting si parla di federalismo e centralismo. "È il momento di fare un bilancio e di decidere che cosa non ha funzionato" dice Cassese

Int. Sabino Cassese
Pubblicato 23 Agosto 2021
Mariastella Gelmini, ministro per gli Affari regionali, Con Massimiliano Fedriga, presidente della Conferenza Stato-Regioni (LaPresse)

Mariastella Gelmini, ministro per gli Affari regionali, Con Massimiliano Fedriga, presidente della Conferenza Stato-Regioni (LaPresse)

Se non sono in terapia intensiva, poco ci manca. La pandemia ha indebolito il nostro regionalismo per due motivi: “le continue tensioni e fratture tra centro e periferia e l’incapacità delle Regioni di stabilire un regime di cooperazione tra di loro”. A dirlo è Sabino Cassese, giurista, giudice emerito della Corte costituzionale ed ex ministro della Funzione pubblica, che affronterà questo tema oggi al Meeting di Rimini. Il governo Draghi ha saputo instaurare una modalità più serena e collaborativa tra i governatori, e non è poco, ma i problemi restano, perché – spiega Cassese – a vent’anni di distanza dalla riforma costituzionale del 2001 “è giunto il momento di fare un bilancio e di decidere che cosa non ha funzionato”.


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Con lui il Sussidiario ha parlato anche di green pass, Pnrr ed elezione del capo dello Stato (“lunga vita al governo Draghi”). Ma è ai partiti che Cassese riserva parole tombali. È inutile la loro ansia di rimanere in partita, soprattutto nella gestione del Pnrr, perché “i partiti sono morti un quarto di secolo fa. Le attuali forze politiche non possono chiamarsi partiti”.


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Professor Cassese, lo stato di emergenza, che lei ha ampiamente criticato quando non ne ha ravvisato i presupposti, vige fino al 31 dicembre. A che cosa – o a chi – serve?

Ho criticato la dichiarazione dello stato di emergenza, a pandemia inoltrata, perché utilizza il codice della protezione civile, che non dovrebbe applicarsi alle epidemie, e perché uno Stato moderno dovrebbe avere strumenti ordinari per affrontare situazioni difficili. Aggiungo che l’emergenza dichiarata da ultima ha anche un’ulteriore peculiarità: è stata deliberata con decreto legge, mentre il codice della protezione civile richiede soltanto una deliberazione del Consiglio dei ministri. Ancora una volta, si ricorre a strumenti eccezionali perché quelli ordinari non funzionano, invece di cambiare questi ultimi.


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Perché il governo non ha ancora introdotto l’obbligo vaccinale per legge ed è ricorso al green pass, con tutte le difficoltà che ne sono scaturite?

In realtà il cosiddetto green pass è un obbligo vaccinale, disposto con legge, per ora limitatamente alle persone addette alla sanità, a chi vuole utilizzare i trasporti, alla scuola. In sostanza, con atto con forza di legge, è disposto un obbligo non generalizzato, ma limitato ad alcune categorie. Questo modo di procedere risponde al principio di proporzionalità, secondo il quale, quando vi sono strumenti meno invasivi, si fa ricorso a questi, invece a quelli che a quelli generali.

Come mai da quando c’è il governo Draghi delle Regioni non si è più sentito parlare, se non nelle classifiche di vaccini e contagi? Che cosa è cambiato dal governo Conte?

Merito del presidente Draghi e della ministra Gelmini che hanno saputo stabilire procedure di regolare consultazione con le Regioni, ma anche dei presidenti regionali che hanno capito l’errore di tirare troppo la corda.

Il nostro sistema regionale esce rafforzato o indebolito dal Covid?

Esce indebolito perché sono apparsi chiari due punti deboli. Da un lato, le continue tensioni e fratture tra centro e periferia. Dall’altro, l’incapacità delle regioni di stabilire un regime di cooperazione tra di loro. Occorre invece che le regioni che hanno buone gambe aiutino quelle che zoppicano.

“Tra federalismo e centralismo” recita il titolo dell’incontro di oggi al Meeting. Tra questi due poli si sono consumati dibatti infiniti. La pandemia dovrebbe aggiornare l’agenda delle riforme?

Le regioni hanno mezzo secolo di vita e 20 anni di esperienza del nuovo regime che fu introdotto con la riforma costituzionale del 2001. È giunto il momento di fare un bilancio e di decidere che cosa non ha funzionato. Il punto debole principale è costituito dalla difficoltà di prendere decisioni che siano veramente nazionali, come richiesto per la gestione nel servizio sanitario nazionale, del sistema scolastico nazionale, del sistema statistico nazionale, e di tutti gli altri sistemi definiti nazionali dalla legge.

Il Pnrr imporrà all’intero paese una gestione commissariale. Quale sarà il ruolo delle Regioni?

Per quanto già deciso, non mi pare che vi possano essere sovrapposizioni. Le regioni hanno una funzione di programmazione e di coordinamento, i commissari una funzione di esecuzione.

Sarà il Pnrr, per lo stesso motivo, a rappresentare il de profundis per i partiti?

I partiti sono morti un quarto di secolo fa. Le attuali forze politiche non possono chiamarsi partiti. C’è un aspetto semantico che va ricordato: solo una delle forze politiche presenti in Parlamento conserva nella sua denominazione sociale la parola partito. I partiti erano associazioni con molti iscritti, un’articolazione territoriale, una vita continua delle sezioni, congressi nazionali, organi centrali. Tutto questo non esiste più: ad esempio, il numero degli iscritti ai partiti e oggi 1/8 del numero degli iscritti ai partiti di 70 anni fa.

Ultima domanda. La situazione nella quale ci troviamo rende plausibile un mandato bis di Mattarella e una permanenza di Draghi a palazzo Chigi fino al ’23?

Penso che sia utile che il presidente Draghi ci conduca fuori della crisi sanitaria e poi anche da quella finanziaria che seguirà immediatamente dopo. Auguro, quindi, lunga vita al governo Draghi. 

(Marco Tedesco)

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Tags: Mario Draghi

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