L'Ue si è impegnata a investire negli Usa, ma nulla vieta che investimenti americani possano giungere nel nostro Paese

Nel mio gruppo di ricerca euroamericano, la sezione di scenaristica strategica ha come motto “trasformare ogni problema in opportunità”. Nell’analizzare il problema di aumentare la spesa dei membri europei della Nato per investimenti diretti in strumenti di difesa (3,5% del Pil) e di sicurezza collaterale (1,5% del Pil) nel medio-lungo termine la soluzione, direi ovvia, per evitare restrizioni di bilancio degli Stati a danno di altri settori e spinta allo sviluppo (trasformare i cannoni in burro) è quella di creare un’architettura finanziaria di investimento che integri capitale statale, anche in forma di garanzie, e privato.



Infatti, il Parlamento europeo ha approvato una mozione in tal senso. E, molto importante, nella nascitura Defence, Security and Resilience Bank (DSR Bank) (Banca per la difesa, sicurezza e resilienza) è prevista la partecipazione non solo di soggetti finanziari dell’Ue – al momento banche -, ma anche del Regno Unito, Canada, Australia, Giappone, Norvegia, sottolineando la presenza della statunitense JP Morgan. L’obiettivo preliminare è partire con qualche decina di miliardi di capacità di investimento per poi arrivare a 100 e forse oltre.



Immagino che il Governo italiano stia valutando se stimolare o meno e quanto attori finanziari nazionali o privati o pubblici per partecipare a questa infrastruttura finanziaria. Ma mi permetto il suggerimento di inserire nella valutazione la priorità di uno strumento di investimento finanziario bilaterale italo-statunitense senza peraltro escludere partecipazioni alla DSR Bank.

Due motivi concreti. Non è ancora chiaro come l’Ue risponderà tecnicamente alla pressione statunitense di investire 600 miliardi (dollari) europei nell’economia statunitense. Ma poiché questa è una condizione per avere uno sconto sui dazi americani, è probabile che qualcosa verrà fatto in tale direzione. Come trasformare questo problema che non è solo economico, ma anche tecnico perché l’Ue non può imporre agli Stati e tantomeno ai privati europei di investire in America, in opportunità?



Mi sembra semplice sul piano ideativo, almeno per l’Italia: creare uno strumento finanziario specializzato per investimenti di attori italiani negli Stati Uniti e – qui il punto – viceversa. Infatti, Donald Trump non vieta investimenti di attori statunitensi in Italia pur creando per l’Italia, in quanto membro dell’Ue, una sorta di obbligo a partecipare agli investimenti europei in America. L’idea è: via strumento ben disegnato attori italiani investono in attività americane, ma attori statunitensi anche investono in attività residenti in Italia ed eventuali dintorni di interesse comune, per esempio in Africa.

Immagino una Banca italo-americana di investimento o altro? Aperta a investitori globali? Con capitale misto pubblico-privato? Che poi generi un Nasdaq italiano connesso con quello statunitense? Questo ultimo punto nella mia testa resta fisso, senza necessariamente criticare Borsa italiana posseduta da Euronext che è un dominio francese, perché vedo troppe start-up italiane di qualità eccezionale costrette a migrare per lo più in America dove il ciclo di capitale privato di investimento è abbondante e audace, problema già posto con enfasi nel Rapporto Draghi all’Ue. Ma il resto dell’infrastruttura bilaterale è oggetto di studio. E per studiarlo sono andato a vedere le dichiarazioni ufficiali seguite ai recenti bilaterali tra Italia e America.

In quello di aprile tra Giorgia Meloni e Trump si nota un precursore di infrastruttura comune di investimenti finanziari/industriali reciproci in parecchi settori tecnologici di rilievo sia militare sia civile. E ci sono parecchi dati concreti, quello più recente è l’accordo tra Agenzia spaziale italiana e Space X per inserire eso-strumentistica italiana nella missione verso Marte, tema già enfatizzato nel comunicato bilaterale di aprile, sopra citato, dove le due nazioni si impegnano per collaborazioni crescenti nel programma lunare statunitense Artemis che implica un futuro cantiere per la costruzione di grandi navi spaziali. E altre cose, con centinaia di ricadute innovative sul mercato civile.

Quindi per avere investimenti statunitensi italiani pari o perfino superiori a quelli (di attori) italiani in America serve un’infrastruttura che organizzi in maniera efficiente questo ciclo bilaterale di capitale di investimento, eventualmente aperto a investitori di altre nazioni compatibili.

C’è poi un secondo motivo per una struttura finanziaria bilaterale di investimento Italia-Usa: pur necessari accordi europei ritengo prudente non mettere l’Italia in totale dipendenza da Francia e Germania.

Andando verso la conclusione, cosa c’è di concreto e già toccabile in questa mia nota? Ho annotato l’attività di enti privati italiani, dal 2024, con missione transatlantica (Transatlantic-Harmonic Foundation e Transatlantic Investment Committee) in contatto con i ministeri sia delle Imprese (Mimit), sia degli Esteri, e altre istituzioni tra cui ben 14 Regioni e Confindustria, senza dimenticare la Camera di commercio italo-americana, che stanno creando un ponte per investimenti reciproci tra entità italiane e statunitensi.

Quindi, c’è più attività di quanto sia noto per la costruzione di una struttura finanziaria bilaterale. Poi ho annotato l’aumento di interesse di fondi di investimento statunitensi per l’Italia che mai avevano espresso attenzione sull’Italia stessa.

Tema specialistico di poco interesse emotivo per il lettore? Piano: bene che vada l’Italia perderà causa dazi un tot di export verso l’America che se anche gestibile con alternative di mercato e accordi tra esportatore e importatori sarà comunque un problema. La soluzione sistemica, anche se non per tutti i settori economici, è quella qui detta.

www.carlopelanda.com

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