Nell'accordo Usa-Ue sui dazi ci sono dei dettagli e degli impegni ancora poco chiari e occorre prestare attenzione
Si avvicina la scadenza del 7 agosto 2025 prevista per l’introduzione dei dazi Usa nei confronti delle merci provenienti dall’Ue. Da Bruxelles trapela ottimismo sulla possibilità di finalizzare in tempi brevi un’intesa che al momento si basa su un accordo quadro raggiunto in Scozia tra Donald Trump e Ursula von der Leyen, che è stato subito piuttosto criticato dai Paesi membri dell’Unione.
Secondo Nicola Rossi, già Professore ordinario di Economia all’Università di Roma Tor Vergata, «è difficile credere che la Presidente della Commissione abbia agito senza aver prima ascoltato tutte le parti europee in causa ed essersi sentita dire che dazi al 15% rappresentavano il male minore. Detto questo, credo anche che l’accordo vado valutato in termini relativi».
In che senso?
È importante considerare se in termini relativi la posizione europea sia migliorata o peggiorata e ho la netta sensazione che, tolto il caso della Gran Bretagna, quello dell’Ue sia l’accordo meno peggiore raggiunto da un Paese con gli Usa. Dunque, le merci europee dovrebbero ottenere un vantaggio competitivo rispetto a quelle di altri Paesi. E questo non va sottovalutato.

Nell’intesa sono compresi anche impegni relativi ad acquisti di prodotti energetici e armi dagli Usa, oltre che investimenti europei negli Stati Uniti…
Questa mi sembra la parte più preoccupante dell’accordo. Da quello che finora è noto, infatti, appaiono come obblighi difficilmente rispettabili, alcuni non sono nemmeno chiari. La mia preoccupazione ha a che fare con la volatilità dei comportamenti del Presidente americano: potrebbe metterci poco a sostenere che, non essendo stato mantenuto un obbligo, è autorizzato a rimettere in discussione tutto il resto dell’accordo. In questo senso ha già minacciato di portare i dazi al 35% se non ci saranno gli investimenti europei negli Usa.
Come diceva, ci sono aspetti poco chiari dell’accordo, anche perché Bruxelles e Washington ne hanno fornito due diverse versioni.
Non è stato sottoscritto un documento, ma è stata raggiunta un’intesa, che è una cosa un po’ diversa. Mi sembra, tuttavia, che anche in altri casi, come quello relativo alla Cina, la tendenza di Trump sia quella di rendere pubbliche intese di massima che non hanno alle spalle un reale documento dettagliato. Questo gli offre anche la possibilità di effettuare facilmente delle marce indietro.
Lei a cosa attribuisce le lamentele degli Stati membri sull’intesa raggiunta?
Ho l’impressione che siano da attribuire anche alla modalità con cui questa intesa è stata raggiunta, in un resort scozzese invece che in una sede istituzionale di una delle due controparti. Questi aspetti formali non sono irrilevanti e lasciano il senso di qualcosa che poteva essere fatto meglio. È bene, però, essere chiari: è facile parlarne dal di fuori, quindi un po’ di prudenza nei giudizi è opportuna.
Cosa pensa del fatto che il ministro delle Finanze tedesco si sia recato a Washington per parlare anche dei dazi?
Dal momento che si parla di una lista di prodotti che godrebbe di un trattamento di favore rispetto alla normale tariffa del 15%, è chiaro che ogni Paese dell’Ue cercherà di far comparire in questa lista i principali prodotti della sua economia. La mia sensazione è che si tratti di una mossa sbagliata e che sarebbe meglio centralizzare a Bruxelles anche questi aspetti della trattativa, perché è evidente che l’Europa è più forte se è unita. Non è detto, tuttavia, che questa visita a Washington, come altre che potrebbero seguire, non sia avvenuta tenendo informata Bruxelles.
Già si parla, comunque, di compensazioni per i settori più colpiti dall’impatto dei dazi. Cosa ne pensa?
Credo che sarebbe un errore capitale concederle. Non si capisce perché un’impresa debba essere risarcita per un evento di questo genere. Tutti i Governi europei dovrebbero essere molto chiari e spiegare che anche le politiche tariffarie dei Paesi terzi fanno parte del rischio di impresa. Non siamo di fronte a un evento come la pandemia. Devono essere, quindi, le aziende a sforzarsi di trovare soluzioni, per esempio cercando altri mercati di sbocco.
I dazi porteranno dei vantaggi all’economia americana, come sostiene l’Amministrazione Trump?
Non bisogna immaginare che gli impatti negativi dei dazi sull’economia americana intervengano immediatamente. Ci mettono del tempo, perché prima le imprese devono consumare le scorte cumulate significativamente all’inizio dell’anno e poi provare ad assorbire in parte i dazi contraendo i loro margini di profitto. Solo dopo trasferiranno sui prezzi al consumatore le tariffe doganali. Ci vuole pertanto del tempo ed è corretto l’atteggiamento prudente sui tassi che sta tenendola Fed.
Si parla, però, di ingenti introiti fiscali…
Se ci saranno significherà che il sistema americano continuerà a importare prodotti. Il che vorrà dire che l’obiettivo dell’Amministrazione Trump di far sì che le imprese straniere spostino le loro produzioni negli Stati Uniti o che ci sia il reshoring di alcune produzioni non sarà stato conseguito.
(Lorenzo Torrisi)
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