Dazi di Trump dannosi anche perché aumentano il carico burocratico. L’Europa deve ricordarsi la sua forza e tassare le aziende USA del web

Sono storicamente sorpassati, almeno nella forma in cui li intende Trump; per le imprese sono un peso anche dal punto di vista burocratico e si ritorceranno anche contro gli americani. Eppure pendono come una spada di Damocle sull’economia europea e mondiale. USA e UE trattano, ma il punto di equilibrio sui dazi, spiega Marco Allena, professore ordinario di Diritto tributario, Facoltà di Economia e Giurisprudenza, Università Cattolica del Sacro Cuore, si potrà raggiungere solo quando l’Europa si ricorderà della sua forza e penserà di tassare le big tech americane, per le quali il Vecchio continente è un grande mercato. Un’Europa che però, per riuscire a far pesare la sua forza, deve uscire dalla gabbia delle decisioni all’unanimità, una procedura che di fatto le impedisce di contare a livello mondiale.



Al di là dell’aumento dei costi e dei pesanti rischi per l’economia, che conseguenze possono avere i dazi usati alla “maniera di Trump” sul commercio mondiale?

Forse è la prima volta nella storia, più o meno recente, in cui assistiamo a una guerra dei dazi di questo tipo, così disordinata: non si capisce qual è il fine ultimo. Il presidente degli Stati Uniti, oramai qualche mese fa, ha enunciato una sorta di programma, con dati frutto di calcoli non esatti, derivanti a loro volta da presupposti sbagliati. In realtà poi l’ha più volte disatteso. La conseguenza, al momento, è il caos. E non potrà che aumentare.



Trump si muove sulla scorta dell’America first, ma c’è una qualche forma di valutazione degli effetti che i dazi possono avere almeno sull’Occidente, cioè sui Paesi alleati degli USA? In fondo il potere americano si fonda anche sui legami che hanno con queste nazioni.

Le conseguenze sono drammatiche, innanzitutto perché negli ultimi mesi è venuta meno la fiducia che tutto l’Occidente, bene o male, ha sempre avuto negli USA. Tutto il mondo occidentale, in particolare i Paesi europei, nonostante qualche divergenza, ha sempre guardato agli Stati Uniti come a un punto di riferimento, un alleato inscalfibile. Ora tutto questo è venuto meno. E le conseguenze sono gravissime. Per l’Italia potrebbero essere molto gravi per numerosi settori della nostra economia. Ma le conseguenze probabilmente saranno altrettanto gravi, se non di più, anche per il mercato interno degli Stati Uniti.



Cosa può succedere all’America di Trump?

Nell’immediato, negli Stati Uniti ci può essere l’illusione di un vantaggio derivato dai dazi, perché significano un aumento del gettito; in realtà, nel medio termine, le cose potrebbero cambiare. L’Europa tentenna, vuoi per la mancanza di unità politica, vuoi perché ha il difetto congenito dell’incapacità di prendere decisioni in materia fiscale (e i dazi sono materia fiscale), però prima o poi dovrà prendere una decisione. E quando assumerà posizioni nette, tra cui un aumento dei dazi sui prodotti americani, e soprattutto quando capirà che l’arma più potente che ha in mano è la tassazione delle multinazionali statunitensi, essenzialmente del web, per le quali quello europeo è un mercato di riferimento, allora anche gli USA si accorgeranno che le conseguenze sono gravi anche per loro.

I dazi, al di là degli eccessi di Trump, vengono usati abitualmente per regolare i rapporti commerciali. Che ruolo dovrebbero avere normalmente in un’economia di mercato?

I dazi sono tra le imposte più antiche della storia. Basta pensare a quello che accadeva tra i comuni e le signorie italiane, nel Medioevo, nel Rinascimento o nei secoli successivi. Imporre dazi aveva un senso quando l’obiettivo era proteggere determinate produzioni locali o impedire l’ingresso di certi beni in questo o in quello Stato. La differenza è che allora le economie erano molto meno collegate tra di loro e gli effetti infinitamente minori: innescavano processi lenti, consolidati, che seguivano un certo ordine. Ora è saltato tutto: la guerra dei dazi si è scatenata per volontà di un solo Stato, anche se è l’economia più importante del mondo, ma è successo in maniera totalmente disorganica, disordinata e caotica, in un momento in cui le economie mondiali sono profondamente collegate tra loro.

I dazi, insomma, sono uno strumento storicamente in disuso?

Una delle prime forme di unione commerciale nella storia è stata quella della Lega anseatica, nel XVII secolo, in cui città-stato prussiane, tedesche, danesi si erano unite tra loro per diminuire o abbattere i dazi, per favorire i commerci. Da allora c’è tutta una storia di diminuzione dei dazi. Qui siamo di fronte a un revirement totalmente imprevedibile. Ci sono dazi come il CBAM, che la UE ha introdotto da qualche tempo, ma che servono per colpire all’ingresso in Europa i beni prodotti in Paesi che non hanno regole per tutelare l’ambiente. Un dazio che ha un fine virtuoso, molto diverso da quelli di cui parliamo in questi giorni.

L’errore degli USA è pensare di salvare la loro economia da soli, senza curarsi del resto del mondo?

È esattamente così. Gli Stati Uniti stanno affrontando un periodo di grandissima crisi politica e culturale. Al giorno d’oggi è impensabile realizzare un sistema autarchico come quello che sembra stia prendendo piede nella situazione americana. Una visione che non credo potrà durare molto. Un momento importantissimo saranno le elezioni di midterm: allora vedremo se, alla luce di tutto questo, i cittadini statunitensi confermeranno la fiducia a questa amministrazione.

Le trattative in corso possono permettere di trovare un punto di equilibrio fra USA e UE?

Si potrà trovare solo nel momento in cui l’Europa sarà consapevole della propria forza. È giunto il momento che, con i dovuti modi, alzi la voce, anche se non è consapevole del suo peso nel mondo e non è capace di prendere decisioni in ambito fiscale. C’è un baco di fondo nel sistema europeo che complica tutto: la regola dell’unanimità sulle decisioni. Ad oggi, per come sono scritte le regole dei trattati, le decisioni in materia fiscale richiedono in Europa l’unanimità dei Paesi, il che è un non senso, perché significa non decidere. Invece la UE dovrebbe prendere delle decisioni in materia fiscale a maggioranza, come capita per ogni tipo di decisione democratica.

In questo caso riuscirebbe ad articolare una risposta seria agli USA?

Il modo migliore sarebbe quello di evitare di cedere a richieste che contraddicono decisioni prese il giorno prima. Basti pensare al gravissimo errore di promettere l’abbandono della global minimum tax per le imprese USA, protagoniste di fenomeni di elusione ed evasione fiscale. Il suo mantenimento da parte della UE su certi soggetti, prevalentemente statunitensi e del settore web, sarebbe un deterrente fortissimo nei confronti dell’amministrazione americana. Significa semplicemente non cedere a richieste che non hanno nulla di ragionevole.

I dazi rappresentano un peso economico anche dal punto di vista della burocrazia?

Le imprese sono spaesate, non sanno come comportarsi: la cosa peggiore per loro è l’incertezza. E anche dal punto di vista burocratico il caos dei dazi non è solo una complicazione, ma un costo enorme. Lo abbiamo visto in occasione della Brexit. C’è voluto tempo per attivare le procedure doganali dovute alla reintroduzione di dazi da parte UE sui prodotti provenienti dalla Gran Bretagna: allora abbiamo assistito all’aumento dei costi burocratici per le imprese. Oltre a tutto il resto, quindi, bisogna prendere in considerazione anche questo elemento: l’aumento notevole dei costi burocratici, al momento neppure calcolabili proprio a causa dell’enorme incertezza che regna.

(Paolo Rossetti)

 

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