Oggi al Meeting di Rimini Michele De Pascale, presidente dell’Emilia-Romagna, parlerà di accoglienza, integrazione e lavoro

Migranti, sanità, cura del territorio, autonomia, alleanze politiche e dirigenti del Nazareno che non vogliono morire a 5 Stelle. Ilsussidiario.net ha raggiunto Michele De Pascale, presidente dell’Emilia-Romagna dal dicembre scorso dopo essere stato sindaco di Ravenna per il Pd. Moderato, a differenza di Schlein guarda volentieri al centro, purché sia progressista. Oggi sarà al Meeting di Rimini, dove parlerà di accoglienza, lavoro e integrazione confrontandosi con il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.



Presidente, cominciamo dall’integrazione. Tema rovente. Qual è il modello che la ispira?

Il tema va declinato su due assi portanti che non possono stare l’uno senza l’altro. Il primo è quello del nostro senso di umanità. Come si fa a non riconoscere negli occhi di chi arriva gli stessi occhi dei nostri bisnonni che sono emigrati in ogni angolo del pianeta? Senza questa umanità qualsiasi tipo di gestione dell’immigrazione sarà sempre una reazione ostile.



E il secondo?

Senza capacità di organizzazione e di gestione, senza capacità di incrociare percorsi di formazione, domanda e offerta di lavoro, non esiste società che, alla lunga, sia capace di tenere.

Il governo fa bene o male?

Gli contesto entrambi gli aspetti. Mi sembra debole sia sul piano culturale, sia su quello organizzativo. Ero sindaco (di Ravenna, ndr) nel 2016 quando ci fu la prima grande ondata di sbarchi. Facemmo con la prefettura tutte le convenzioni possibili per poter essere noi, come comune, in grado di collegarci con la formazione professionale. Arrivò il governo Conte 1 e tutto venne cancellato.



Quella strada è ancora valida?

Sì, e va percorsa con tutta la determinazione possibile. Il governo dice: andiamo a fare formazione nei Paesi di origine e poi li facciamo venire. Sul principio sono d’accordissimo, come Regione Emilia-Romagna abbiamo un progetto di formazione stipulato con il Marocco insieme a Veneto e Lombardia, ma parliamo di numeri piccolissimi per costi molto elevati. È sulle opportunità che vedo invece una rigidità ideologica molto forte.

Cosa significa?

Per me la parola chiave è opportunità: offrire la possibilità di formazione e di inserimento lavorativo per tutti coloro che potrebbero usufruire di un permesso per ragioni umanitarie. Per il governo invece sono tutti clandestini. Su questo il centrodestra mostra una rigidità totale.

Lei cosa farebbe?

Come Regione vogliamo fare una legge finalizzata a offrire opportunità ai minori stranieri non accompagnati. Cominciamo da loro! Sto ricevendo dal mondo del no profit tantissime offerte di collaborazione. Non solo. Sia il mondo dell’industria che dell’artigianato sono pienamente disposti ad essere parte attiva, anche sul piano dei finanziamenti.

Si può accogliere tutti?

Se il governo bloccasse gli sbarchi e riuscisse a far funzionare i decreti flussi, sarei il primo a riconoscere l’ottimo risultato. Ma dato che ciò non avviene, perché da tre anni i migranti arrivano e vengono fatti sbarcare, larga parte di loro non riceve lo status di protezione, diventa clandestino e non viene espulso, allora servono altre soluzioni.

Ci fa un esempio?

A Ravenna sbarca un ragazzo del Senegal, fa un corso di formazione professionale tramite la diocesi ed enti del terzo settore, trova un lavoro, è motivato, impara l’italiano, è supportato da reti familiari, ma riceve il diniego dello status di protezione internazionale. In quell’istante diventa un clandestino e perde il posto di lavoro. Il problema è che governo sta producendo clandestinità. Se un migrante è disponibile ad affrontare i campi di detenzione in Libia, è disponibile anche a rimanere in Italia come clandestino e a finire vittima del caporalato. Dobbiamo essere una terra che offre opportunità, e dove avere opportunità significa rispettare le regole.

In consiglio regionale c’è stata una forte contrapposizione con l’opposizione sul tema sanità pubblica-sanità privata accreditata. Cosa ci lascia questa discussione? 

La sede del Pd in Largo del Nazareno a Roma (Ansa)

A mio avviso si sono mischiate due tematiche che in parte possono avere una radice comune, ma hanno caratteristiche diverse. Noi abbiamo un’interpretazione giuridica molto diversa da quella di AIOP della norma del 2020 sugli indennizzi Covid. Abbiamo però ritenuto che nello scorso mandato fosse stato commesso un errore e lo abbiamo corretto. È legittimo che AIOP abbia un’opinione diversa dalla nostra e che faccia ricorso. Ciò detto, la differenza di costi in questione per la sanità pubblica è tra 8 e 80 milioni e non è proprio irrisoria.

E l’altro livello del problema?

È politico-ideologico. Tutto è nato da un’intervista dove Flavio Tosi diceva che Emilia-Romagna e Veneto hanno un problema sui conti della sanità e per sanarlo servirebbe una quota maggiore di sanità privata. L’opposizione sostiene che per rimettere a posto i conti occorre aumentare la quota di privato convenzionato.

E lei la pensa diversamente.

Io dico che non c’è un sistema sanitario al mondo in cui sia tecnicamente dimostrato che a maggiori quote di privato corrisponde maggiore sostenibilità finanziaria del sistema. La Lombardia e altre regioni italiane che hanno sistemi sanitari molto forti, con quote di privato molto più significative delle nostre, vivono situazioni di bilancio analoghe, se non in alcuni casi con difficoltà maggiori.

Dunque nessun passo indietro.

Non abbiamo nessuna intenzione di spingere il privato fuori dal nostro sistema accreditato. Siamo per il dialogo e il confronto, con l’obiettivo che l’insieme delle prestazioni offerte sia il più rispondente possibile ai bisogni dei cittadini. Ma dobbiamo tutelare il pubblico, non possiamo farci garanti della sostenibilità economica del privato.

Veniamo all’emergenza post-alluvioni. Ritiene che la Regione abbia commesso degli errori?

Guardi, la mia provincia, Ravenna, è stata la più colpita di tutte e alle regionali ho ottenuto più del 50% in tutti i 18 comuni della provincia. Se Stato, regioni, comuni hanno come primo pensiero l’autodifesa, non si va da nessuna parte. Il primo atto della mia amministrazione è stato raddoppiare le risorse per le manutenzioni. Oggi i nuovi provvedimenti adottati – le norme approvate dal parlamento sui decreti del governo – sono al 90 per cento in linea con le nostre richieste.

Un bilancio positivo, dunque.

In parte sì, perché oggi possiamo investire nelle zone colpite, oltre alle risorse standard, un miliardo in più. Nei 14 anni precedenti tutti i governi che si sono alternati hanno stanziato per tutta l’Emilia-Romagna tra i 500 e i 600 milioni. Nei prossimi 10 anni avremo le risorse che avevamo prima e un miliardo aggiuntivo per la parte colpita. Il problema sta nel fatto che la restante parte della regione e il resto del Paese continuano a ricevere gli stessi stanziamenti di prima.

Che cosa serve?

Un cambio di passo del governo. Gli eventi che hanno colpito noi, la Toscana e altre regioni non hanno finora determinato un cambio di priorità. Dopo il terremoto del 2012 in Emilia sono cambiate le norme sismiche, lo stesso è avvenuto per la sicurezza sul lavoro dopo l’incidente della Thyssen. Serve una programmazione strategica per tutto il territorio nazionale.

Il tema delle alleanze nel centrosinistra sembra non avere pace. Molti dirigenti nazionali del Pd dicono che non vogliono morire grillini e accusano la Schlein di subordinarsi a Conte. E lei?

In Emilia-Romagna abbiamo fatto un’alleanza molto larga che andava dal mondo moderato a tante liste civiche e trasversali, fino a M5s. Però facevo le tre di notte sul programma, perché su ogni punto volevo essere chiaro su che cosa avremmo fatto e cosa no. Ad oggi non abbiamo avuto neppure una sbavatura.

Va bene, patti chiari. Ma a livello nazionale forse è diverso.

Certo. È tutto molto più difficile, e non ho lezioni da dare, ma credo che occorra fare la stessa cosa. Abbiamo bisogno di pochi punti sui quali ogni forza politica faccia uno sforzo per andare incontro agli altri, di trovare una sintesi e presentare una proposta chiara per il governo del Paese.

E poi?

E poi sceglieranno gli elettori. Se Conte avrà molto peso, sarà perché molti cittadini italiani si riconoscono nella sua proposta. Non dobbiamo aver paura della democrazia.

Il centrodestra è più bravo di voi?

Il centrodestra, in questo momento, più che avere meno divisioni del centrosinistra, ha una classe dirigente molto più capace di superarle. Tutta FI e FdI sono contrari all’autonomia differenziata, ma la Meloni dice che la si deve fare e loro si allineano.

Lei è favorevole o contrario?

Io sono per l’autonomia, ma non per quella differenziata. Bene più sussidiarietà sia orizzontale che verticale, ma non capisco perché se una materia in Lombardia spetta alla regione, in Lazio e in Campania debba farsene carico lo Stato. Ancora: dare alle regioni la possibilità di legiferare in materia energetica è una stupidaggine, l’energia è un tema europeo. E quante funzioni abbiamo dato all’Inps? Oggi l’Inps fa bonus nido che vanno in cortocircuito con tutti i nostri sistemi di convenzioni. Invece le politiche sociali sono temi propri dei regioni, dei comuni, del territorio.

Cosa bisogna fare?

Sarebbe intelligente fare un check-up serio per capire se ci sono materie che sono state devolute e sulle quali oggi servirebbe un ripensamento perché abbisognano di una strategia diversa. Un esempio per tutti: pensavamo di poter comprare per sempre il gas di Putin.

In sintesi, presidente?

Direi così: regole possibilmente uniformi, a livello nazionale ma anche europeo; programmazione e gestione più vicine possibile ai cittadini. La democrazia non è solo delega, ma è anche partecipazione, controllo.

Un’alleanza come quella alla quale lavora Elly Schlein verso dove dovrebbe espandersi? Verso il centro o verso sinistra?

Io vengo da una cultura riformista e laica. Però non è che le cose si creano in laboratorio. Al centrosinistra in questo momento manca in maniera chiarissima una forza moderata e riformatrice. L’esperienza del terzo polo aveva nel suo Dna quella caratteristica.

Ma nelle urne non ha funzionato.

Ha toccato il 7% a livello nazionale e poteva essere un punto di partenza per dare linfa al centrosinistra. La verità è che oggi ciò che si muove al centro o fuori dal campo del centrosinistra, arranca. C’è da dire che la variegata compagine che oggi sembra fuoriuscire dai due poli è fatta di leader che provengono quasi interamente dal centrosinistra: Calenda, Renzi, Marattin, sono stati tutti iscritti al Pd.

Non crede che in FI ci sia un disagio crescente verso gli alleati di destra?

Sì, però ritengo che Tajani non si sfilerà. Prende i voti di chi non vuole proprio votare FdI, ma credo anche che la Meroni non gli dispiaccia poi così tanto.

Cosa pensa della premier?

Con grande tattica politica, riesce a tenere insieme il voto ultramoderato, anche quello di chi probabilmente non aveva mai neppure votato Berlusconi, e Casa Pound. Siamo l’unico Paese europeo che non ha un’estrema destra antisistema. Tatticamente, chapeau. Che poi questo produca un’azione di governo di qualità… lasciamo stare.

Cosa deve fare il centrosinistra per tornare al governo?

Non deve aspettare troppo. Elly Schlein fa benissimo a dialogare con tutte le forze e nelle coalizioni regionali è sempre riuscita a tenere dentro anche le forze di centro. Ma viene il momento in cui occorre decidere la formazione, discutere il contenuto nel programma e ingaggiare la battaglia politica. Poi decideranno gli elettori.

Fare le primarie per decidere i leader della coalizione?

Teoricamente sì, ma ora non ne vedo il sentimento. Poi i 5 Stelle non hanno mai fatto primarie vere. Ritengo che alla fine lo schema del centrodestra abbia il suo senso: se ci sono più forze politiche, il leader della coalizione vincente è quello che gli elettori candidano alla guida del governo.

(Federico Ferraù)

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