Un Paese, la Georgia, che appare in bilico tra Occidente e Russia, e una legge che da mesi continua a spaccare la società e la politica georgiane. L’altro ieri il parlamento di Tbilisi ha approvato in terza lettura, tra scontri in piazza e risse nell’aula parlamentare, la legge sulle influenze straniere, voluta dal partito al governo Sogno georgiano e avversata dalla presidente della repubblica Salome Zourabishvili.
“L’adozione della legge sulla trasparenza delle influenze straniere impatta negativamente sui progressi della Georgia nel percorso europeo” hanno dichiarato ieri l’Alto rappresentante Ue per la politica estera Josep Borrell e il commissario all’Allargamento Oliver Varhelyi, scontando la mancanza di una dichiarazione unitaria dei 27 che non è arrivata per il veto dell’Ungheria. L’entrata in vigore della legge avrebbe “un impatto fortemente negativo” sul percorso di adesione della Georgia all’Unione Europea e per questo Bruxelles sollecita le autorità di Tbilisi a ritirarla o a emendarla.
A Fulvio Scaglione, giornalista, già vicedirettore di Famiglia Cristiana e corrispondente da Mosca per varie testate, da dove ha seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, oggi coordinatore di Lettera da Mosca, abbiamo chiesto di aiutarci a dipanare i fatti della politica georgiana.
Perché la legge sugli agenti stranieri, promossa dal partito al governo Sogno georgiano, è così controversa?
La legge fa discutere per diverse ragioni. In primo luogo per il suo dispositivo: prevede che tutte le organizzazioni finanziate dall’estero per una quota superiore al 20% dovrebbero registrarsi come “portatrici degli interessi di una potenza straniera”. A quel punto dovrebbero condividere informazioni con il ministero della Giustizia, pena sanzioni pecuniarie fino a 9.500 dollari.
È un unicum?
No, affatto. È una legge simile a quelle già in vigore in Russia – quella russa però è assai più severa –, ma anche in Turchia, Azerbaijan e Kirghizistan.
Torniamo ai disordini, ai contrasti che sta suscitando.
Già un anno fa Sogno georgiano, il partito al Governo, l’aveva presentata per poi ritirarla precipitosamente a fronte delle proteste di piazza. E anche questa volta l’iter parlamentare che ha portato all’approvazione è stato turbato da continue e imponenti manifestazioni convocate dalle opposizioni e da gruppi della società civile e, nella stretta finale, anche da risse tra i deputati.
Adesso cosa succederà?
La presidentessa della Repubblica, Salomé Zourabichvili, ex diplomatica francese naturalizzata georgiana, ha già annunciato che metterà il veto alla nuova legge. Il che apre le porte a una nuova fase di turbolenza: per superare il veto presidenziale basterà il voto della maggioranza assoluta dei parlamentari, ovvero 76 sui 150 totali. E la legge è stata appena approvata con 84 voti a favore.
La legge sugli agenti stranieri viene definita “legge russa”, o anche “legge putiniana”. È così?
Mi pare soltanto un facile trucco retorico. La legge ha spaccato la politica e la società della Georgia perché, per quanto importante, è diventata soprattutto il pretesto per discutere della posizione della Georgia rispetto allo scontro in atto tra Russia e Occidente e del suo futuro. Sia il partito che l’ha promossa, Sogno georgiano, sia coloro che la contestano fanno spesso riferimento al Fara, il Foreign Agents Registration Act in vigore negli Usa dal 1938. Gli uni per dire che la legge georgiana gli somiglia, quindi non crea rischi per la libertà; gli altri per dire l’esatto contrario, perché il Fara non punisce il finanziamento ma gli eventuali comportamenti irregolari…
Chi ha ragione e chi ha torto?
Anche in questo caso, gli uni e gli altri fanno solo retorica. Il Fara fu approvato quando le Ong non esistevano, e sappiamo bene quanto le organizzazioni non governative possano essere usate anche come strumento più o meno occulto di influenza politica, soprattutto in Paesi fragili dal punto di vista sociale ed economico. In più, il Fara è stato raramente applicato prima degli anni Duemila, con un caso emblematico nel 2017: quello del generale Michael Flynn, consigliere per la Sicurezza nazionale di Trump, sorpreso a lavorare come lobbista per aziende russe e olandesi – ma pro Turchia – senza averlo dichiarato.
Torniamo in Georgia. 14 senatori americani hanno inviato il 26 aprile scorso una lettera al primo ministro Kobakhidze in cui difendono le aspirazioni democratiche del popolo georgiano, e invitano i suoi rappresentanti a ritirare una legge che esprime la “vasta influenza maligna della Russia”.
È la prova infatti nel dibattito interno georgiano intervengono in modo pesante anche “agenti esterni”, le cui pressioni sono state e si presume saranno fortissime. I senatori, democratici e repubblicani, hanno minacciato un cambiamento di atteggiamento degli UsaA se la legge fosse stata approvata. Dopo l’approvazione, anche la Ue si è fatta sentire: “L’adozione di questa legge ha un impatto negativo sui progressi della Georgia nel cammino verso l’Ue”, hanno dichiarato il capo della politica estera Ue Josep Borrell e il commissario per l’Allargamento Oliver Varhelyi. Inutile dire che da Mosca sono arrivate pressioni in senso opposto: legge buona, giù le mani dalla Georgia. Il che ci riporta al vero senso del contendere: costringere la Georgia a una scelta di campo senza vie di mezzo o compromessi: o con l’Occidente o con la Russia.
Il partito Sogno georgiano, che ha promosso la legge, è eterodiretto da Mosca?
Molti accusano Sogno georgiano e i suoi dirigenti di essersi sottomessi a Mosca, citando anche il fatto che diversi suoi dirigenti abbiano interessi economici in Russia. Ma questo è un ragionamento che vale per tutti i georgiani, nel bene e nel male. Considerando anche le ferite ancora aperte dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia, le esigenze di un buon vicinato con la Russia non possono essere ignorate.
Possiamo documentarle?
Basti dire che nel 2022, dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina, sono arrivati in Georgia 1,5 milioni di russi che hanno trasferito nel Paese più di 2 miliardi di dollari, quando nel 2021 i trasferimenti valevano solo 411 milioni di dollari. Nel 2023 la Russia è stata il secondo partner della Georgia per le importazioni e il terzo per le esportazioni, con Mosca che ha incrementato gli acquisti del 7%, e l’anno scorso, grazie alle triangolazioni che portano merci “proibite” verso la Russia, il Pil georgiano è cresciuto di oltre il 10%.
Lo stesso si può dire per l’Occidente?
Certamente. Quelle medesime esigenze non hanno impedito alla Georgia, dopo la “Rivoluzione delle rose” del 2003 e nonostante la guerra con la Russia del 2008, di seguire una parabola sostanzialmente filo-occidentale e di applicare politiche neoliberali. Tbilisi dev’essere l’unica città al mondo con una strada dedicata a George W. Bush. Né va dimenticato che proprio Sogno georgiano è il partito che si è battuto per ottenere lo status di Paese candidato alla Ue, ottenendolo nel dicembre scorso.
Sogno georgiano avrebbe voluto la legge sugli agenti stranieri anche “per non ripetere il percorso dell’Ucraina”, stando ad alcune dichiarazioni. Qual è il tuo commento?
Quando i suoi dirigenti dicono di non voler ripetere “il percorso dell’Ucraina”, probabilmente intendono questo: entrare nella Ue, sogno universale di benessere, libertà e lontananza dal vicino mondo asiatico, senza affrontare il punto veramente discriminante e rischioso nelle relazioni con la Russia, cioè l’ingresso nella Nato. E si sa che oltre l’80% della popolazione georgiana sostiene l’aspirazione europeista.
Cosa si rischia in Georgia oggi?
È indubbio che l’approvazione della legge sugli “agenti stranieri” abbia provocato una lacerazione profonda nella società georgiana. E che la tentazione di un’altra “Rivoluzione delle rose” sia oggi forte. Proprio per quanto detto prima, però, occorre molta attenzione nel paragonare il caso georgiano al caso ucraino. In Georgia la solidarietà con la causa ucraina è forte, più nella capitale Tbilisi e meno nelle campagne. Ma da qui a decidere di voler ripetere quell’esperienza il passo è lungo. A cominciare dall’aspetto geografico: la Georgia non confina con alcun Paese della Ue, a differenza dell’Ucraina.
Quanto pesano gli eventi passati, a cominciare dalla guerra del 2008?
La Georgia ha già sperimentato una volta, proprio con quella guerra, che la distanza conta: allora Bush incitò il presidente Mikheil Saakashvili a procedere contro Mosca, salvo abbandonarlo nel momento dello scontro. La Russia è a un passo e, dopo aver aggredito l’Ucraina ed essere sopravvissuta alle sanzioni, non ha più nulla da perdere.
Come tradurresti, in una indicazione politica, queste tue considerazioni?
Dire ai georgiani di ribellarsi e scontrarsi un’altra volta con Mosca è facile, aiutarli sarebbe molto più complicato. Purtroppo il clima internazionale non aiuta, anzi. Ormai valgono solo le posizioni assolute, le mediazioni sono viste come sconfitte. E vincono le generalizzazioni.
Nel chiedere il ritiro della legge, le autorità europee hanno detto che questa minerà il lavoro dei media indipendenti.
Non hanno spiegato in che modo un giornale o una radio finanziati al 20% dall’estero possano essere davvero considerati indipendenti.
Come è composto il movimento di protesta contrario alla legge e al governo che l’ha voluta?
A parte il Movimento nazionale unito (Enm), il principale partito di opposizione, la vera protagonista della protesta è stata la miriade di organizzazioni e gruppi della società civile georgiana. E non per caso. Il Paese ha una forte tradizione in questo senso, che risale addirittura ai primi anni della sovietizzazione e che, dopo la repressione, riprese con vigore a partire dal 1991. Il movimento giovanile Kmara (“Basta”) fu per esempio molto importante nel preparare e poi animare la “Rivoluzione delle rose” del 2003. Parliamo di una galassia di organizzazioni che in generale si caratterizzano anche per lo spirito fortemente antirusso, un dato che emerge con regolarità.
E le Ong?
La vera fioritura delle Ong georgiane si ebbe intorno alla metà degli anni Novanta, quando nel Paese arrivarono istituzioni straniere come Open Society, Friedrich Ebert Stiftung ed Eurasia Foundation, che cominciarono a operare ma anche a finanziare le associazioni locali. Difficile che questo ricordo e le successive pratiche non abbiano a che fare con le attuali proteste.
Un’ultima domanda, legata ad Aleksej Navalny. A distanza di tanti anni appare singolare il fatto che in occasione della guerra del 2008 si schierò dalla parte non della Georgia invasa ma della Russia. Cosa puoi dirci in proposito?
Quello che in Occidente si stenta ad accettare, presi come siamo dalla foga di trovare una figura da opporre a Vladimir Putin, è che Navalny non era un politico. Le sue idee politiche erano vaghe e approssimative, le sue esperienze nella politica politicata quasi sempre fallimentari. Navalny era invece un fantastico agitatore sul tema della corruzione, tema che da sempre è il pane quotidiano dei populisti occidentali e che in Russia, ovviamente, ha sfumature assai più complesse e interessanti, che rimandano anche alla memoria collettiva dei tempi sovietici. I grandi successi di Navalny sono stati il modo nuovo di condurre le campagne – l’uso del web e delle reti di attivisti, il movimentismo, i flash mob –, che il Cremlino, con le sue lentezze burocratiche, non è mai riuscito davvero a intercettare e soffocare, se non arrivando infine alla repressione pura della persona. Dopo l’uscita del famoso video sul “palazzo di Putin”, il rating del presidente calò di botto del 10%. In questo Navalny è stato unico e difficile da imitare.
(Federico Ferraù)
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