La produzione industriale italiana torna a scendere. Oltre alla crisi tedesca pesa anche l'atteggiamento della Commissione europea

Dopo il rialzo tendenziale dello 0,3% registrato ad aprile, che aveva interrotto una serie di ben 26 cali mensili consecutivi, a maggio la produzione industriale, come comunicato ieri dall’Istat, è scesa dello 0,9%. «Il dato di aprile – è il commento di Domenico Lombardi, Professore di politiche economiche e governance dell’Eurozona alla Luiss, di cui dirige il Policy Observatory – era un’osservazione puntuale, non un trend. Il nuovo dato di maggio conferma che i problemi strutturali dell’industria italiana permangono».



Quali sono questi problemi strutturali?

Crisi dell’industria tedesca con cui quella italiana è fortemente integrata; incertezza e crescente segmentazione dell’economia mondiale; forzata e irrealistica riconversione verso obiettivi di ecosostenibilità ideologicamente declinati; e, da ultimo, l’effetto non solo attuale, ma anche atteso, delle misure restrittive al commercio internazionale decise dall’Amministrazione americana.



Ieri Ursula von der Leyen ha passato indenne una mozione di sfiducia nei suoi confronti. Non pensa che, in ogni caso, che la Commissione europea che guida stia dedicando scarsa attenzione ai problemi dell’industria Ue?

I problemi dell’industria italiana, ma anche di quella tedesca, sono strutturali e vanno affrontati nel quadro di una nuova politica industriale europea che valorizzi appieno le potenzialità del mercato unico. Invece, la Commissione adotta un approccio orizzontale, limitato ad alcuni settori, e verticale, nel senso che il suo approccio finisce col privilegiare alcuni Paesi anziché altri.



A fine giugno la Commissione europea è intervenuta sul quadro degli aiuti di Stato facilitando quelli sull’energia, dai sussidi per le bollette delle imprese energivore alla costruzione di nuovi reattori impianti nucleari. Non c’è il rischio di aumentare le divergenze tra i Paesi Ue, visto che non tutti hanno lo stesso spazio fiscale per varare aiuti di Stato?

Esattamente. Di fatto, in questo modo si accrescono le divergenze competitive fra Paesi, penalizzando quelli con minor spazio fiscale.

Mercoledì sono stati pubblicati i verbali dell’ultima riunione del Fomc della Fed. Alcuni membri hanno manifestato il desiderio di tagliare i tassi già a luglio, ma ce ne sono altri che non vorrebbero riduzioni per tutto il 2025. Quale strada seguirà la Banca centrale Usa a partire già dalla riunione di fine mese (29-30 luglio)?

Dalla lettura dei verbali emerge una minoranza a favore di ulteriori riduzioni dei tassi e una, per il momento, maggioranza che predilige un approccio più cauto di fronte a una significativa incertezza sul fronte della politica economica. In ogni caso, il Fomc converge nel ritenere che nei prossimi mesi si possa procedere a ulteriori tagli, che, tuttavia, saranno modesti e limitati nel numero.

C’è il rischio che la Fed incorra in un “policy error” tagliando i tassi troppo tardi?

La sensazione che si ha è che il livello attuale dei tassi di intervento non sia troppo distante da quello neutrale, in presenza del quale disoccupazione e inflazione rimangono stabili. Allo stesso tempo, gli indicatori di incertezza sembrano supportare un atteggiamento di maggior cautela rispetto al sentiero che la stessa Fed aveva prefigurato solo pochi mesi fa.

Dall’inizio dell’anno il dollaro si è svalutato di oltre 10% e non solo nei confronti dell’euro. Come mai, a suo avviso?

La domanda di dollari si va riducendo scontando minori pagamenti denominati in quella valuta. Com’è noto, il ruolo del dollaro come valuta di riserva del sistema monetario internazionale richiede un disavanzo corrente nella bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti che l’Amministrazione ha affermato di voler comprimere con misure restrittive del commercio internazionale. Il resto lo fa la sostanziale incertezza di cui leggiamo ogni giorno sui giornali, rendendo difficile detenere attività in dollari rispetto ad altre valute liberamente convertibili, come l’euro.

Quanto le prossime decisioni della Bce potranno essere influenzate da quelle della Fed?

Al momento la Bce difficilmente modificherà i tassi di intervento a breve. L’inflazione si è attestata in prossimità del target e il tasso principale di intervento è stato dimezzato dallo scorso anno. Nei prossimi mesi, se l’outook dovesse deteriorarsi ulteriormente, una lieve riduzione diventerebbe probabile, ma non dobbiamo attenderci tagli significativi.

In questi giorni si attende una lettera di Trump sui dazi indirizzata anche all’Ue. Il contenuto potrebbe influenzare le decisioni del Consiglio direttivo della Bce in programma il 24 luglio?

La Bce considera tutto ciò che ha impatto materiale sulle condizioni attuali e prospettiche delle economie dell’Eurozona. Pertanto, la risposta dipende da quanto inatteso e impattante risulterà il contenuto della lettera in questione.

Secondo lei, quale potrebbe essere un accordo accettabile sui dazi tra Usa-Ue?

Avendo il Regno Unito negoziato un accordo al 10%, risulterebbe difficile per l’Ue ottenere un’aliquota inferiore. Lo spazio sta nel negoziare parziali esenzioni e clausole di revisione così da facilitare una riduzione quando il dibattito sarà diventato meno infuocato.

(Lorenzo Torrisi)

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