L'economia dell'Eurozona fatica a crescere e i leader europei cercando di nascondere la crescente emergenza sociale
Documenti come l’Interim Economic Outlook dell’Ocse, ammette Gustavo Piga, consentono di avere uno sguardo d’insieme sulla situazione economica globale. Ma più che concentrarsi sulle previsioni dell’anno in corso, spiega il Professore di Economia politica all’Università di Roma Tor Vergata, «conviene ampliare l’orizzonte guardando quello che è successo dopo il Covid, prendendo i dati dal 2021 al 2025».
Cosa si scopre guardando a questo quinquennio?
Complessivamente, secondo l’Ocse, alla fine del quinquennio l’economia mondiale sarà cresciuta del 16%. Tuttavia, la Cina farà registrare un +28,7%, mentre gli Stati Uniti un +11,8%. In questo quadro colpisce, in negativo, la performance dell’Eurozona: +5%. All’interno dell’area dell’euro, inoltre, la situazione è piuttosto eterogenea. Per esempio, abbiamo la Germania con un +0,4% e la Spagna con un +9,4%.
E l’Italia?
L’Italia farà meglio della media dell’Eurozona con un +6,7%. Attenzione, però: due terzi di questa performance di crescita è stato realizzato nel 2022, grazie soprattutto al Superbonus, una misura sicuramente criticabile e imperfetta, ma genuinamente espansiva, che ha permesso anche di far scendere il rapporto debito/Pil tramite un aumento del denominatore. E se guardiamo ai tre anni successivi, vediamo una crescita che non supera lo 0,7% e che appare disastrosa se pensiamo che comprende il contributo del Pnrr. Vien da chiedersi cosa accadrà dopo la scadenza del Piano nel 2027, ma anche perché il nostro Pil non sale come quello spagnolo.
Cosa spiega la differenza tra il Pil italiano e quello spagnolo?
Nel 2023 il Pil spagnolo è cresciuto del 2,7%, nel 2024 del 3,2%, per il 2025 l’Ocse stima un +2,6% e per il 2026 un +2%, contro il +0,6% dell’Italia. Si tratta di performance che hanno messo il rapporto debito/Pil iberico su una chiara traiettoria discendente e che sono dovute principalmente ai consumi pubblici. Madrid, in buona sostanza, ha scelto di rimettere a posto la Pubblica amministrazione, una mossa utile anche per fornire un abbrivio al settore privato. È l’esatto contrario di quel che ha fatto l’Italia.
L’Italia non potrebbe imitare la Spagna?
Perché no? Il Governo spagnolo non ha fatto nulla di speciale se non rendersi conto che non esiste un settore privato dinamico senza una Pubblica amministrazione scintillante e uno Stato sociale che protegge i cittadini. Ci vuole solo il coraggio di non accontentarsi della riduzione dello spread, che domani potrebbe tornare a salire perché dipende dagli umori dei mercati, e di puntare su quel che può portare alla crescita e, conseguentemente, al miglioramento dei conti pubblici.
Al di là della Spagna, i dati Ocse mostrano che c’è un problema di performance economica per l’Eurozona. Come risolverlo?
L’euro continua ad apprezzarsi rispetto al dollaro, perché sui mercati si prezza già il fatto che l’Amministrazione Trump riuscirà a piegare la Fed portandola ad adottare una politica monetaria espansiva che la Bce non seguirà. Questo implica che l’Eurozona può solo contare su una politica fiscale espansiva.
Che l’Ocse però non raccomanda…
L’Ocse sembra dimenticare che occorre far scendere il rapporto debito/Pil e che questo non avviene riducendo il numeratore, ma aumentando il denominatore. E così, nella sua enorme miopia, sostiene che la politica fiscale deve continuare a essere conservatrice in un contesto in cui dovranno crescere in maniera sostanziale le spese per la difesa. L’espressione utilizzata è contain and reallocate spending. Di fatto si tratta di trasferire risorse dalla spesa sociale a quella militare: una vera follia. C’è da chiedersi se veramente questo continente così indebolito, così a rischio di frammentazione ed esplosione abbia un’emergenza militare o piuttosto un’emergenza sociale.
Le notizie arrivate nei giorni scorsi da Estonia, Danimarca e Norvegia sembrano dire che c’è una minaccia militare che viene da est.
L’Ue sta facendo di tutto per far dimenticare l’emergenza sociale, che però è ben visibile quando gli elettori vanno a votare, sostenendo che c’è un’emergenza militare e la narrativa è sospinta in tale direzione. A me dispiace che i nostri leader europei, seguiti a breve distanza da quelli nazionali, seguano questa narrativa, perché l’emergenza sociale una mattina si presenterà nelle piazze di fronte ai palazzi istituzionali e chiederà il conto, com’è successo ai tempi della Rivoluzione francese.
La situazione è così grave?
Siamo in una situazione di drammatica mancanza di leadership: cancellare l’emergenza sociale e far emergere strumentalmente un’emergenza militare di questa portata è la ricetta perfetta per veder vincere il Rassemblement National in Francia e crescere AfD in Germania e, conseguentemente, veder crollare politicamente l’Unione europea. Oggi i leader dell’Ue non sono leader europei, hanno a cuore un’istituzione sempre più lontana dalle persone che hanno bisogno di sostegno nei momenti di difficoltà quale quello che stiamo attraversando, e questo è un vulnus per la democrazia.
Per l’Ue, dunque, occorre qualcosa di più di una sferzata come quella di Draghi della scorsa settimana…
Sì, anche perché non è soltanto una questione di innovazione, ma anche e soprattutto di ricostituzione di uno Stato sociale che ormai è completamente sbrindellato. Dobbiamo garantire che la ricchezza del nostro continente sia a disposizione di tutti: c’è un modello sociale europeo che deve rimanere un riferimento. Stiamo perdendo la nostra anima europea, stiamo diventando una specie di brutta copia degli Stati Uniti e questo ci sta distruggendo. Ma si tratta, principalmente, di un problema di leadership.
(Lorenzo Torrisi)
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