Forse già prima di Natale la Camera approverà la Legge di bilancio completandone quindi l’iter parlamentare. Verranno quindi introdotte, nel corso del 2020, le micro-tasse che tante polemiche, anche all’interno della maggioranza, hanno sollevato. Ma non solo: il Governo nato con l’obiettivo di disinnescare le clausole di salvaguardia ha deciso di aumentare quelle sulle accise per il 2021 e il 2022. Nei prossimi due anni quindi bisognerà reperire 47 miliardi di euro (20 nel 2021 e 27 nel 2022) per evitare l’incremento di imposte indirette. Senza dimenticare che il maxi-emendamento alla manovra ha sottratto altri 300 milioni di euro a Quota 100 e previsto una clausola taglia-spesa da un miliardo di euro a garanzia del rispetto degli obiettivi di finanza pubblica concordati con Bruxelles. Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, non sembra molto sorpreso: “Tutto questo ci ricorda che il Patto di stabilità e crescita è in vigore e va osservato così com’è”.
Cosa pensa di queste clausole di salvaguardia in continuo aumento?
Le clausole di salvaguardia hanno finito per rappresentare nel corso di questi anni una modalità con cui vengono spostati in avanti alcuni impegni, ma soprattutto con cui il nostro Paese sta cercando, per quanto possibile, di rispettare almeno in parte il Patto di stabilità e crescita. Il tema ha quindi a che fare coi rapporti tra Roma e Bruxelles. L’Italia ha diversi vincoli europei da rispettare, tra cui l’Obiettivo di medio termine (Omt), che dovrebbe tenere conto del ciclo economico. Con la manovra in corso di approvazione abbiamo un lievissimo aumento ufficiale di questo obiettivo intermedio che accompagna verso la riduzione del rapporto debito/Pil verso il 60%.
L’Obiettivo di medio termine deriva quindi dal Fiscal compact?
Sì. Si tratta di un obiettivo per il saldo di bilancio strutturale, cioè al netto della componente ciclica. Il problema è che la correzione per il ciclo non c’è, perché in un certo senso secondo la Commissione europea la nostra economia sta andando bene.
Eppure siamo a una crescita da prefisso telefonico…
Secondo Bruxelles, l’output gap dell’Italia è dello 0,1%, il che vuol dire che stiamo lavorando quasi al meglio della nostra capacità, non siamo in crisi. L’output gap quindi influisce sull’Omt, ma quanto sostiene l’Ue viene contestato anche dagli economisti di Bloomberg Economics, secondo cui il nostro output gap sarebbe del 2%. È chiaro che con un dato del genere l’Omt dell’Italia, su cui pesa anche l’invecchiamento della popolazione, sarebbe più favorevole. Tutto questo accade perché siamo costantemente sotto osservazione.
Le clausole di salvaguardia servono quindi anche a farci rispettare le regole europee per la riduzione del debito. Stanno funzionando per raggiungere tale obiettivo?
Sono anni che nel nostro Paese si fa uso delle clausole di salvaguardia, ma non è che il rapporto debito/Pil sia migliorato. È accaduto invece che la crescita è andata quasi a zero. Di conseguenza, anche a parità di debito, il rapporto aumenta. Sia chiaro: non voglio dire che occorra fare disavanzo senza freni, ma occorre capire che ci si sta ottusamente concentrando sul numeratore del rapporto debito/Pil.
Secondo lei cosa occorrerebbe fare?
Una flessibilità per investimenti che, di comune accordo con Bruxelles, rappresentano fattori di crescita per il Paese, non potrebbe rientrare in una contrattazione equilibrata per avere un’Europa quanto meno più coesa? Altrimenti prima scatteranno queste clausole di salvaguardia, meglio è. Non avremo più infatti un alibi dietro cui si nascondono l’insipienza di Bruxelles e l’utilizzo errato della flessibilità. Alla fin della fiera vediamo che: si erode gradualmente la credibilità del Paese che si trova a contrattare come uno scolaretto con Bruxelles; a Bruxelles il maestro non è bravo, ma è tendenzioso, come riconosciuto anche dagli economisti di Bloomberg; la vera e taumaturgica medicina per questo obiettivo-feticcio della discesa del rapporto debito/Pil si chiama crescita.
Ovviamente tutto dipende anche da come si usano le risorse che sia hanno a disposizione…
Certo. Le responsabilità colpevoli di Bruxelles si sommano alle responsabilità colpevoli dell’Italia. Il risultato però è che il Paese continua a languire.
Questa manovra verrà giudicata da una nuova Commissione, ma, visto proprio come l’ha messa a punto il Governo, pare proprio che non ci sarà un atteggiamento diverso dal passato da parte dell’Europa. È inutile sperare in un cambiamento?
È qui che deve scendere in campo la politica vera. È chiaro che da soli noi non possiamo fare più di tanto. Però c’è un altro “inquilino” molto rilevante con il quale potremmo dialogare, possibilmente senza farci fregare come già avvenuto in passato.
A chi fa riferimento?
Alla Francia, che cresce più di noi, con un rapporto debito/Pil arrivato alla soglia del 100%, ma che potrebbe scendere. Dopo l’uscita della Gran Bretagna e con la debolezza della Germania c’è la possibilità, se avessimo un interlocutore politico credibile con Parigi, per avere più voce a Bruxelles. Se noi avessimo una politica comune italo-francese di crescita economica dell’area mediterranea sarebbe tutta un’altra storia. Non si può uscire da questa situazione con i cerotti, ci vuole una visione di grande respiro, come rivedere le regole europee e avviare una politica economica in un’area che è necessariamente strategica.
Perché è strategica?
Perché l’età mediana, stando alle stime Onu relative al 2020, in Italia è di 47 anni, in Francia di 42, mentre nei Paesi del Nord Africa è intorno ai 25 anni e in alcuni Paesi, come la Nigeria e il Senegal, si scende a 18. Come si fa a trascurare un’enorme area giovane o giovanissima che è così vicina a noi?
(Lorenzo Torrisi)