SCENARIO UE/ Letta: mercato unico più largo, transizione, conoscenza, ecco la riforma che serve

- int. Enrico Letta

L'ex premier Enrico Letta spiega i punti salienti del Rapporto che ha presentato la scorsa settimana al Consiglio europeo

Letta Europa Ansa1280 640x300 Enrico Letta (Ansa)

L’Unione Europea, o meglio una parte di essa, non sembra ancora pronta per un salto di qualità che appare tuttavia irrinunciabile, viste le sfide globali ormai non più all’orizzonte ma di fatto in corso. Al Consiglio europeo della scorsa settimana, infatti, Enrico Letta ha presentato il rapporto Molto più di un mercato, ma il parere negativo su alcune proposte in esso contenute da parte di pochi Paesi ne ha bloccato di fatto l’implementazione. Come ci spiega l’ex premier italiano, “le priorità del mio Rapporto sono state elaborate a partire da una fase di ascolto durata 8 mesi durante la quale ho incontrato oltre 400 realtà produttive, associative, sindacali e istituzionali in 65 città. Tra i molti argomenti affrontati nei dibattiti europei e nazionali di questi mesi uno è emerso come predominante ovunque diventando centrale nel mio Rapporto”.

Quale?

Il sostegno e il finanziamento degli obiettivi strategici europei, a partire da un’equa transizione verde e digitale, il futuro allargamento dell’UE e la necessità di rafforzare la sicurezza europea. Si tratta di obiettivi ormai consolidati nell’agenda europea, ma per i quali non sono ancora state individuate e stanziate le risorse necessarie. È questo il nodo decisivo che deve essere affrontato in maniera sistemica per evitare che rimanga inevaso o che – ancora peggio – i costi finiscano per ricadere solo solo su poche categorie. Il Mercato Unico funziona se è a beneficio di tutti i cittadini e tutte imprese dell’UE. Centrale nel rapporto è inoltre il rilancio di una delle priorità storiche del mercato unico creato da Delors: il pilastro dell’Europa sociale. Abbiamo bisogno di un mercato unico che protegga i nostri lavoratori, che tuteli la loro sicurezza sul posto di lavoro e che garantisca eguali diritti attraverso i Paesi dell’Unione. Questo vale anche per la salute, la cui centralità è stata resa ancor più evidente dalla recente pandemia.

Lei e Draghi ribadite che la transizione è un obiettivo irrinunciabile. L’unica strada possibile per realizzarla è con sussidi? Quanto costerà ai cittadini?

Il punto è fare in modo che il costo sia sostenuto dall’intero Sistema UE, evitando che ricada solo su poche categorie che si sentiranno obbligate a pagare per tutti. Oggi la transizione non è bloccata tanto da questioni ideologiche, quanto piuttosto dalla paura di non sapere chi dovrà farsi carico dei costi. Per affrontare questi timori servono chiarezza, trasparenza e gli strumenti adeguati. Il mio Rapporto vuole essere proprio una cassetta degli attrezzi che mette a disposizione delle istituzioni europee diverse opzioni. Nessuno di questi strumenti basterà da solo, servirà un ragionamento di sistema. Ma è evidente che il primo passo deve essere migliorare la capacità di veicolare gli ingenti risparmi privati verso l’economia reale, un passaggio complicato ma che porterebbe benefici sia alle imprese che alle famiglie.

Perché l’Ue insiste su settori e trasformazioni nei quali è indietro anni luce rispetto alla Cina?

L’Unione Europea ha enormi punti di forza su cui fare leva per rinnovare la propria leadership economica e industriale, non resteremo indietro se riusciremo a valorizzarli. Parlo di alte competenze, eccellenza nella ricerca, una capillare rete di infrastrutture e un vivo e diffuso tessuto industriale. Il punto è accompagnare questi settori in una transizione che non è solo inevitabile, ma apre anche enormi opportunità per l’UE. Sulla transizione si gioca il nostro futuro, non possiamo lasciare questa partita ad altri. È innanzitutto una questione di leadership industriale, basti pensare che l’International Energy Agency (IEA) stima che il mercato globale legato alla produzione di massa di energia pulita triplicherà di valore entro il 2030 e costituirà dunque un’enorme spinta al mercato del lavoro europeo e italiano.

Ma c’è compatibilità fra la strategia di transizione eco-energetica e le nuove priorità riguardanti difesa e sicurezza?

I temi sono assolutamente compatibili. Innanzitutto, perché diminuire la nostra dipendenza dalle importazioni di fonti fossili è un passaggio cruciale nel rafforzare la sicurezza e la resilienza del nostro continente. Oggi un mercato europeo dell’energia più integrato e interconnesso è parte essenziale della nostra strategia di sicurezza. C’è inoltre un secondo punto da considerare. Come detto in precedenza, l’UE oggi deve sciogliere il nodo di come finanziare i proprio obiettivi strategici e con quali strumenti. Una volta individuati questi strumenti potremo utilizzarli tanto per finanziare i nostri obiettivi green quanto quelli legati a difesa e sicurezza.

Lei ha insistito molto sul tema della difesa, evidenziando quanto l’UE dipenda dall’esterno per le forniture di armi. Vuol dire anche che l’Unione può acquisire più autonomia dagli Stati Uniti su questo fronte?

L’Europa deve affermarsi come forza di pace. Il Rapporto si concentra su una serie di proposte per superare la frammentazione dell’industria europea della difesa e rafforzare così la nostra base industriale e tecnologica. Non si tratta di rimettere in discussione le alleanze europee, ma di evidenziare un paradosso: delle forniture militari inviate per sostenere l’Ucraina, il 78% è stato acquistato da produttori non europei. Si tratta di un’ingente quantità di risorse che finisce per finanziare le economie, i posti di lavoro, l’innovazione e la ricerca di altri Paesi fuori dall’Europa. Risorse che potrebbero invece sostenere settori innovanti, non solo direttamente legati alla difesa, e creare un numero sostanziale di posti di lavoro in Italia e in Europa.

I sistemi energetici dei Paesi europei sono molto eterogenei. È un ostacolo alla crescita dimensionale delle aziende europee? Cosa può fare l’Europa in questo campo?

Insieme alle telecomunicazioni e al settore finanziario, l’energia è stato uno dei settori esclusi dal mercato unico creato da Jacques Delors nel 1992. Tuttavia, in questi anni abbiamo fatto molti passi in avanti nella direzione di un mercato unico dell’energia sempre più integrato. L’aggressione russa dell’Ucraina ha ridisegnato la situazione geopolitica e profondamente cambiato le dinamiche di approvvigionamento rendendo evidente l’esigenza di una vera integrazione europea in campo energetico. Un mercato dell’energia integrato su scala continentale garantirebbe alle aziende europee un accesso all’energia a prezzi più bassi e la circolazione di energia pulita generata nel modo più rapido ed economico possibile. L’Europa mira a un sistema energetico composto al 70% da fonti rinnovabili entro il 2030. Un mercato maggiormente integrato e interconnesso garantirebbe l’abbattimento dei costi legati allo sviluppo delle reti o allo stoccaggio. Si ridurrebbero così anche i rischi per gli investitori incoraggiando l’afflusso di capitali privati.

Quali sono i settori in cui è più urgente un’attività di uniformazione regolamentare?

Alcuni settori sono stati volontariamente esclusi dal processo di integrazione, ritenuti troppo strategici per essere estesi oltre i confini nazionali: finanza, telecomunicazioni ed energia. Un’esclusione giustificata dalla convinzione che mantenere il controllo nazionale su questi settori avrebbe tutelato gli interessi strategici degli Stati membri. Tuttavia, i mercati nazionali, inizialmente concepiti per proteggere le industrie interne, ora rappresentano un ostacolo significativo alla crescita e all’innovazione e un’integrazione a livello europeo comporterebbe una maggiore crescita e competitività delle aziende europee. Senza dimenticare la creazione di posti di lavoro.

Il mercato unico europeo rischia di non essere più al passo con le moderne dinamiche dell’economia mondiale. Quali sono gli strumenti per aggiornarlo e renderlo competitivo nel XXI secolo?

Il mercato unico europeo è nato in un contesto globale profondamente diverso da quello attuale. Quando Jacques Delors concepì e presentò il Mercato Unico Europeo al mondo nel 1985, il numero degli Stati membri era meno della metà. La Germania era divisa in due, e l’Unione Sovietica esisteva ancora. Cina e India insieme costituivano meno del 5% dell’economia mondiale, e l’acronimo BRICS era sconosciuto. Le quattro libertà alla base del mercato unico sono nate in un mondo fondato su un economia analogica. Bisogna quindi adattarlo alla nuova economia mondiale le cui dinamiche risiedono in gran parte sul digitale. È da questo ragionamento che nasce la mia proposta di affiancare una quinta libertà a quelle già esistenti che favorisca e promuova la ricerca, l’innovazione, i data, le skills, l’AI, il Quantum Computing, la Human Augmentation. Una nuova libertà che diventi il cuore nevralgico del mercato unico del futuro con lo scopo di promuovere in modo strutturale l’avanzamento in campi cruciali per la crescita economica e la leadership industriale dei prossimi decenni. Il recente Digital Market Act e il Data Governance Act sono passi cruciali verso una strategia digitale moderna, ma dobbiamo portare l’innovazione e la conoscenza al centro stesso del mercato unico.

(Max Ferrario)

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