SCHLEIN FIRMA I REFERENDUM CGIL/ Così Landini e Conte hanno preso il comando del Pd

- Giuliano Cazzola

Elly Schlein ha deciso di aderire alla raccolta firme in favore dei quesiti referendari della Cgil, tra cui quello contro il Jobs Act approvato dal suo stesso partito

Pd, Schlein Elly Schlein, Segretaria Pd (ANSA 2024, Mourad Balti Toua)

Dal momento che non riesce a condurre un’opposizione efficace al Governo Meloni, il Pd ha deciso di opporsi a se stesso ovvero di cancellare una parte importante dell’attività svolta nei dieci anni in cui è stato un protagonista importante nella maggioranza (e spesso nell’Esecutivo) che ha governato il Paese. Si può commentare senza timore di smentita e di essere accusati di pubblicità ingannevole che non è facile risalire il corso della storia per trovare un altro caso come quello che si sta realizzando sotto i nostri occhi. Se prendo a riferimento la mia purtroppo lunga esperienza ricordo alcune circostanze simili durante la benemerita Prima Repubblica.

Durante la Solidarietà nazionale (1976-1979), il Pci era entrato a far parte della maggioranza e si era esibito in una “politica di sacrifici” a carico del mondo del lavoro, allo scopo di affrontare e superare un tasso di inflazione a due cifre e decine che strangolava la finanza pubblica e l’economia. Durante un confronto tra sindacati e Governo Andreotti, a qualcuno venne in mente di sterilizzare le liquidazioni rispetto all’inflazione. Allora questo istituto retributivo prendeva a riferimento l’ultima retribuzione e gli anni di servizio. Così in breve – vista la corsa dell’inflazione – i lavoratori si trovarono le liquidazioni tagliate di almeno il 20%. E ci rimasero male, tanto da sottoscrivere in massa un referendum abrogativo presentato da Democrazia proletaria (un partito all’estrema sinistra). Il gruppo dirigente del Pci, che quella norma aveva condiviso, decise di votare per la sua abrogazione. L’inghippo venne superato da una proposta di riforma organica dell’istituto (il Tfr), che evitò il ricorso al referendum.

Un altro caso singolare vide protagonista la Dc. Per una serie di ragioni che sarebbe troppo lungo spiegare, quel partito aveva interesse ad andare alle elezioni anticipate, ma il Quirinale gli fece trovare un “Governo balneare” composto soltanto da democristiani. Così il gruppo Dc si vide costretto a non votare la fiducia al suo stesso Governo.

Nelle ultime settimane, in vista delle elezioni europee, Elly Schlein ha messo in fila una serie di retromarce rispetto alle politiche portate avanti dai dem nell’ultimo decennio che ormai al Nazareno hanno riscritto il calendario così: 2024 Anno II dell’era Schlein. La Segretaria ha disseminato nelle liste delle cinque circoscrizioni loschi figuri pacifinti, amici di Putin e di Hamas. Sarà interessante vedere la faccia dei socialisti europei quando dovranno accogliere taluni candidati di Elly nel gruppo consapevoli che a loro di quanto scritto nel Manifesto elettorale del partito, votato al Congresso di Roma non gliene può fregar di meno.

Basta leggerlo per rendersene conto: “Attueremo una forte politica di sicurezza e di difesa comune europea che operi in modo complementare alla Nato. La guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina segna un punto di svolta nella storia. Dimostra che occorrono più collaborazione e solidarietà per affrontare il nuovo scenario internazionale. Sosteniamo lo sviluppo dell’industria europea della difesa attraverso una più intelligente e mirata spesa, più appalti congiunti nel campo dei prodotti per la difesa, una più stretta cooperazione in materia di intelligence e ulteriore collaborazione in materia di cibersicurezza e protezione delle infrastrutture critiche”.

Ma ci sono altre novità. Diventa sempre più evidente che a Schlein e ai suoi “compagni di merende” la questione del salario minimo interessa solo per fare della propaganda elettorale. Che senso avrebbe altrimenti la decisione assunta insieme al M5S e ad AVS (Calenda lo hanno abbandonato come un cane in autostrada) di ripartire da capo con un ddl di iniziativa popolare, quando in Senato è giacente una proposta di legge delega approvata dalla Camera che – guarda caso – ha fatto propria senza rendersene conto quella soluzione a cui pensava, da ministro, Andrea Orlando che volle spiegarlo con queste parole: “Il Governo lavora ad ‘un meccanismo che tenga insieme il valore positivo della contrattazione collettiva e l’esigenza di un salario minimo’ per chi non beneficia della contrattazione o per chi ha contratti cosiddetti ‘pirata’”?

E aggiunse il titolare del Lavoro: “L’ipotesi su cui lavoriamo, che ha raccolto un preliminare consenso, riguarda la possibilità di usare come riferimento i contratti più diffusi o firmati delle organizzazioni maggiormente rappresentative”.

Poi c’è stato il colpo di teatro della sottoscrizione dei quattro referendum presentati dalla Cgil. Elly non poteva essere da meno di Giuseppi. In sostanza la classica cinghia di trasmissione partito/sindacato non solo si è messa a girare al contrario (questo lo sapevamo già da un pezzo), ma nello stanza dei bottoni a fianco di Maurizio Landini sta seduto Giuseppe Conte e da lì trasmette gli ordini a quello che pretende di essere il più importante partito dell’opposizione. Chi si schiera con un referendum antistorico e contraddittorio rispetto alla realtà fattuale (che non corrisponde alla narrazione di Landini) semina solo vento. Raccoglierà tempesta.

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