Un noto giornalista scientifico statunitense ricostruisce la vicenda di Henrietta Leavitt e delle sue straordinarie scoperte relative alle stelle variabili, aprendo la strada a Edwin Hubble per riconoscere un universo popolato di galassie e misurarne la velocità di allontanamento.
Il testo proposto rende omaggio all’astronoma statunitense Henrietta Swan Leavitt (1868 – 1921), una delle tante scienziate resa nota al grande pubblico solo dopo la sua scomparsa.
Stiamo infatti parlando dell’inizio del secolo scorso, quando le cosiddette donne computer non potevano certo accedere alle cariche sociali destinate tradizionalmente agli uomini e contribuivano alla ricerca solo attraverso lavori di routine.
In tal caso per Henrietta e le sue compagne si trattava di analizzare meticolosamente (e noiosamente) le lastre fotografiche, ottenute dalle osservazioni coi telescopi, per catalogare le stelle in base a colore, luminosità e grandezza. Ma Miss Leavitt, grazie alle sue competenze e a una naturale predisposizione scientifica, non si limitò a questo, riconoscendo nelle cefeidi che popolano le Nubi di Magellano un periodo di pulsazione lineare rispetto alla loro luminosità.
Le straordinarie scoperte di Miss Leavitt relative alle stelle variabili furono pubblicate sotto il nome dell’astronomo Edward C. Pickering (1846 -1919), che oltretutto non comprese fino in fondo la loro portata (dal momento che decise poi di affidare alla solerte collaboratrice un nuovo incarico di analisi della sequenza Polare del Nord) nonostante fosse ben consapevole del grande interesse mostrato ripetutamente dall’astronomo Harlow Shapley (1885 – 1972) per lo studio sulle cefeidi.
Questi infatti poté dedurre i confini della nostra Galassia e approssimativamente la posizione del Sole. Ma poiché il percorso scientifico non ha mai fine e ogni contributo precedente si offre come trampolino di lancio per il successivo, anche Edwin Hubble (1889 – 1953) poté usufruire di questi dati per arrivare a comprendere che molte delle nebulose osservate da tempo (come Andromeda) non erano altro che ulteriori Galassie, aprendo dunque alla possibilità, in seguito comprovata dallo stessi Hubble e dal suo staff, che l’Universo fosse ben più vasto, ipotesi inimmaginabile anche per lo stesso Shapley.
Non solo; poté giungere a formulare la famosa legge, oggi nota come Legge di Hubble-Lemaїtre, che provava l’espansione dell’Universo, confutando anche le congetture già famose di Albert Einstein riguardo alla sua staticità. Tale evoluzione della concezione del cosmo non sarebbe avvenuta senza Henrietta, una persona tanto gracile di salute quanto dedita al lavoro senza smanie di successo, essendo di indole estremamente umile e riservata (infatti sappiamo pochissimo di lei).
Il racconto del noto giornalista scientifico George Johnson (scrive sul New York Times e cura il sito Bloggingheads.it che tratta argomenti scientifici) scorre fluidamente e piacevolmente, sia grazie alla benevola ironia con cui riporta le discussioni e i tentativi escogitati dagli emeriti astronomi per giungere a nuove conoscenze; sia per le pittoresche immagini utilizzate per agevolare la comprensione delle loro ipotesi e dei metodi di ricerca (per esempio il moto delle stelle è paragonato a quello di formiche o fiocchi di neve in una bufera).
Un testo adatto e rivolto a chi ha passione da vendere, o ne cerca, per ciò che insegna e studia.
George Johnson
Le stelle di Miss Leavitt
Codice Edizioni, 2006
Pagine 156 euro 16