Per ben due volte negli ultimi giorni Papa Benedetto XVI è tornato sui temi della salvaguardia dell’ambiente: lo ha fatto col messaggio all’apertura del vertice climatico di Copenhagen, auspicando che i lavori possano aiutare «ad individuare azioni rispettose della creazione e promotrici di uno sviluppo solidale, fondato sulla dignità della persona umana e orientato al bene comune». Lo ha fatto più ampiamente l’altro ieri, nel messaggio per la XLIII Giornata Mondiale della Pace, per la quale il Papa ha scelto il titolo: Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato .
Ma questi interventi richiamano e approfondiscono quanto aveva già esposto con chiarezza nell’Enciclica Caritas in Veritate. E vale la pena notare, come sottolinea lo stesso Pontefice, che l’importanza della “coscienza ecologica” era già stata rimarcata dai suoi predecessori a più riprese.
Quali sono quindi i punti salienti di questo magistero della Chiesa sul versante ecologico? Il punto chiave è il riferimento all’ambiente naturale come “creato”: «nella natura il credente riconosce il meraviglioso risultato dell’intervento creativo di Dio, che l’uomo può responsabilmente utilizzare per soddisfare i suoi legittimi bisogni – materiali e immateriali – nel rispetto degli intrinseci equilibri del creato stesso. Se tale visione viene meno, l’uomo finisce o per considerare la natura un tabù intoccabile o, al contrario, per abusarne. Ambedue questi atteggiamenti non sono conformi alla visione cristiana della natura, frutto della creazione di Dio». Non si tratta però di un invito solo per i cristiani, ma di un contributo efficace all’impegno di tutti per un mondo più vivibile; ciò è ribadito dal fatto che il concetto di creazione non sminuisce il valore dell’uomo, anzi lo esalta come destinatario e responsabile di un bene così grande: «Ritenere il creato come dono di Dio all’umanità ci aiuta a comprendere la vocazione e il valore dell’uomo».
L’idea di creazione è dunque il principale carattere di originalità della posizione della Chiesa; ed è anche un elemento di demarcazione rispetto a tanto ecologismo figlio di una cultura scettica e panteista. Invece di esaurire le nostre relazioni con l’ambiente in un indistinto attivismo, il Papa parla di una “reciprocità” nell’azione genuinamente ambientalista: «nel prenderci cura del creato, noi constatiamo che Dio, tramite il creato, si prende cura di noi».
Inoltre mette in guardia da ogni tendenza ad assolutizzare la natura o “a ritenerla più importante della stessa persona”, ignorando la fondamentale differenza ontologica e di valore tra la persona umana e gli altri viventi. Ribadisce perciò la perplessità della Chiesa verso le posizioni ispirate “all’ecocentrismo e al biocentrismo” mettendo in guardia dall’inclinazione verso un «nuovo panteismo con accenti neopagani che fanno derivare dalla sola natura, intesa in senso puramente naturalistico, la salvezza per l’uomo».
L’accento sul creato si rivela peraltro il più adeguato a dare fondamento anche alle attività di conoscenza e studio dell’ambiente e ad ogni azione di tutela e di risanamento che non sia puramente volontaristica o dimostrativa. Che quella di Benedetto non resti una pura affermazione di principi lo si nota anche dagli accenti realistici e dalle valutazioni critiche verso un certo modo di considerare l’ambiente; arrivando a denunciare «l’attuale ritmo di sfruttamento (che) mette seriamente in pericolo la disponibilità di alcune risorse naturali»; e a parlare di «degrado ambientale (che) è spesso il risultato della mancanza di progetti politici lungimiranti o del perseguimento di miopi interessi economici».
Un intervento, quello per la giornata della Pace, che apre interessanti prospettive nella linea, già indicata nell’enciclica, di un’autentica “ecologia umana” e a partire dall’urgenza di un serio lavoro educativo: «Il degrado della natura è, infatti, strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana, per cui quando l’ecologia umana è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio».
Tra le prospettive aperte basterà citare l’importanza della solidarietà inter e intra generazionale, che spinge a una particolare attenzione verso le condizioni future del Pianeta e chiama in causa soprattutto “la responsabilità storica dei Paesi industrializzati”.
Altro contributo propositivo è l’invito a incentivare una ricerca e sviluppo che si metta a servizio dell’uomo, nella consapevolezza che “la tecnica non è mai solo tecnica” ma espressione dell’uomo, dei suoi desideri, delle sue idealità.
Infine, l’urgenza di una nuova mentalità che “induca tutti ad adottare nuovi stili di vita”. Ma anche qui la proposta è in positivo e non secondo la logica delle pura rinuncia e del “meno è bello”. Una logica che può arrivare a scelte come quella di Mathis Wackernagel, californiano presidente del Global Footprint Network, che dalla ribalta internazionale di Copenhagen ha dichiarato: «per limitare l’impatto ambientale della sua famiglia ho rinunciato a mettere al mondo un secondo figlio: è quello che fa aumentare di più il nostro peso sull’ecosistema». Gli stili di vita cui allude Benedetto XVI sono quelli «nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti».
Forse in queste concitate giornate del summit, pochi delegati nella capitale danese avranno trovato il tempo per considerare queste riflessioni. Tuttavia i prossimi dibattiti ambientali, se vorranno uscire dalla sterile contrapposizione ideologica, potranno trovare qui dei punti solidi da cui ripartire.