Ben due articoli firmati da un gruppo di ricercatori italiani escono in contemporanea sulla importante rivista internazionale Nature Genetics: si tratta di nuove scoperte nel campo della ricerca sulle cause genetiche di infarto del miocardio, una delle maggiori cause di malattia e di morte nel mondo. La prima è legata allo studio del genoma per individuare le cause dell’infarto famigliare; la seconda riguarda invece il coinvolgimento degli eosinofili, cellule collegate ai fenomeni allergici che si è riscontrato avere un ruolo fondamentale nell’infarto del miocardio.
In entrambi i casi si tratta di ampie collaborazioni internazionali, nel cui ambito la popolazione del Verona Heart Study – più di 2.000 pazienti veronesi con malattie cardiache che hanno “donato” il proprio DNA per la ricerca a partire dal 1996 – si è rivelata utilissima per la scoperta e la mappatura dettagliata di nuovi marcatori genetici associati al rischio di un attacco cardiaco.
Il gruppo è composto da Domenico Girelli, Nicola Martinelli, Oliviero Olivieri della Sezione di Medicina Interna del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Verona diretta da Roberto Corrocher.
Il primo studio, al quale ha partecipato anche il cardiologo Flavio Ribichini, responsabile del laboratorio di emodinamica dell’ateneo veronese, è stato condotto in collaborazione con Sekar Kathiresan, responsabile del servizio di Cardiologia preventiva del Massachusetts General Hospital di Boston (Usa) e con ricercatori di dieci Paesi (il Consorzio MIGEN). Lo studio ha arruolato 26.000 soggetti e ha portato alla scoperta di nove regioni del genoma associate al rischio di sviluppare l’infarto: «soprattutto – ci ha detto Domenico Girelli – l’infarto definito giovanile, o precoce, cioè quello che avviene prima dei 40-45 anni, che tende a ripetersi nell’ambito di alcune famiglie coinvolgendo più individui, frequentemente anche in assenza dei classici fattori di rischio a tutti noti quali fumo ipercolesterolemia, obesità, diabete, inattività fisica e così via.
Al secondo studio, coordinato dal gruppo islandese DeCODE, hanno partecipato invece anche alcuni ricercatori del Dipartimento Materno Infantile e di Biologia-Genetica: Pier Franco Pignatti, Elisabetta Trabetti, Giovanni Malerba, e Attilio Boner. Questo studio ha focalizzato la propria attenzione sui determinanti genetici che regolano il numero di un particolare tipo di globuli bianchi che circolano nel sangue e infiltrano i tessuti, vale a dire gli eosinofili. Queste cellule sono notoriamente molto importanti nell’infiammazione, soprattutto quella correlata a fenomeni allergici. In questo ambito, i ricercatori hanno individuato una serie di marcatori genetici associati al numero di eosinofili circolanti, e di conseguenza al rischio di sviluppare asma bronchiale.
«In effetti – racconta Girelli – lo studio originariamente era partito in un’altra direzione e riguardava le regioni del genoma che regolano le funzioni di queste cellule chiamate eosinofili che hanno una funzione importante nella malattie allergiche, in particolare l’asma bronchiale o le allergie a farmaci. Poi, come spesso accade nella ricerca scientifica, ci si accorge strada facendo che le cose che si scoprono possono avere rilevanza anche in altri campi; abbiamo visto infatti, con una certa sorpresa, che uno di questi marcatori (sul gene SH2B3) ha dimostrato una forte associazione anche con il rischio di sviluppare un infarto cardiaco».
I ricercatori veronesi spiegano che l’importanza dell’infiammazione nella formazione e nello sviluppo delle placche di aterosclerosi che occludono i vasi sino all’infarto è nota da tempo; tuttavia mai prima d’ora si era sospettato un ruolo così importante degli eosinofili in questo settore. «Procediamo, come al solito, per piccoli passi: questo è un tassello che si aggiunge a un quadro più generale e suggerisce qualche meccanismo nuovo che potrebbe rivelarsi molto importante; anche se dovremo ancora indagarlo a fondo».
Entrambi gli studi aprono in realtà concrete prospettive per una migliore comprensione dei meccanismi molecolari che causano l’infarto, con l’obiettivo finale di poter sviluppare strategie preventive e farmaci sempre più mirati. La speranza è che si arrivi nel più breve tempo possibile ad una medicina basata sempre meno sul concetto della “misura unica per tutti” cioè dare a tutti gli stessi farmaci, senza sapere in realtà se il singolo individuo se ne gioverà effettivamente oppure se svilupperà piuttosto degli effetti indesiderati; al contrario le terapie dovranno essere basate sempre più sul concetto dell’abito su misura, dare ad ogni singolo individuo i consigli o le terapie di cui ha effettivamente bisogno in base al suo corredo genetico.
«È presto per pensare ad applicazioni nella pratica quotidiana però nei prossimi anni le nostre scoperte ci permetteranno di conoscere meglio questi meccanismi per poi tradursi in informazioni utili allo sviluppo di farmaci specifici». Unica nota dolente, secondo Girelli, è quella dei finanziamenti per poter proseguire nelle ricerche: «Nel nostro Paese è sempre più difficile: abbiamo fatto richieste sia al Ministero che a delle Fondazioni e siamo in attesa di risposte positive; anche se dobbiamo constatare che siamo sempre un passo indietro rispetto ad altri paesi con cui collaboriamo».
Il nesso tra allergie e infarto potrebbe far sorgere qualche preoccupazione: Girelli però si affretta a precisare che non ci sono allarmi: «abbiamo solo notato che alcune mutazioni nel genoma che predispongono all’asma cardiaco, possono in qualche modo influenzare lo sviluppo della malattia cardiovascolare; la quale però è per definizione una malattia poligenica, cioè non è mai dovuta a un singolo gene: accanto a quelle mutazioni ce ne potrebbero essere, nella stessa persona, altre che possono svolgere un ruolo protettivo. Il risultato importante della ricerca è di suggerirci il ruolo degli eosinofili nello sviluppo dell’infarto e quindi di indicarci la via da seguire per gli studi futuri».