Il contatto tra le cellule del nostro organismo e qualsiasi agente, interno o esterno al nostro corpo, in grado di modificarne le funzioni e il comportamento (ormoni, neurotrasmettitori, farmaci, persino la stessa luce) avviene mediante l’attivazione di specifici recettori presenti sulla membrana cioè sulla superficie delle cellule. La classe principale di recettori di membrana è rappresentata dai recettori denominati GPCR. Numerosi studi specifici hanno dimostrato che la stimolazione prolungata di un recettore da parte di una molecola porta al trasferimento del recettore stesso dalla superficie cellulare all’interno della cellula, attraverso un fenomeno chiamato internalizzazione. Finora si pensava che questi recettori fossero attivi solo sulla superficie cellulare e che venissero “disattivati” una volta giunti all’interno della cellula.
Uno studio recentemente pubblicato su PlosBiology, realizzato da un gruppo di ricercatori dell’Università degli Studi di Milano e dell’Istituto Auxologico Italiano, in collaborazione con l’Università di Würzburg (Germania) e l’Università di Genova, dimostra invece che un particolare GPCR presente sulla superficie delle cellule della tiroide, continua a trasmettere il suo segnale all’interno della cellula anche dopo l’internalizzazione. È un risultato che apre importanti prospettive sul ruolo che l’internalizzazione svolge nel modulare l’attività dei GPCR e suggerisce l’idea che l’internalizzazione possa fornire un sorta di meccanismo di memoria, attraverso il quale una cellula può protrarre la risposta a una determinata sostanza anche dopo il suo allontanamento.
Ne abbiamo parlato con Davide Calebiro, del Dipartimento di Scienze Mediche dell’Università degli Studi di Milano e dell’IRCCS Istituto Auxologico Italiano e uno degli autori della ricerca.
Cosa sono i recettori GPCR e come si pensava funzionassero prima delle vostre scoperte?
I recettori accoppiati a proteine G (“G-Protein-Coupled Receptors”, GPCR) sono la principale famiglia di recettori presenti sulla superficie cellulare. Essi mediano gli effetti di ormoni come l’adrenalina, neurotrasmettitori come l’acetilcolina, sostanze odorose e persino della luce. Pertanto, essi svolgono un ruolo fondamentale nei principali processi fisiologici del nostro organismo. Inoltre, moltissimi dei farmaci attualmente utilizzati per curare i processi infiammatori, le allergie, l’ipertensione arteriosa o l’insufficienza cardiaca, solo per citare alcuni esempi, sono diretti proprio contro i GPCR. I più conosciuti tra questi farmaci sono i beta-bloccanti, gli oppioidi e i simpaticomimetici.
È noto da tempo che la stimolazione prolungata di un GPCR da parte del suo ligando, per esempio del recettore beta-adrenergico da parte dell’adrenalina, porta al trasferimento del recettore e del ligando dalla superficie cellulare all’interno della cellula, attraverso un fenomeno chiamato internalizzazione recettoriale. Fino ad oggi si è ritenuto che i recettori GPCR fossero attivi solo finché localizzati sulla superficie cellulare e che venissero “disattivati” una volta giunti all’interno della cellula.
Su quale recettore si sono applicati i vostri studi e che cosa avete trovato?
I nostri studi si sono concentrati sul recettore dell’ormone tireostimolante (TSH) che è presente sulla superficie delle cellule tiroidee. Il TSH viene secreto dall’ipofisi, una piccola ghiandola endocrina posizionata alla base del cervello, e stimola la produzione degli ormoni tiroidei. Il nostro studio mostra per la prima volta che un GPCR, nel nostro caso il recettore del TSH, continua ad inviare segnali alla cellula anche dopo essere stato internalizzato. In maniera piuttosto interessante, lo stimolo perdura anche se il TSH viene rimosso dall’ambiente extracellulare. Le conseguenze sono degli effetti più duraturi e diversi da quelli prodotti dallo stesso recettore localizzato sulla superficie cellulare.
Cosa intendete parlando di “memoria” all’interno di una cellula?
Le molecole che stimolano i GPCR non sono presenti a livelli costanti nel nostro organismo, ma subiscono delle variazioni nel tempo. Alcune, come i neurotrasmettitori o certi ormoni, sono secrete in maniera pulsatile. Altre seguono un ritmo circadiano; ad esempio il TSH ha un picco nelle prime ore del mattino. Si potrebbe pertanto ipotizzare che l’internalizzazione possa permettere alle cellule di prolungare la risposta ad una determinata molecola anche dopo il suo allontanamento. In questo senso si potrebbe parlare di “memoria” recettoriale.
Le nuove funzioni scoperte nei GPCR potranno aiutarci a capire meglio l’insorgere di alcune patologie?
Lo ritengo altamente probabile. I GPCR sono infatti implicati in numerosissime patologie. Per limitarci al caso del recettore del TSH, esso è coinvolto nell’ipotiroidismo congenito, nel gozzo e nell’ipertiroidismo. Per fare un esempio, il Morbo di Graves, una forma piuttosto frequente di ipertiroidismo, è causato da autoanticorpi che legano e stimolano il recettore del TSH. È possibile che, come il ligando naturale, anche questi autoanticorpi siano in grado di continuare a stimolare il recettore del TSH dopo l’internalizzazione. Questo stimolo prolungato potrebbe svolgere un ruolo importante nella patogenesi della malattia, cosa che vogliamo verificare con un prossimo studio.
È possibile già pensare anche a qualche nuovo strumento terapeutico? E quanto tempo ci vorrà per arrivare a delle possibili cure?
Il nostro studio mostra che l’internalizzazione dei GPCR porta ad effetti diversi e prolungati nel tempo. Farmaci in grado di interferire con l’internalizzazione potrebbero pertanto venire impiegati per modulare l’attività di questa importantissima famiglia di recettori. Ma siamo solo agli inizi. Innanzitutto dobbiamo chiarire se il fenomeno da noi descritto è comune anche ad altri GPCR e approfondire le implicazioni fisiopatologiche. Solo una volta esaurita questa fase, che probabilmente richiederà non meno di quattro o cinque anni, sarà possibile ipotizzare delle concrete applicazioni terapeutiche.