Una recente interessante pubblicazione sulla rivista scientifica Cell (a firma Zarzeczny et al.), pur tralasciando la mole di considerazioni di tipo biologico, ha cominciato a porre una serie di problemi di natura etica, legale e sociale sollevate dal potenziale uso delle cosiddette induced pluripotent stem cells (iPSc) e cioè di cellule adulte riprogrammate che presenterebbero caratteristiche molto simili alle cellule embrionali. Questa metodologia è stata giustamente salutata come una vittoria etica essendo una modalità che permette di ottenere cellule “simil-embrionali” senza la necessità di creare e distruggere embrioni umani. Vari metodi sono stati usati per riprogrammare le cellule adulte sia mediante vettori virali e transposoni e, ultimamente, anche metodi farmacologici.
Resta tuttavia da riconoscere che poco o nulla si sa della biologia e della stabilità genetica di queste cellule “pluripotenti” e sebbene esse abbiano suscitato un legittimo entusiasmo questo è talvolta risultato essere alquanto acritico. In buona parte a questo filone va ascritto anche quanto recentemente è stato enfatizzato circa la possibilità di ottenere neuroni partendo da fibroblasti adulti. Molti aspetti lasciano infatti intravedere che la via delle iPSc non sarà del tutto semplice da percorrere e che per giungere ad un loro uso in terapia dovranno essere affrontati e superati sia problemi di carattere biologico di base correlati alla loro sicurezza, ma anche i diversi aspetti di carattere etico che non si possono trascurare. In questa breve nota vorrei riproporre alcuni di questi temi cui il succitato articolo fa riferimento e la cui portata non deve essere sottovalutata anche per non generare illusorie speranze in malati indotti a supporre rivoluzionarie applicazioni terapeutiche in tempi brevi.
Due aspetti critici generali, ma essenziali, riguardano il problema della privacy e del consenso, conseguenti al fatto che le linee cellulari iPSc contengono informazioni genetiche del loro donatore. La proposta di rendere anonime queste linee cellulari induce a molte perplessità sia perché il loro “imprinting” genetico resta identificabile e riconducibile al donatore ma, soprattutto, perché proprio lo scopo per cui esse sono “costruite” e utilizzate (la cura) prevede come essenziale la loro tracciabilità e quindi anche il legame con il donatore. Potrebbe essere importante verificare lo stato di salute del donatore le cui cellule sono utilizzate in terapia oppure corrispondere al diritto del donatore di essere informato su dati inattesi che ricerche sulle sue cellule avessero evidenziato (per esempio la predisposizione a una determinata patologia).
Un aspetto quanto mai importante perché mette in discussione la stessa natura e lo scopo del consenso è la risposta alla domanda: il consenso informato del donatore deve essere considerato definitivo e permanente oppure limitato nel tempo (il donatore deve avere il diritto di “ritirare il consenso”?). D’altra parte un generico consenso a “fare ricerca” sulle proprie cellule non sarebbe realmente un consenso “informato” perché non in grado di comprendere anche future, non previste, informazioni. Queste, infatti, potrebbero essere importanti per il paziente e per il donatore e quest’ultimo potrebbe non considerare coerenti con le proprie convinzioni culturali e morali nuove applicazioni fatte con le sue cellule. Già allo stato attuale delle cose, un generico consenso non protegge dal rischio di applicazioni discutibili che si possono fare con queste linee come la produzione di gameti o di embrioni per citarne alcune.
A quanto detto si aggiungono poi i problemi connessi alla forte spinta brevettuale per la commerciabilità di queste tecnologie (licenze multiple, contenziosi ecc) che potrebbe anche incidere negativamente sui presunti benefici sociali dell’utilizzo delle iPSc. Negli Stati Uniti alcuni donatori hanno già preteso diritti economici per cellule da loro donate e fatte uso di prodotti commerciali ma le loro ragioni non sono state accolte.
A fronte di questi problemi ve ne sono altri ancora più gravi e insidiosi (anche complicati dalla continua evoluzione delle tecnologie) riguardanti gli aspetti etici connessi all’utilizzo delle iPSc. La stessa possibilità di utilizzare in terapia queste linee cellulari (cui tutti plaudono) richiederà necessariamente di studiare le iPSc in modelli animali e quindi la probabile necessità di creare chimere e ibridi uomo animale. Inoltre la domanda cruciale cui si deve ancora rispondere e che riguarda proprio l’equivalenza tra iPSc e cellule embrionali ha già comportato l’invocazione di maggiori ricerche sulle cellule embrionali umane. Anche la derivazione di gameti a partire da iPSc, aprendo la strada alla loro applicazione nel campo degli studi sulla fertilità, ha posto la necessità (prima delle applicazioni cliniche) di verificarne la funzionalità e quindi di dover creare e distruggere in laboratorio altri embrioni umani.
Da ultimo, ma non meno importante, va considerato che la forte pressione commerciale che sta dietro queste nuove tecnologie potrebbe anche rallentare od ostacolare importanti approfondimenti clinici e biologici che occorre siano condivisi per poter giungere a stabilire criteri standardizzati di efficacia e di sicurezza nelle terapie cellulari. Un esempio, altamente negativo, è quanto accade negli Usa dove (per ragioni brevettuali) i dati ottenuti in trial clinici dalla compagnia Geron con cellule embrionali umane sono conosciuti “confidenzialmente” solo dalla agenzia statale FDA (Food and Drug Administration). Poiché non si conoscono i dati (sull’efficacia, sulla sicurezza e sulle procedure di preparazione) nessuna nuova applicazione può tenere in conto queste informazioni che dovrebbero, al contrario, essere di patrimonio comune per chi inizia fasi cliniche in pazienti. In questo caso specifico significa che altri studi con embrioni umani possono iniziare senza nemmeno tenere conto di quanto già si è ottenuto con precedenti studi e quindi ripetendo anche cose già fatte.
Per il modo aggrovigliato (ma sottile) con cui questi problemi si stanno affacciando, non arrivano facilmente ad essere colti dall’opinione pubblica. Tuttavia essi devono indurci a una seria riflessione perché siano affrontati senza pasticci e senza cadere nella tentazione di prendere scorciatoie pericolose. Soprattutto occorre mantenersi realisti perché, come scrive Maria Zambrano: «quando la coscienza si distacca dalla realtà, si insinua lo stato di sogno: è quando si commettono i grandi equivoci prodotti dalla distrazione che è più che mai disattenzione, abbandono, mancanza di contatto con la realtà».