Da quando Newton capì che la stessa forza di gravità che fa cadere le mele dagli alberi tiene in orbita la Terra intorno al Sole, l’idea di universalità delle forze è diventata un concetto base della fisica moderna. Dalla seconda metà del novecento, sappiamo che vi sono solo quattro forze universali in natura: oltre alla gravità c’è la forza elettromagnetica, che lega gli elettroni negli atomi, è alla base delle reazioni chimiche e si manifesta in forme che vanno dalla luce, alle correnti elettriche, all’attrazione di una calamita.
C’è poi la forza forte, che tiene legati i quark nei protoni, e i protoni nei nuclei atomici, è responsabile della stabilità della materia di cui siamo fatti e la cui energia viene rilasciata nei reattori nucleari. Infine la forza debole, meno evidente ma ugualmente importante, che causa la lenta disintegrazione radioattiva di molti nuclei e, tra l’altro, mantiene caldo il centro della Terra.
Ciascuna di queste forze fondamentali è caratterizzata da una cosiddetta costante di accoppiamento che ne determina l’intensità: la costante di Newton per la gravità, la costante “di struttura fine” per l’elettromagnetismo, la costante di accoppiamento forte per la forza forte e la costante di Fermi per la forza debole. L’universalità implica che misure di queste costanti diano lo stesso valore anche se fatte in ambiti radicalmente diversi. Ad esempio, i valori della costante di Newton estratti da misure con un pendolo di torsione o dalle orbite delle stelle pulsar sono in accordo eccellente: una straordinaria conferma della universalità della gravità.
Negli ultimi trent’anni del novecento si è gradualmente capito che tre di queste forze fondamentali – quella elettromagnetica, quella debole e quella forte – possono essere descritte da un’unica teoria: il “modello standard” delle interazioni fondamentali. La mole di dati sperimentali che ne dimostrano la correttezza rende questa forse la teoria verificata con maggiore accuratezza di tutta la fisica contemporanea. I valori delle costanti di accoppiamento delle tre forze unificate nel modello standard sono i dati di base che determinano l’architettura di questa teoria.
Nel mondo quantistico, che governa il comportamento delle forze fondamentali a distanze subatomiche, il significato di “costante” di accoppiamento acquisisce una ulteriore complicazione. Infatti, l’indeterminazione quantistica, che ci impedisce di misurare simultaneamente la posizione e la velocità di una particelle, fa sì che una “costante” di accoppiamento sia in effetti una “variabile” che dipende dalla distanza.
Ad esempio, la carica elettrica di un singolo elettrone diventa tanto più grande quanto più l`elettrone viene visto da vicino, cioè quanto più potente è il microscopio con cui l’elettrone viene osservato. Infatti, l’indeterminazione implica che quello che appare come un singolo elettrone se visto da lontano, viene rivelato come un nugolo di particelle se osservato in sufficiente dettaglio. Questa dipendenza delle costanti di accoppiamento dalla distanza è calcolabile, sperimentalmente verificabile e diversa per le varie forze fondamentali.
Ciò apre un orizzonte affascinante: la possibilità che le tre costanti, e le tre forze che esse descrivono, si unifichino in una struttura unica a distanze sufficientemente piccole: cioè che le tre forze siano la manifestazione di un’unica forza fondamentale.
La determinazione sperimentale di ciascuna delle tre costanti fondamentali richiede un controllo del complesso quadro concettuale che lega ciò che si misura alla teoria in cui le costanti acquisiscono significato. Per la forza forte, le incertezze teoriche sono dominanti, e una accuratezza dell’uno o due percento è il massimo in cui si può sperare. Per la forza elettromagnetica, la teoria è nota con la surreale precisione di una parte su dieci miliardi (come sarebbe misurare la distanza tra la Terra e la Luna con l’accuratezza di mezzo centimetro), e le misure sperimentali hanno un’accuratezza di poco inferiore.
La costante di Fermi è un caso intermedio. L’accuratezza teorica sul fenomeno usato per determinarla – la disintegrazione del muone, un fenomeno molto simile alla disintegrazione radioattiva – è di quasi una parte su un milione. Un esperimento appena completato (MuLan) presso il laboratorio nazionale svizzero di fisica nucleare PSI (Paul-Scherrer Institut, alla periferia di Zurigo) ha permesso di usare fino in fondo questa teoria così precisa: l’osservazione di due miliardi di miliardi di disintegrazioni di muoni ha permesso di determinare la costante di Fermi con la precisione di quasi una parte su un milione.
Questi risultati possono sembrare un esercizio di precisione svizzera: in realtà, oltre ad essere un trionfo tecnologico, ci portano un passo più vicino alla comprensione dei meccanismi, ancora misteriosi, che sono alla base delle forze fondamentali, e forse ne spiegano l’origine comune.