È ben noto che alcuni materiali sono magnetici, cioè possiedono una magnetizzazione non nulla data dall’allineamento dei dipoli magnetici di ciascun atomo che li compone. La magnetizzazione è generalmente la risposta del materiale a un campo magnetico esterno, ma può permanere anche quando il campo esterno cessa di esistere, come nel caso che tutti conosciamo della calamita.
Meno familiare al grande pubblico ma altrettanto compreso è l’analogo fenomeno ferroelettrico, per il quale si ha una polarizzazione elettrica collettiva permanente del materiale in risposta a un campo elettrico.
Esistono infine materiali decisamente più esotici, detti multiferroici, che esibiscono entrambi i fenomeni e in molti casi esiste, a basse temperature, un forte legame tra la polarizzazione elettrica e magnetica, tale che possono essere magnetizzati da un campo elettrico e, viceversa, possono rispondere con una polarizzazione elettrica ad un campo magnetico esterno.
Questo fenomeno ha recentemente suscitato l’attenzione e gli sforzi dei fisici dello stato solido, attratti sia dal voler capire il meccanismo alla base di questi materiali, sia dalle loro promettenti potenzialità applicative. Esistono due modelli in competizione per spiegare il fenomeno: il primo coinvolge solo la struttura elettronica del solido e trasferimenti di carica, mentre il secondo prevede un (piccolo) spostamento dei nuclei, carichi positivamente, rispetto agli elettroni, cioè una vera e propria deformazione interna del materiale (accoppiamento magnetoelastico).
La creazione di questi dipoli locali allineati spiegherebbe la polarizzazione elettrica del solido. Il problema è che, sebbene il fenomeno macroscopico sia ben misurabile, lo spostamento dei nuclei necessario per spiegarlo è davvero minuscolo, dell’ordine dei femtometri, cioè 100mila volte più piccolo della distanza stessa tra gli atomi nel solido, e misurarlo sperimentalmente è davvero un’impresa.
Hanno finalmente cominciato a soddisfare la loro curiosità un’èquipe di scienziati che lavorano a ESRF (European Sinchrotron Radiation Facility), il potente sincrotrone europeo sito a Grenoble, coadiuvati da un gruppo di ricercatori del London Centre for Nanotechnology (presso University College London) e dell’Università di Oxford.
Il sincrotrone è una macchina capace di produrre radiazione elettromagnetica (luce) dalle caratteristiche speciali, che lo rendono uno strumento ormai essenziale in molti esperimenti di fisica dei materiali: oltre ad essere molto intensa, monocromatica e coerente, è possibile sceglierne la lunghezza d’onda e la polarizzazione. Sfruttando questa radiazione, in questo caso raggi X molto energetici (6-8 KeV), i ricercatori hanno potuto “sondare” con estrema precisione le caratteristiche di un cristallo della famiglia delle manganiti di terre rare (TbMnO3), un materiale multiferroico. E ciò che hanno visto ha permesso di distinguere quale dei due modelli fosse quello vero.
Il fascio di raggi X polarizzato, infatti, è sensibile sia all’ordine magnetico degli atomi nel cristallo che all’ordine dei dipoli elettrici. Analizzando quindi come il fascio viene diffratto dal cristallo è stato possibile studiare i due fenomeni contemporaneamente. Il confronto con il risultato di simulazioni computazionali ha permesso di risalire alla struttura del cristallo con una precisione che ha lasciato stupiti gli stessi autori dell’esperimento (pubblicato su Science in questi giorni) e che ha evidenziato come gli ioni Tb sono spostati di circa 20 femtometri rispetto alla loro posizione di equilibrio nella struttura cristallina (la precisione di tale misura è un record assoluto nel determinare la posizione degli ioni in un solido). Tale spostamento è compatibile con l’effetto di polarizzazione macroscopica misurata.
Il meccanismo alla base dei fenomeni di polarizzazione nei multiferroici è un passo decisivo nella comprensione di questi materiali. Come ogni risultato scientifico, la soddisfazione non si ferma nell’aver compreso una parte della loro natura, ma anzi apre la prospettiva su nuove domande.
Il fatto di poter essere magnetizzati da un campo elettrico, inoltre, suscita interesse anche nel campo applicativo, dove già da tempo si suppone che ossidi multiferroici possano essere alla base di una nuova tecnologia ibrida per le memorie informatiche: potrebbero essere “scritte” elettricamente e “lette” magneticamente, che permetterebbe di aumentarne la velocità e di diminuire il consumo energetico. La comprensione del fenomeno su scala microscopica può indicare la strada per sfruttare tali proprietà anche a temperatura ambiente, obiettivo applicativo ancora critico da realizzare.