«La Terra fornisce ad ognuno quanto basta per i suoi bisogni, non per la sua avidità». Mahatma Gandhi
Nella mentalità comune del nostro Paese, un po’ diversamente, rispetto alle logiche di pensiero e di azione europee, l’immagine del Parco come area protetta e da conservare nel tempo, non compare certamente come una priorità culturale cui attenersi per impostare il proprio stile di vita. Ponendo qualche differenza tra Nord e Sud dell’Italia, le Regioni a ridosso delle Alpi, ad esempio, hanno subito più rapidamente delle Regioni del Sud il fascino e l’attrattiva ambientale, soprattutto da parte di coloro che vivono inglobati nelle aree urbane e metropolitane, dove la natura non è esattamente parte della propria esperienza diretta quotidiana, se non in alcuni momenti casuali.
Tuttavia, il benessere innescato dagli anni ’60 ed oltre è stato un’occasione formidabile per conoscere prima e frequentare poi, nei fine settimana, spazi non più urbanizzati, ma luoghi caratterizzati dalla componente naturalistica, piacevole da incontrare, capace di suscitare curiosità e benessere. Così si è fatta strada, per gran parte della popolazione italiana, l’idea di vacanza come occasione per cambiare vita e per incontrare nuovi “amici”: le piante e i boschi, i fiori rari, la forma delle montagne e delle valli, il rumore del torrente che scende impetuoso, il fruscio del vento nel bosco, il mormorio delle onde sulla riva del mare …
Che cosa rappresentano questi nuovi “amici” per l’essere umano? Non si può generalizzare, ovviamente, ma alcuni elementi sembrano trovare consistenza nell’osservare che quel tipo di incontro genera, spesso, gradimento, soddisfazione, interesse e, talora, curiosità, benessere per il corpo e per lo spirito, stupore di fronte alla bellezza della natura … Del resto, come sottolinea Claude Raffestin (Dalla nostalgia del territorio al desiderio di paesaggio, elementi per una teoria del paesaggio, Alinea, Firenze, 2005, p. 9) «Chi, guardando una parte del territorio, condizionato da particolari elementi esterni e dettati dalla propria interiorità, non ha, almeno una volta nella sua vita, provato un’emozione che lo porta a voler fissare nella sua memoria le peculiarità di quell’involucro spazio-temporale?».
Non tutti, però, vivono il rapporto con la natura secondo i parametri sopra riferiti. La maggior parte della popolazione si trasforma rapidamente in consumatrice dell’ambiente naturale, essendo priva di conoscenze elementari scientifiche, spesso, deturpandolo con i rifiuti o provocando incendi. Il consumismo ambientalista del fine settimana o delle vacanze non è altro che la riappropriazione e/o riproposizione dello stesso stile di vita urbano in una realtà differente sotto il profilo dei fattori ambientali e paesistici.
Persino un Parco Nazionale, nonostante le normative che lo proteggono integralmente, può essere oggetto di consumo, se, chi lo frequenta è privo di qualunque rudimento di botanica o di zoologia o di geomorfologia, ma anche, e non da ultimo, di sensibilità alla bellezza. Tuttavia, l’aspetto più preoccupante del consumismo ambientale è dato dalla sottrazione progressiva di suolo alla natura. In Italia, ad esempio, dagli anni ’70 ad oggi, la superficie agricola, che comprende seminativi, orti, arboreti, colture permanenti, prati e pascoli, è diminuita del 28%, passando da 18 milioni di ettari a meno di 13, risultando così con un deficit consistente di terreno agricolo per soddisfare le esigenze alimentari della popolazione che vi risiede e costringendo il Paese all’importazione. (MiPAF, 2010).
L’alternativa al consumismo è l’amore per la conoscenza della realtà, è la passione per la vita, sotto qualunque forma si possa presentare, è il gusto per la bellezza da scoprire nell’ambiente che si esplora. In Europa, il primo Parco nazionale nasce in Svezia nel 1909, denominato Abisco, Sorek, Stora Sjofallet, mentre in Italia nel 1922 sorgono i primi due Parchi nazionali: il Gran Paradiso e il Parco Nazionale d’Abruzzo. L’idea che li genera consiste, inizialmente, nel preservare dall’aggressione del cemento o dell’asfalto ambienti spettacolari sotto il profilo della bellezza paesistica, coniugata con la salvaguardia delle specie animali e vegetali presenti nell’area.
Dopo la fine della II guerra mondiale, il principio della salvaguardia e della protezione ambientale diventa sempre più saldo e corredato da informazioni scientifiche, che vengono proposte in ambito internazionale, come suggerimento legislativo da assumere nei singoli Stati. Soltanto negli ultimi decenni del secolo scorso, tuttavia, si configura una serie di iniziative internazionali, nel tentativo di porre rimedi all’avidità di utilizzo del territorio e di proporre linee di sviluppo alternative al modello consumistico, alla base della nostra economia liberista e amplificato dai sistemi di comunicazione mediatica. Il 22 maggio del 1992 nasce la convenzione Onu per la protezione della diversità biologica, che viene adottata a Nairobi, in Kenya e che, ad oggi, è stata ratificata da 193 paesi, i cui obiettivi si applicano a tutti gli organismi viventi sulla Terra, alle specie selvatiche ed a quelle selezionate dall’uomo.
Nel 2012 si è appena conclusa (22/25 ottobre) la conferenza mondiale di Europarc a Gent in Belgio, nella quale sono stati discussi argomenti scientificamente rilevanti, con una accuratezza di punti di osservazione e con il preciso intento di collegare la natura con la natura, le persone con la natura, gli affari con la biodiversità e la politica con la pratica. In altre parole: ricollegare la società con la biodiversità. I temi trattati nei vari seminari sono stati: “Agriculnature”, ossia la valutazione dei conflitti tra natura, gestione della terra, e agricoltura, per la protezione della biodiversità, mentre si impone un continuo aumento della produzione agricola per soddisfare il bisogno di nutrizione.
E’ abbastanza facile ritenere che la produzione di cibo generi maggiori benefici economici rispetto alla conservazione delle aree protette, ma, per altro verso, va osservato che queste superfici sono un ambiente sicuro per gli insetti impollinatori, i quali, a loro volta, garantiscono le redditività dell’agricoltura europea. Un altro argomento interessante toccato dalla Conferenza è stato l’incontro con il mondo infantile e adolescenziale, sempre più catturato dai giochi elettronici al computer e sempre meno presente in un contatto diretto con la natura. Le cause sarebbero da ricercare in una sorta di “abbandono” obbligato da parte dei genitori, che lavorando l’intera giornata, non riescono ad occuparsi della loro educazione, lasciando al mondo digitale e mediatico il compito di costruire la loro personalità e il loro carattere.
In questo modo i ragazzi sono privati della conoscenza del mondo reale, quello della natura, in particolare, capace di trasmettere un impatto straordinario sulla loro sensibilità e sulle loro capacità intuitive a fronte di quello che osservano: è una sorta di “crescere denaturato”. Non poteva certamente mancare uno spazio di discussione sul rapporto tra affari e natura, per evidenziare, in un periodo di crisi come l’attuale, la riduzione nei bilanci pubblici delle sovvenzioni per la conservazione della natura. Ad esempio, sono state presentate delle proposte per incrementare la partecipazione finanziaria delle imprese commerciali, anche attraverso il loro coinvolgimento responsabile, nella protezione delle aree naturali.
A Milano e a Roma, ad esempio, i privati possono assumersi la responsabilità di gestire degli spazi verdi pubblici. Un ulteriore aspetto trattato che mi trova molto interessato è intitolato “La natura in mente”, perché sottolinea come la natura possa influire sullo stato d’animo e sull’umore delle persone, anche solo con una breve passeggiata nel Parco o in un luogo silenzioso dove la natura sia l’espressione vitale dominante.
In un certo senso, si avverte, anche attraverso manifestazioni di livello internazionale come quella ora citata, che il mondo scientifico e quello istituzionale, hanno iniziato ad assumersi delle responsabilità ben precise nei confronti di quanto accade in natura, forse, non tanto in termini di laboratorio, quanto piuttosto secondo una logica protezionistica, atta a conservare ecosistemi di straordinario valore naturalistico e finalizzata al progetto di sviluppo sostenibile.
Credo che, all’interno di queste posizioni, la grande assente sia l’educazione, scolastica e universitaria, incapace di generare un rapporto rilevante con il Pianeta e con tutte le problematiche che noi, esseri umani, siamo in grado di recepire e di indagare. Esiste, in generale, un’educazione tesa piuttosto ad insegnare delle nozioni, più o meno interessanti, mentre manca uno spazio di lavoro, una specie di laboratorio sull’esperienza con l’estetica del reale, un atelier culturale e sperimentale per la natura. Gli ingegneri, ad esempio, che, forse, conoscono poco la Conferenza Europea del Paesaggio, tenutasi a Firenze, 20 ottobre 2000, sanno certamente costruire strade, ponti, grattacieli, ferrovie, ma, molto spesso, non sanno dimensionare un loro rapporto con il paesaggio che ha certamente delle componenti naturalistiche rilevanti, sulle cui impronte dovrebbe essere congegnato un sistema antropico in armonia con la realtà.
Se manca l’educazione al vero ed al bello, continueremo ad affondare nei nostri miserevoli bisogni, senza soddisfazione, senza gusto, senza senso, e continueremo a consumare suolo e ambiente, senza pensare che la Terra intera dovrebbe essere concepita, protetta e conservata come un Parco, come un Paradiso terrestre, perché così ci è stata donata. Tim Jackson, consigliere per la sostenibilità alla UK Sustainable Development Commission e docente di Sviluppo sostenibile all’Università di Surrey, nel suo volume Prosperità senza crescita (2011, p. 81) sostiene: «Il cambiamento climatico, il degrado ecologico e lo spettro della scarsità delle risorse si assommano ai problemi causati dal crollo dei mercati finanziari e dalla recessione….
Serve come punto di partenza fondamentale, una definizione coerente di prosperità che non faccia affidamento su assunti preimpostati sulla crescita dei consumi». Si pensi a come sarebbe proficuo percorrere in ambito didattico degli itinerari di apprendimento, irrompendo nella bellezza della natura, anziché ascoltare in aula nozioni, a volte, davvero poco affascinanti, educare i nostri figli e i nostri studenti a guardare la realtà, a riconoscere i paesaggi sonori o quelli tattili, ad ascoltare attraverso la loro sensibilità ciò che la natura sa insegnare e vivere un’appartenenza all’universo infinito come esperienza possibile da un punto qualsiasi del Pianeta.