Per oltre trenta mesi, più del doppio di quanto inizialmente richiesto dai ricercatori, ininterrottamente Planck ha osservato le profondità del cielo. I suoi due freddissimi “occhi” – l’High Frequency Instrument (HFI) e il Low Frequency Instrument (LFI), che operano a temperature di poco sopra lo zero assoluto – hanno scandagliato l’universo per misurare con estrema precisione la cosiddetta “radiazione fossile”, o radiazione cosmica di fondo a microonde: la prima luce dell’Universo, generata appena 380mila anni dopo il Big Bang.
Ora il primo strumento ha terminato il suo lavoro (lo ha raccontato Marco Bersanelli in queste pagine) mentre LFI, interamente realizzato in Italia, continuerà a raccogliere dati per buona parte del 2012.
Nel frattempo iniziano a emergere i risultati delle ricerche rese possibili da Planck, in vista della mappa dell’Universo primordiale che sarà completata e resa pubblica fra un anno. Per questo però, è prima necessario identificare e rimuovere le emissioni generate dagli oggetti in primo piano, molto più vicini a noi. Ma si tratta comunque di dati preziosi: le emissioni, infatti, provengono principalmente dalla Via Lattea e da qualche galassia più distanti, e sono una chiave per comprendere più a fondo la nostra Galassia e l’intero Universo.
Su tutti questi temi si è riunita da ieri a Bologna tutta la comunità scientifica che ruota attorno a Planck – radunata presso l’Area della Ricerca CNR dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e dall’Istituto Italiano Nazionale di Astrofisica (INAF), per dibattere sulla scienza galattica ed extragalattica dalle lunghezze d’onda radio a quelle sub millimetriche. Ne abbiamo parlato con l’astrofisico Davide Maino, Pipeline Manager di LFI.
Quali sono le principali novità presentate al convegno di Bologna?
Questo congresso segue quello del gennaio 2011 a Parigi in cui erano stati presentati i primissimi risultati ottenuti con la prima survey completa di cielo ottenuta da Planck. In questa sede bolognese sono due le maggiori novità presentate e riguardano ancora una volta l’universo dietro l’angolo: la nostra galassia. In particolare grazie allo strumento ad alta frequenza è stato possibile ottenere una mappa dell’emissione di monossido di carbonio presente nelle nubi interstellari della Via Lattea.
Questa molecola è presente all’interno di nube estremamente fredde (pochi gradi kelvin) e costituite principalmente da idrogeno da cui si formano le stelle. Benché molto più rara dell’idrogeno, essa presenta, a differenza dell’idrogeno molecolare, delle emissioni caratteristiche che la rendono facilmente osservabile con lo strumento HFI.
Il vantaggio di Planck in questo tipo di studi è rappresentato dalla sua copertura completa del cielo, in quanto misure analoghe sono possibili da Terra ma limitate a piccole regioni dove già si è a conoscenza della presenza di tali nubi. Grazie a questa mappa potremo approfondire in futuro le condizioni fisico – chimiche di queste nubi fornendo informazioni sulle primissime fasi del complesso processo che porta alla formazione delle stelle.
L’altra novità?
Riguarda l’emissione, questa volta a bassa frequenza, della Via Lattea. Sfruttando il la vasta copertura in frequenza di Planck è possibile ripulire il segnale osservato da tutte le emissioni galattiche note. Nel processo complesso e delicato di pulizia, Planck ha messo in evidenza un residuo diffuso di emissione che circonda la regione del centro galattico. Tale segnale era già stato osservato dal satellite WMAP della Nasa, ma la conferma definitiva e certa della sua presenza l’abbiamo oggi grazie a Planck.
Infatti, grazie alla sinergia di entrambi gli strumenti, è stato possibile caratterizzare al meglio l’emissione da parte delle polveri galattiche, fornendo un’immagine della cosiddetta “Foschia Galattica” (Galactic Haze) ancora più precisa. Resta da capirne l’origine: sembra certo che si tratti di emissione di sincrotrone prodotta da elettroni che vengono accelerati all’interno di campi magnetici, anche se presenta caratteristiche peculiari mostrando infatti uno spettro molto più “duro” cioè che decresce meno rapidamente di quanti ci si aspetta dalla normale emissione di sincrotrone.
In attesa dei prossimi risultati, la grande aspettativa dei cosmologi, ma non solo, è per quello che si riuscirà a capire dallo studio di alta precisione del fondo a microonde: che tipo di risultati vi aspettate?
Ci aspettiamo diverse novità a livello cosmologico. Planck con la sua sensibilità e risoluzione angolare, la grande copertura di cielo e la multifrequenza è in grado di operare una più dettagliata pulizia del segnale misurato dai contributi di origine locale, quali ad esempio l’emissione da parte della nostra Via Lattea, estraendo quindi un più genuino segnale cosmologica. E’ questo un punto molto delicato specialmente per quanto riguarda le misure in polarizzazione dove da un lato il segnale cosmologico è dieci volte più debole che in intensità totale e dall’altro abbiamo scarse conoscenze a priori dei contributi non cosmologici. Speriamo quindi che Planck sia in grado, e già i risultati fin qui ottenuti lo dimostrano, di fornire informazioni ancora più precise sull’epoca della cosidetta re-ionizzazione, quando cioè l’universo è ritornato ad essere un plasma a causa della radiazione emissa dalla prima generazione di stelle. Grazie a queste misure saremo in grado di stimare meglio l’epoca cosmica a cui questo fenomeno ha avuto luogo confermando o meno i nostri attuali modelli circa la formazione delle strutture, stelle e galassie, che osserviamo nell’universo.
Ancora più interessante sarebbe l’osservazione dei cosidetti “modi B” di polarizzazione. Questo particolare tipo di segnale in polarizzazione è ancora più debole del già debole segnale polarizzato ma, come in molte cose, è lì che risiedono informazioni preziose sull’universo. Infatti questo debolissimo segnale è direttamente prodotto dalle piccole fluttuazioni cosmiche che si sono generate quando l’universo aveva solo 10-32 secondi: la loro osservazione permetterebbe di stimare le scale di energie coinvolte in questi processi promordiali e si legerebbe in maniera naturale con gli sviluppi del modello standard delle particelle elementari e con gli esperimenti di LHC al CERN.
L’astrofisica radio e submillimetrica non vuol dire soltanto fondo cosmico: quali sono gli altri temi interessanti? Come si proseguiranno queste ricerche dopo-Planck?
Certo che non è solo fondo cosmico. Come già detto uno dei punti forti di Planck è la multi-frequenza. Questo permette di caratterizzare simultaneamente le emissioni da parte della nostra galassie e delle galassie esterne a frequenza da 30 fino a 857 Ghz. Molti sono gli aspetti della nostra galassia che ancora non ci sono chiari. Già Planck ha permesso di individuare i Cold Cores, regioni molto fredde (pochi gradi kelvin) di polvere da cui si formano le stelle il cui meccanismo di nascita non era mai stato osservato così nel dettaglio. Oppura l’emissione “anomala” diffusa. Anomala in quanto presenta caratteristiche che non rientrano nei normali meccanismi di emissione fino ad ora conosciuti. Planck può quindi fornire importanti informazioni a riguardo di questi temi come abbiamo visto anche durante la conferenza stampa di ieri. L’aspetto su cui Planck potrà cominciare a fornire informazioni preziose è sicuramente l’emissione polarizzata della nostra galassia di cui veramente si conosce veramente poco soprattutto in questo intervallo di frequenza. È chiaro che non sarà la parola definitiva anzi costituirà una sorta di apripista. Diversi sono infatti gli esperimenti in fase di realizzazione, tra cui l’italianissimo LSPE, il cui scopo sarà quello di fornire immagini in polarizzazione ancora più dettagliate di quelle di Planck, anche se in regioni limitate di cielo. Certamente viviamo un momento molto caldo per la cosmologia osservativa.