Un esperimento non facile ma, ci sembra, riuscito quello tentato la scorsa settimana a Perugia, organizzato dall’Area di Ricerca SEFIR “Scienza E Fede sull’Interpretazione del Reale” d’intesa con la locale diocesi: una scuola di formazione e ricerca sul tema “La libertà”. Per quattro giornate di intenso lavoro sono stati riuniti ventiquattro giovani studiosi, tutti laureati e molti dei quali già dottorandi o dottori di ricerca, per farli riflettere sul tema della libertà a partire dagli spunti offerti da docenti universitari affermati nelle loro discipline con i quali essi hanno potuto discutere le prospettive proposte.
Introdotte dal professor Giandomenico Boffi, responsabile del SEFIR, nelle quattro giornate si sono quindi susseguite le relazioni del neurofisiologo Filippo Tempia, del paleoantropologo Fiorenzo Facchini, del biologo Marcello Buiatti, dell’etologo Augusto Vitale, dell’informatico Angelo Montanari, del filosofo Adriano Fabris e del teologo Giuseppe Lorizio.
Collegato all’ISSR Ecclesia Mater di Roma e in stretta collaborazione con il Servizio Nazionale della Cei per il Progetto culturale, il SEFIR svolge da più di dieci anni attività di ricerca mediante convegni e incontri seminariali, che hanno trovato espressione in una nutrita serie di pubblicazioni dedicate per lo più al rapporto tra pensiero scientifico, filosofia e teologia. La peculiarità delle iniziative consiste nel promuovere l’interazione tra studiosi di diversa provenienza disciplinare con il fine di superare la frammentazione del sapere tipica della nostra epoca e nel medesimo tempo di aprire la possibilità di un dialogo fruttuoso fra le scienze e la Rivelazione cristiana.
La scelta di incentrare i lavori di questa scuola sul tema della “libertà” è dipesa da almeno due motivi. Il primo è che il tema è uno fra quelli proposti dal Progetto Culturale della Cei. Nel sussidio Tre proposte per la ricerca, del 1999, la libertà personale e sociale in campo etico veniva individuata come uno dei temi qualificanti della discussione culturale contemporanea; soprattutto per quanto riguarda la dimensione della coscienza morale che oggi vive spesso una condizione schizofrenica, allettata com’è, per un verso dal forte desiderio di autonomia alimentato dalla diffusa cultura individualistica e per l’altro da tendenze culturali, scientifiche e religiose che riproducono nuove forme di un suo assoggettamento.
Nel frattempo, ed è il secondo motivo della scelta del tema, la libertà è divenuto un nodo centrale della cosiddetta “questione antropologica”, perché, soprattutto in ambito scientifico, sono ormai diffusi molti indirizzi di ricerca che tentano di naturalizzare l’essere umano, cioè di studiarlo come un oggetto non dissimile nelle sue caratteristiche di base da altre realtà della natura indagabili per mezzo di strumenti empirici. In generale, tali indirizzi di ricerca promuovono un’interpretazione deterministica dell’essere umano, nella quale viene negata ogni libertà; oppure danno un senso di quest’ultima che è conciliabile con la libertà di azione, ma non con quella del volere che di fatto è negata in virtù del peso preponderante affidato a fattori genetici o ambientali o ad una loro combinazione.
Una posizione del genere non rappresenta soltanto una opzione riduttiva in materia antropologica, ma tocca l’esistenza dell’uomo nella dimensione più concreta del suo agire, perché mette a rischio la sua responsabilità morale e giuridica. Un essere che non è libero, nel significato comune che noi siamo abituati a dare a questo termine, cioè che non è capace di determinare autonomamente la propria volontà, ovvero di volere ciò che vuole, non è un essere umano in senso autentico e nemmeno è una persona.
Le relazioni degli studiosi e la discussione che ne è derivata hanno avuto come obiettivo quello di motivare l’affermazione della libertà umana da diversi punti di vista. In particolare è dall’ambito della neurofisiologia, della paleoantropologia, della biologia, dell’etologia e dell’informatica che sono emersi molti elementi utili a questo riguardo. Tempia ha infatti suggerito una diversa interpretazione dei recenti esperimenti neurofisiologici che sostengono un’antecedenza dell’attivazione di certe aree cerebrali rispetto alla coscienza che ne hanno i soggetti autori di una determinata azione; mentre Facchini ha messo in luce come il carattere non stereotipato delle azioni umane sia un aspetto rilevante nel processo di ominizzazione. Buiatti, per parte sua, ha mostrato come l’idea di un determinismo genetico sia infondata dal punto di vista scientifico dopo le acquisizioni della biologia contemporanea; mentre Vitale ha sottolineato che si può parlare di libertà negli animali soltanto come flessibilità comportamentale; e Montanari ha negato che allo stato attuale si possa individuare nell’intelligenza artificiale una forma di comportamento libero.
Si tratta di prospettive che, adeguatamente riflettute in una visione filosofica e teologica, appaiono degne di essere riprese e ampliate in una seconda edizione dell’iniziativa.