Si torna a parlare di biogas, in questi tempi di ridiscussione degli scenari energetici nazionali e mondiali. Se ne parla in un’Italia che, con i suoi circa 900 impianti a biogas, è al secondo posto dietro alla Germania; e che continua a fare ricerca scientifica e tecnologica sul tema, mentre si susseguono iniziative anche originali, come il recente lancio di un canale web tematico, Biogas Channel, interamente dedicato a questa risorsa energetica. Cos’è il biogas? È il prodotto della fermentazione anaerobica causata dai batteri, che digeriscono la frazione organica e trasformano le molecole organiche in un gas, il biometano. Ma non è solo quello. Durante la digestione anaerobica, oltre al metano si produce una sostanza detta “digestato” che rappresenta una frazione organica stabile, ricca di nitrato di ammonio utilizzabile come fertilizzante, che viene denominato “fertilizzante rinnovabile”. Di questa ampiezza di utilizzi è un sostenitore Fabrizio Adani, docente di Chimica del Suolo all’Università degli Studi di Milano, che, di ritorno da un lungo tour di confronto e promozione tecnica e culturale in vari Paesi asiatici, così ha parlato a ilsussidiario.net delle prospettive del biogas.
L’Italia negli anni Ottanta era già molto avanti nella produzione di biogas; poi cosa è successo?
Negli anni Ottanta in Italia, soprattutto con Enea, si è iniziato a sviluppare biogas ed eravamo al primo posto nel mondo, più avanti anche della Germania: c’erano le tecnologie e c’era tutto il know how necessario per sviluppare il settore. Poi si è deciso di cambiare politica energetica, o meglio, non è stata fatta una politica energetica; è stato abbandonato quel settore della ricerca e poi sono arrivati i tedeschi: così, mentre avremmo potuto andare noi a costruire i loro impianti, sono venuti loro a realizzarli da noi. Nel frattempo in Germania si stima che entro il 2020 il 10% del metano in rete sarà di origine biologica.
Adesso però stiamo recuperando…
Sì, perché le potenzialità e le competenze non ci mancano. Lo vedo anche in altri campi affini, come quello dei rifiuti. Parliamo qui degli anni Novanta: i primi a fare raccolta differenziata, compostaggio e simili sono stati i tedeschi; noi abbiamo “copiato” da loro ma poi abbiamo messo quel plus di creatività e flessibilità che ci ha permesso di recuperare. Il problema però è che i nostri imprenditori, soprattutto quando vanno all’estero, devono basarsi solo sulle loro forze senza poter contare, come invece accade agli altri, su sostegni e supporti istituzionali e organizzativi.
Ormai quindi questi tipi di impianti ci sono e funzionano, quali sono i vantaggi?
Sì, è vero, gli impianti li sappiamo fare; però da lì si può partire per altro. Abbiamo il biometano ma stiamo sviluppando il bioidrogeno, che è ancor più pulito; e il bioidrogeno non vuol dire solo energia. Abbiamo appena presentato un progetto dove viene utilizzato il digestato per fare dei biopolimeri; siamo quindi nella prospettiva che possiamo chiamare della bioraffineria. Consideriamo un altro aspetto. Un problema, ad esempio in Lombardia, sono i nitrati e le emissioni: il 90% dell’ammoniaca arriva dall’agricoltura e l’ammoniaca produce PM10; il 30% del PM10 è di origine agricola. Ora, il biogas permette di produrre fertilizzante rinnovabile senza disperdere ammoniaca nell’ambiente e naturalmente riducendo il ricorso a fertilizzanti chimici.
Come tutte le nuove tecnologie anche il biogas non sarà esente da problemi…
Certo va tenuto sotto controllo. C’è tutta la polemica sulla sottrazione di risorse alimentari; ma bisogna valutare attentamente alcuni giudizi semplificati e affrettati. Da un nostro studio, ad esempio, risulta che quando è stato introdotto il biogas il consumo del mais stava diminuendo e quindi non è sostenibile l’affermazione che il biogas ha sottratto risorse alimentari. È vero d’altra parte che qualcuno ha operato scorrettamente, ha speculato, ha fatto impianti solo a mais; quindi deve essere forte l’azione di monitoraggio e di controllo.
Uno slogan dei sostenitori di questa tecnologia insiste sul concetto di “biogas fatto bene”: vuol dire che ci sono impianti fatti male?
No, si tratta di migliorare gli impianti tenendo conto di diversi fattori e di nuove conoscenze. A mio parere “fatto bene” significa cercare di mettere insieme la sostenibilità del biogas, la possibilità di impiegare colture integrative, di recuperare dei rifiuti. Il nuovo decreto incentivi va in questa direzione; con l’apertura verso alcune soluzioni che nessuno ha finora proposto in Europa: come l’incentivazione del recupero dell’azoto per fare fertilizzanti.
E la ricerca come può contribuire?
Stiamo studiando nuove colture che producono più biogas e non richiedono pesticidi e possono ridurre l’impiego del mais; si sta sviluppando la tecnologia per recuperare sottoprodotti come la paglia. Tutto questo senza gli incentivi adeguati sarebbe stato impossibile, mentre con i necessari supporti si può promuovere una ricerca che punti a trovare sistemi di produzione di biogas senza, o con ridottissimo, utilizzo di mais; oppure che riesca ad aumentare la produttività dei suoli. Ciò potrà incidere anche sulla taglia degli impianti. Attualmente si privilegiano impianti relativamente piccoli, fino a poche centinaia di kW; però, se troveremo altre soluzioni con meno impiego di mais, si potrà tornare a realizzare impianti più grandi, fino a 1 MW, che hanno il vantaggio di costare meno.