Se vi si dedica attenzione, si può notare facilmente come nei negozi, nelle mostre o anche su alcune automobili si sia verificato un grande cambiamento riguardante la modalità di illuminazione: ormai in moltissimi casi si trovano utilizzati i LED, sorgenti molto piccole, ma in grado di produrre una luminosità molto intensa. Se questo è possibile lo dobbiamo al lavoro dei premi Nobel per la fisica 2014, proclamati ieri a Stoccolma: i giapponesi Isamu Akasabi e Hiroshi Amano e l’americano di origine nipponica Shuji Nakamura. La loro storia, che li ha condotti alla massima onorificenza scientifica, merita di essere considerata anche perché “illumina” alcune caratteristiche tipiche del lavoro scientifico; come ha spiegato a ilsussidiario.net Alessandro Farini, fisico dell’università di Firenze e responsabile del laboratorio di Ergonomia della Visione dell’Istituto Nazionale di Ottica Applicata del Cnr.
«Quando si parla di LED si parla di componenti elettronici (d’altronde l’acronimo, tradotto in italiano, indica un diodo in grado di emettere luce) realizzati utilizzando i materiali semiconduttori. Ci sono LED rossi, che esistono ormai dalla fine degli anni ‘50 e sono stati i primi di cui abbiamo fatto conoscenza. Molti di noi li hanno visti subito su vari apparecchi, come ad esempio i televisori, per indicare lo stato di accensione. Sono poi nati i LED verdi, ma per poter utilizzare questi dispositivi era necessario avere a disposizione anche i LED blu. Infatti tre componenti di colore (rosso, verde e blu) sono il minimo per poter ricreare una luce bianca. Purtroppo però la radiazione blu è anche la più energetica tra le tre ed era la più difficile da ottenere da un LED».
I tre scienziati (che hanno lavorato indipendentemente, Akasaki e Amano alla università di Nagoya e Nakamura in una piccola azienda, la Nichia) hanno avuto il merito di puntare su un materiale semiconduttore adatto, il nitruro di gallio (GaN). La sfida però era tutt’altro che semplice. Il nitruro di gallio era un materiale assai difficile da trattare. Possiamo affermare quindi che, mentre il Nobel dello scorso anno a Higgs e Englert era un Nobel dedicato alla fisica teorica, il Nobel di quest’anno è dedicato alla fisica sperimentale.
«Parlare di fisica sperimentale vuol dire parlare di una fisica forse meno affascinante per il grande pubblico, abituato a pensare allo scienziato che medita di fronte a una lavagna, ma sicuramente altrettanto importante. Vuol dire parlare di tanti tentativi, di mille regolazioni fini nella strumentazione di laboratorio, di attenzione a controllare ogni parametro senza trascurare nulla perché anche una vite mal avvitata può tradire un lavoro di anni».
Akasaki e Amano sono stati protagonisti di quella che gli scienziati amiamo chiamare serendipity, che potremmo, con troppa banalità, tradurre come una scoperta dovuta al caso. I due ricercatori infatti si erano accorti che quando osservavano il nitruro di gallio con il microscopio elettronico a scansione l’emissione di luce aumentava. Questo ha suggerito loro di utilizzare un fascio di elettroni per migliorare l’efficienza del LED. «La scoperta fatta “per caso” non toglie nulla alla grandezza dei Nobel; anzi, bisogna dire che ci vuole un’attenzione enorme alla realtà e una fiducia incrollabile nel dato sperimentale per non trascurare piccoli segnali che la realtà fisica ci invia nascostamente». La scoperta è stata poi completata da Nakamura, che si è reso conto che il processo poteva essere enormemente semplificato, utilizzando un riscaldamento termico al posto del fascio di elettroni.
I tre studiosi hanno quindi diretto i loro studi verso la realizzazione di un laser a luce blu, «invenzione niente affatto trascurabile poiché la corta lunghezza d’onda della radiazione permette, ad esempio, di salvare molti più dati su un singolo supporto ottico (non a caso al giorno d’oggi i film in alta risoluzione sono venduti in formato detto appunto Blue-ray)».
Sicuramente l’impatto maggiore dei LED blu è legato alla possibilità di utilizzarli nell’illuminazione. I primi LED bianchi utilizzati avevano proprio un LED blu ricoperto da sostanze fluorescenti in grado di emettere nel rosso e nel verde. Oggi molte sorgenti LED utilizzate in illuminotecnica sono realizzate mescolando LED di vari colori. Questo permette al progettista illuminotecnico di poter scegliere tra tante soluzioni diverse, ottenendo luci anche assai differenti tra loro.
«La possibilità di scegliere il giusto tipo di luce permette ora di realizzare splendide cromaticità: che si debba illuminare la verdura del supermercato (che se è illuminata dai LED invece che dalle riscaldanti lampade incandescenti rimane fresca più a lungo) oppure uno splendido dipinto in un museo. Devo constatare che in parte del pubblico permane un po’ di dubbio nei confronti di queste nuove sorgenti; forse perché i primi prodotti apparsi sul mercato erano un po’ deludenti. Ma non vi è dubbio che si tratti di una grande opportunità». Farini ci racconta di aver fatto personalmente qualche prova preliminare confrontando la resa di colore di varie lampade su alcune opere pittoriche e il risultato è stato il grande apprezzamento, da parte del pubblico, delle sorgenti LED.
La recente scoperta dell’importanza della luce blu per il mantenimento del ciclo circadiano, cioè del ciclo sonno-veglia, non fa che aumentare l’impatto della scoperta premiata a Stoccolma. «Bisogna ammettere che i LED offrono attualmente enormi vantaggi sia dal punto di vista dell’efficienza luminosa (e quindi del risparmio energetico) che della durata. Anche se non è facile arrivare alle 100.000 ore di vita che vengono talvolta dichiarate (la temperatura e l’umidità possono ridurre fortemente tale valore), il LED permette un robusto risparmio energetico, quantificabile in una quantità di energia consumata pari a un quindicesimo rispetto alle tradizionali lampade incandescenti. Se consideriamo che circa il 20% dell’energia consumata se ne va per l’illuminazione, i benefici per il nostro pianeta provenienti dal LED blu sono più che evidenti».
(Mario Gargantini)