Gli ultimi giorni dell’anno sono tempi di bilancio: vale anche per le foreste e sono significativi, in particolare, i dati contenuti nel “Rapporto sullo stato delle foreste in Lombardia” recentemente presentato da Ersaf (Ente Regionale per i Servizi all’Agricoltura e alle Foreste). Alcuni numeri sono eloquenti: in Lombardia ci sono 718 milioni di alberi, il loro volume mercantile complessivo è di oltre 108 milioni di m3, l’incremento è di 3,1 milioni di m3, le specie più consistenti (in termini volumetrici) sono l’abete rosso, il castagno, il larice e il faggio, la specie numericamente più rappresentativa è il carpino nero, con oltre 100 milioni di individui. In totale, la superficie boscata regionale a tutto il 2013 è stimata in 622.811 ettari, con un incremento dello 0,2% sul 2012, più del doppio di quello riscontrato l’anno precedente
Quest’ultimo dato conferma il trend degli anni scorsi e cioè che la superficie forestale in Lombardia (ma vale anche per l’intera Italia e mediamente anche per l’Europa) va costantemente aumentando. «Per noi tecnici – dice a ilsussidiario.net Roberto Carovigno, dirigente della Struttura Foreste di Regione Lombardia – non è una novità ma può stupire i non addetti ai lavori, abituati a sentir lamentare la mancanza di aree boschive e la deforestazione a scapito della cementificazione, soprattutto in momenti di emergenze e calamità idrogeologiche. Senza nulla togliere alle doverose segnalazioni delle situazioni di dissesto, devo dire che dal punto di vista forestale l’emergenza è semmai di segno opposto. L’aumento della superficie forestale è sintomo di un abbandono».
Il dato evidente è che in collina e montagna il terreno viene abbandonato dalle coltivazioni o dagli alpeggi in alta quota; e a seguito di questo il bosco si riprende il suo spazio. Un leggero incremento c’è anche in pianura ma qui si tratta di interventi artificiali, di singole iniziative degli enti locali che tendono a realizzare nuovi boschi per la fruizione del pubblico. Quest’ultima è anche una reazione alla grande carenza storica di boschi in pianura, che si tenta di compensare con la creazione di nuove aree verdi.
«L’esigenza quindi è: in pianura di incrementare il verde ma a beneficio della popolazione; in collina e montagna invece di incrementarne non tanto la quantità ma la qualità: voglio dire che va attuata una gestione forestale attiva che veda in primis azioni regolari di taglio del bosco. Questa espressione non vuol affatto dire che si devono eliminare le piante ma piuttosto che si devono eseguire tutte quelle operazioni colturali che da un lato forniscono materia prima (legname per le segherie, per le centrali a biomasse, legna da ardere…) dall’altro consentono di alleggerire il suolo, tenerlo abbastanza pulito, mantenere il bosco giovane, permettergli di rinnovarsi e garantirne la perpetuazione».
Ci si può chiedere se ciò valga solo per la Lombardia. «In linea di massima – osserva Carovigno – vale per tutta l’Italia. Qualcosa di più specifico si può dire per l’arco alpino, dove ci sono delle situazioni di eccezione, come nel caso delle province di Trento e Bolzano: qui per motivi di tradizione e di autonomia c’è una gestione molto attiva dei boschi; le indico solo un dato: in Lombardia – ma più o meno nella media nazionale – il bosco ogni anno cresce non solo di dimensione ma soprattutto di massa legnosa; di questa massa legnosa viene tagliato circa il 20%. Si può fare un paragone eloquente: è come se ogni anno dalla nostra Banca andassimo a incassare solo il 20% dell’interesse e il restante 80% non desse origine a interesse composto ma restasse inattivo. Nei nostri boschi quindi potremmo aumentare molto l’utilizzo, cioè il taglio, senza intaccare minimamente il capitale: è quello che succede nelle due province citate, dove si taglia almeno il 50-60%, quindi molto di più di quanto non si faccia nelle altre regioni. Quando, visitando il Trentino, possiamo esclamare “che bei boschi”, non è perché tagliano poco ma è il contrario: fanno cioè gestione, selvicoltura, economia dell’intera filiera del legno fino all’utilizzo energetico degli scarti; di conseguenza il bosco appare anche ai profani più, sano, pulito, ordinato, “bello”».
C’è da dire che in Lombardia il trend della filiera del legno è positivo: si sta sviluppando lentamente ma costantemente. Anche se, certamente, si può fare di più e di meglio; «e questo deve essere l’impegno di tutti: proprietari, trasformatori, imprese, per un deciso sviluppo della filiera bosco-legno».
Per contrastare la tendenza all’abbandono, la stessa Regione Lombardia e gli enti collegati stanno avviando iniziative rivolte ai privati per renderli più consapevoli delle potenzialità di ciò che possiedono e ai Comuni, soprattutto i piccoli, per invitarli a consorziarsi e a fare massa critica per attivare una gestione forestale associata che arrivi la dove il singolo non riesce.
Carovigno cita un esempio di tali iniziative. «Da quattro anni è attivo in Lombardia un tavolo di lavoro denominato Patto per la filiera bosco-legno –energia: vi partecipano rappresentanti delle imprese, dei proprietari, dei trasformatori e delle pubbliche amministrazioni locali e l’obiettivo non è di prendere grandi decisioni ma di discutere tutti insieme – ed è la prima volta che accade – gli elementi della politica forestale per far emergere le istanza principali da avanzare poi agli enti decisionali. È un lavoro non eclatante e piuttosto silenzioso, che peraltro nei paesi nostri confinanti è una realtà consolidata; e i risultati, lentamente, si stanno vedendo».
C’è comunque, in generale, un certo revival del materiale “legno”. «Sì, e si manifesta in due direzioni. Da un lato per la legna da ardere, anche solo per i piccoli impianti familiari che adesso possono usufruire di tecnologie molto avanzate e stanno diventando competitivi rispetto ad altre forniture energetiche. Poi si può parlare delle centrali a biomassa, magari integrate nelle reti di teleriscaldamento, come ad esempio in Valtellina, che bruciano tutti gli scarti sia delle segherie che della selvicoltura. C’è un revival anche di tipo culturale: il legno piace, gli oggetti in legno si diffondono, e l’apprezzamento per questo materiale è in crescita».
Va detto però che l’Italia è tuttora il primo importatore al mondo di legna da ardere; quella che abbiamo in casa non è sufficiente a coprire il nostro fabbisogno. I nostri mobilieri e trasformatori si servono ancora moltissimo di legname importato da Svizzera e Austria «che però è legname non molto diverso da quello ottenibile nel nostro arco alpino. Il fatto è che in quei paesi da moltissimo tempo si fa gestione forestale costante, ci sono reti viarie adeguate (a differenza delle nostre montagne) e ben controllate».
Un altro esempio ci può dare l’idea di quanto ancora resti da fare nel contesto italiano. «In Lombardia ci sono 250 imprese boschive, ormai ben attrezzate. Succede che a volte per Ferragosto qualche Sindaco di montagna chieda loro di “non tagliare” in quei giorni perché potrebbe far brutta figura con i turisti; in Svizzera i Comuni organizzano escursioni con i villeggianti per portarli a vedere le attività forestali. Da noi quell’attività è considerata come uno scempio, e non lo è affatto; da loro è un modo per valorizzare il territorio e l’economia locale. Quindi torniamo al punto cruciale: è una questione culturale».