Il settore agricolo deve affrontare nei prossimi anni alcune sfide tra le quali la necessità di soddisfare la domanda globale di prodotti alimentari, che continuerà a crescere a livello mondiale, riducendo al tempo stesso la pressione sull’ambiente, le richieste energetiche e i mezzi tecnici. Vincere queste sfide richiede lo sviluppo di biotecnologie, pratiche agricole e tecniche di valorizzazione dei residui in grado di mitigare l’impatto ambientale e proteggere gli habitat naturali e la biodiversità, salvaguardando la redditività del settore.
Un contributo in questa direzione può venire dalle attività di ricerca come quelle attuate nell’ambito del Progetto “Biogesteca”, i cui primi risultati saranno presentati e discussi nei prossimi giorni (13-14 febbraio) nel convegno “Piattaforma di biotecnologie verdi e di tecniche gestionali per un sistema agricolo ad elevata sostenibilità ambientale” che si terrà presso il Polo Universitario di Lodi.
I due coordinatori, Gian Attilio Sacchi e Giorgio Provolo del Dipartimento di Produzione Vegetale dell’Università degli Studi di Milano descrivono a ilsussidiario.net gli aspetti peculiari e innovativi del progetto e in particolare l’approccio integrato (piattaforma di biotecnologie verdi e di tecniche gestionali) che vede lo studio e la sperimentazione di diverse soluzioni che interagiscono tra di loro con la finalità condivisa della sostenibilità del sistema agricolo. Il progetto infatti focalizza le attività sul sistema delle produzioni vegetali analizzando: i possibili miglioramenti nell’utilizzo degli input, con particolare riferimento alla gestione delle risorse idriche e della fertilizzazione; la possibilità di migliorare attraverso la variabilità genetica l’efficienza delle colture nell’utilizzo dell’acqua e dei fertilizzanti, nonché la resistenza alle avversità consentendo una riduzione degli agro farmaci; la sperimentazione di tecnologie innovative per la valorizzazione dei residui e degli effluenti del sistema agricolo, comprese le produzioni zootecniche, finalizzato alla produzione di energia e alla conservazione e aumento della disponibilità per le piante degli elementi fertilizzanti in essi contenuti.
Il progetto Biogesteca, finanziato con 2,5 milioni di euro dalla Regione Lombardia, intendeva fornire una risposta a queste problematiche integrando le conoscenze e le attività di ricerca di numerosi gruppi lombardi. «Il progetto – dice Provolo – aveva due obiettivi: il primo era creare una rete sui temi dell’agricoltura sostenibile, quindi collegare i diversi enti che hanno attività di ricerca in agricoltura in Lombardia»; un traguardo sostanzialmente raggiunto, dal momento che sono coinvolti praticamente tutti i soggetti in questione, come: Ente Nazionale Risi – Centro Ricerche sul Riso, Università degli Studi di Milano-Bicocca, Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura – Centro di Ricerca per le Produzioni Foraggere e Lattiero Casearie, Fondazione Parco Tecnologico Padano, Fondazione Filarete, Società Cooperativa Agricola 2000.
«Un secondo obiettivo era iniziare una serie di ragionamenti su quali sono le tecnologie, i metodi, le tecniche più valide per ridurre gli input in agricoltura, in modo da renderla più sostenibile anche attraverso tecniche colturali a basso impatto, una gestione ottimale della risorsa idrica e così via».
L’attività si è sviluppata lungo tre anni, a partire dal marzo 2011 per concludersi nell’agosto 2013; si è articolata in sette diversi temi che raggruppano linee di attività simili e interagiscono tra loro. I risultati saranno diffusi anche grazie al coinvolgimento delle organizzazioni di categoria; inoltre sono stati realizzati quattro quaderni, che saranno poi disponibili in rete, con le sintesi dei risultati relativi a quattro temi principali: biocontrollo, efficienza d’uso dei fertilizzanti, valorizzazione dei reflui e gestione risorsa idrica. I due coordinatori anticipano però per ilsussidiario.net alcuni dei risultati.
Come quelli sul biocontrollo, «intendendo con questo termine – spiega Sacchi − tutta una serie di controlli relativi alle avversità per le piante, a quanto può loro nuocere. Abbiamo svolto un’analisi accurata di tutti gli interventi che di fatto valorizzano, tramite miglioramento genetico, la varietà genetica resistente, minimizzando il ricorso agli agro farmaci. Un esempio è legato ad alcune varietà di mais che hanno contenuti piuttosto elevati di antiossidanti: si sono allestiti campi sperimentali per effettuare le attività di breeding riguardanti la costituzione di genotipi di mais ricchi in pigmenti da studiare con il duplice fine di produrre cibi funzionali/mangimi ricchi in antiossidanti e contenere l’uso degli agrofarmaci dato che diversi lavori stanno correlando la presenza di pigmenti nella granella con una maggior resistenza all’attacco di diversi patogeni. L’attività di breeding ha portato alla costituzione di genotipi portanti diverse combinazioni dei geni regolatori della via biosintetica delle antocianine che sono stati caratterizzati per il contenuto di antocianine, il potere antiossidante, il contenuto di fumonisine e l’espressione genica. I materiali costituiti saranno ulteriormente caratterizzati dal punto di vista biochimico e molecolare».
Un altro esempio riguarda lo sviluppo di un sistema di biocontrollo del brusone a basso impatto ambientale: « Il brusone è una delle più gravi patologie del riso a distribuzione mondiale e responsabile delle maggiori perdite di produzione proprio alle nostre latitudini. La malattia è dovuta all’infezione da parte del fitopatogeno Magnaporthe oryzae, che causa lesioni a macchia di colore rosso sulla foglia, dal tipico aspetto di bruciatura. Negli ultimi anni sono state isolate diverse razze nazionali di Magnaporthe, tutte caratterizzate da patogenicità per le cultivar correntemente coltivate in Italia. Nella risicoltura intensiva, l’utilizzo preventivo di fungicidi di sintesi è l’unica soluzione attualmente disponibile per evitare ingenti perdite di raccolto.
Tali prodotti sono pericolosi e dannosi per l’ambiente e per la preservazione dell’ecosistema risaia, oltre che economicamente dispendiosi. Per una coltivazione del riso più compatibile e sostenibile con l’ambiente e con le risorse disponibili, si rende quindi necessario l’ottenimento di varietà più resistenti al brusone e la messa a punto di un sistema naturale di biocontrollo a basso impatto ambientale».
Un altro esempio riguarda la gestione degli apporti di fertilizzanti al suolo. «Il risultato più eclatante – dice Provolo − è l’individuazione di alcuni indicatori dello stato nutrizionale azotato delle piante che permettono una valutazione a priori, o in corso, dello stato nutrizionale rispetto all’azoto; così si possono preventivare interventi di fertilizzazione più mirati e meglio dosati».
Altri risultati si riferiscono all’efficienza d’uso dei nutrienti minerali, all’uso della risorsa idrica nella coltivazione del riso, all’esplorazione della variabilità genetica e alle scelte varietali, alla valutazione della sostenibilità energetica e ambientale delle tecnologie per la valorizzazione dei residui e degli effluenti agricoli.
Ma come e quando potranno essere utilizzati questi risultati? «Alcune linee di attività hanno portato a risultati immediatamente traducibili in pratica. Ad esempio, alcune indicazioni per la gestione dell’acqua nelle risaie sono già operative e possono essere utilizzate direttamente dagli agricoltori. Altre attività danno risultati intermedi che devono poi essere elaborati con ulteriori ricerche per portare, nell’arco di qualche anno a risultati utilizzabili; altri ancora probabilmente richiederanno ancora parecchi anni di indagine».
Chi sono gli utenti finali? Tutte le componenti del sistema agricolo: le amministrazioni, a tutti i livelli, gli enti locali, le organizzazioni di categoria e anche direttamente il singolo agricoltore. Con una valenza che non è solo lombarda: «il riferimento è territoriale – sottolinea Sacchi – perché il bando dal quale è nato il progetto era della Regione Lombardia, ma i risultati hanno uno spessore non solo nazionale ma anche internazionale. La Lombardia è un esempio di area con agricoltura sostenibile, dove si fa agricoltura intensiva ma in territori molto popolati e con una grande sensibilità per il tema della sostenibilità. Una cosa analoga accade, ad esempio, in aree come l’Olanda; non per nulla al convegno è previsto l’intervento di Dirk Wascher, della Wageningen University olandese proprio sul tema “Food planning and Innovation for sustainable metropolitan regions”».
Non si può evitare di pensare a questi temi nella prospettiva dell’Expo; infatti, ci confermano i nostri due interlocutori, anche questo convegno si può vedere come una tappa sul percorso di avvicinamento a Expo 2015. «Ma se ne stanno pensando altri; per inserire quello della sostenibilità all’interno dei temi prioritari che dovranno dominare Expo».