L’esplorazione di Marte che la NASA sta portando avanti da diversi decenni, attraverso satelliti orbitanti e rover robotizzati sulla superficie, continua a riservare agli scienziati impegnati nel progetto sorprese e rivelazioni.
Dopo la rivelazione, annunciata un paio di mesi fa, della presenza di acqua liquida e non solo ghiacciata sulla superficie del pianeta rosso, è stata la volta della spiegazione della scarsa densità dell’atmosfera marziana.
La missione Maven (Mars Atmosphere and Volatile Evolution), dedicata allo studio dell’atmosfera di Marte e della sua evoluzione, è giunta a conclusioni non troppo sorprendenti, che confermano alcune delle ipotesi fatte fin’ora dagli scienziati.
In pratica, l’atmosfera marziana, un tempo molto più densa, è stata man mano strappata via dall’azione dei venti solari, sopratutto in occasione delle tempeste solari, durante le quali aumenta drasticamente l’emissione di particelle da parte del nostro astro.
Il vento solare consiste nell’emissione di un flusso di protoni ed elettroni espulsi dall’atmosfera del sole a velocità altissime, vicine al milione di chilometri orari.
Queste particelle sono cariche elettricamente e si accompagnano a un forte campo magnetico che genera campi elettrici che, a contatto con gli strati superiori dell’atmosfera, eccitano le particelle elettricamente cariche dei gas là presenti, accelerandole e, letteralmente, strappandole via dal campo atmosferico.
Questo processo, che va avanti da miliardi di anni, nel tempo, ha trasformato un pianeta abbastanza caldo e umido in una palla di sabbia fredda e arida.
Oggi sappiamo che Marte, circa 4 miliardi di anni fa, si presentava come un pianeta dall’atmosfera densa, in grado di trattenere abbastanza calore da permettere la presenza di acqua allo stato liquido, una situazione non molto diversa da quella della Terra primordiale.
La missione Maven ha accertato che, in concomitanza con le tempeste solari, alcune osservate anche nel corso della missione, l’aumento di particelle elettricamente cariche emesse dal sole che incontra l’atmosfera marziana, coincide con un significativo aumento di molecole atmosferiche che sfuggono nello spazio.
Ma perché sulla Terra non è successa la stessa cosa?
Bisogna pensare che Marte si trova, rispetto alla Terra, a una distanza maggiore dal sole e quindi si è raffreddato più in fretta.
Inoltre il nucleo interno del pianeta rosso è, probabilmente, più viscoso rispetto a quello della Terra, che è molto liquido e ruota su sé stesso, generando un campo elettromagnetico.
Ed è qui la principale differenza.
Il nucleo di Marte, se gira, lo fa molto lentamente e non è in grado di generare un campo magnetico uniforme in grado di circondare il pianeta e proteggerlo dal vento solare.
Anche la Terra è colpita dal vento solare ma il campo geomagnetico che la circonda, generato dalla veloce rotazione del suo nucleo interno, impedisce al vento solare di strappare particelle dall’atmosfera. Di fatto, il campo geomagnetico della Terra devia il vento solare facendolo scivolare intorno all’atmosfera, generando il fenomeno delle aurore boreali.
Probabilmente Marte, nella parte iniziale della sua vita, è stato a sua volta provvisto di un campo magnetico in grado di deviare il vento solare ma il raffreddamento rapido del suo nucleo, favorito, forse, dal maggiore spessore della crosta superficiale marziana, ha reso viscoso il suo nucleo rallentandolo e, di fatto, eliminandone la generazione del campo magnetico e quindi la protezione dal vento solare.
Marte, in realtà, non è del tutto privo di campo magnetico ma presenta delle aree superficiali dotate di un campo magnetico limitato che, probabilmente, ha salvato le vestigia di atmosfera che possiamo osservare attualmente.
Le informazioni che apprendiamo studiando Marte ci insegnano quale sarà il destino della Terra tra centinaia di milioni di anni, quando il sole, invecchiando, si raffredderà e la rotazione del nostro pianeta rallenterà.
Le ultime scoperte ci hanno fatto capire che, un tempo, Marte era un pianeta in grado di ospitare la vita come la conosciamo noi e che la landa inospitale che vediamo ora è solo frutto del suo invecchiamento.
Queste informazioni si riveleranno utili per programmare nel migliore dei modi il previsto sbarco umano su Marte che dovrebbe avvenire, nei programmi NASA, entro i prossimi 25 anni, e, in quell’occasione, forse potremo scoprire se il nostro vicino ha mai ospitato la vita.